Tormentato, stanco di combattere, rassegnato ad una vita 'normale' Logan, che risponde al nome di Wolverine il mutante con lo scheletro di Adamantio, che non dimostra mai la sua età perché in grado di rigenerarsi, appare per la prima volta 'invecchiato' nella pellicola scritta e ideata dal regista James Mangold. Nel 2029 un terribile virus nato dal Progetto Transigen ha decimato i mutanti, che sono sull’orlo dell’estinzione. Logan (Hugh Jackman) stanco di fuggire e di essere braccato come un animale, sceglie di fare l’autista in Messico e si nasconde presso una fonderia abbandonata con l’ancora più emerginato Calibano (Stephen Merchant). Il suo lavoro gli permette a malapena di portare a casa un salario che serve alla sua sopravvivenza e a quella del suo “ex professore”il telepata Charles Xavier (Patrick Stewart). ‘Il professor X’ ha continue crisi distruttive e vive la vecchiaia divisa dal rimorso per aver accidentalmente provocato la morte di alcuni dei suoi alunni mutanti e lo sforzo per non impazzire. La vita di Logan viene sconvolta dall’incontro con l’infermiera Gabriela, che gli affida il compito di condurre Laura, la sua bambina di 11 anni, in un posto chiamato “Eden”. La piccola silenziosa, mostra chiari segni di forte disagio e con l’evolversi della vicenda, si rivela una mutante, una vera macchina da guerra che attira su di sé l’attenzione dei Reavers, criminali cyborg senza scrupoli che costringono Logan la bimba e il vecchio Xavier a fuggire per sempre. Comincia un Road Trip cruento, dove ogni mano tesa verso i nostri eroi viene tagliata e lo scenario catastrifico si allarga a macchia d’olio. L’atmosfera polverosa, apocalittica, l’aria rarefatta, il sangue versato, il legame tenero e straziante di questa strana famiglia improvvisata, dove Logan si ritrova un vecchio mentore “padre” paralitico da accudire, da sorreggere e “una figlia” non sua, inizialmente non voluta, portando anche il suo fardello, crea una strana metafora dove sulla scena compaiono presente passato e futuro di un mondo in rovina. Chi conosce i fumetti della Casa delle idee Marvel, agognava un film adulto sugli X-Men, laddove i precedenti stand alone su Wolverine (Le Origini del 2009 e L’immortale del 2013) avevano trasversalmente fallito. Logan convince e sorprende per la sua amarezza di fondo. Decisamente lontano dal target della saga cominciata con “X Men” del 2000 (che conta un franchise di 10 film in totale), è stato vietato in Italia ai minori di 14 anni. Hugh Jackman interprete storico del personaggio da diciassette anni, si ritira dalla scena con questa veste inedita, ripagando gli appassionati per tanta dedizione e amore per il suo personaggio.
Francesca Tulli
Trentotto anni fa, lo stesso regista Ridley Scott, esplorava le remote regioni dello spazio attraverso le disavventure della nave Nostromo. Prima ancora di introdurre l’umanità dentro le pagine scritte da Philip K. Dick con Bladerunner (1982), portò a compimento Alien (1978), introducendo nell’immaginario collettivo una nuova concezione di fantascienza, costruendo androidi capaci di empatia e creature eleganti, feroci e letali. Disegnato dall’artista surreale svizzero H.R. Giger a cui dobbiamo le note sembianze disturbanti, organiche e allo stesso tempo impregnate di erotismo della creatura e sceneggiato dal geniale Dan O’Bannon, che dichiarò di aver “rubato” l’idea per il soggetto “non in particolare a qualcuno ma un po’ a tutti” (e di quei ‘tutti’ ricordiamo ‘Il pianeta proibito’ e ‘Terrore nello spazio’), Alien ha avuto una discendenza di tre riconosciuti seguiti e due prequel, Prometheus (2012) e la continuazione Alien Covenant (2017). La missione di colonizzazione della Covenant, che con sé trasporta il futuro dell’umanità, viene bruscamente fermata da una anomalia. L’equipaggio, costretto ad interrompere il riposo accelerato indotto dal crio-sonno, perde il suo capitano. Daniels (Katherine Waterston), moglie del compianto capitano ed esperta di terraformazione, assieme al resto della crew è costretta ad accettare come nuovo comandante Cristopher Oram (Billy Curdup) avventato, ingenuo e pieno di sé. Davanti alla prospettiva di trascorrere anni per riprendere una rotta sicura, scelgono di accorciare il viaggio e atterrare su di un pianeta abitabile, un paradiso apparentemente incontaminato, mossa che si rivelerà azzardata. Al centro della vicenda l’androide interpretato da Michael Fassbender, affettato, efficiente, l’occhio filosofico all’interno dell’impianto scenico. Diverso dall’infido Ash del primo film, meno umano di Bishop eroe del secondo Aliens: Scontro Finale, ci mostra due facce diverse. Il film gode di una inconfondibile fotografia, l’estetica di Alien non può essere standardizzata o confusa con quella di nessuna altra saga. L’orrore già provato, la pelle d’oca già sentita, l’inevitabile sensazione di tensione che con una dinamica familiare ci riporta indietro di anni, genera una confusa sensazione di dèjà vu, mescolanza di nostalgia ed effetto remake. Manca un personaggio chiave con la forza trascinante che Sigourney Weaver, metteva nel ruolo di Ripley, non si riesce a provare una vera empatia per nessuno dei protagonisti umani, se non una simpatia per Daniels che ricorda per look e caparbietà la nostra ‘Astro’Samantha Cristoforetti. La creature stesse, soffrono della mancanza di perfezione creata dai pupazzi di Rambaldi, resa troppo veloce dalla CGi: nei movimenti meno ‘aracnide’ e più ‘dinosauro’. Nonostante questi difetti, il film riesce, attraverso geniali citazioni e mantenendo il mistero sulle figure degli Ingegneri, nella sua missione: dare una efficace spiegazione riguardo le origini di questo essere “non offuscato da coscienza, rimorsi, o illusioni di moralità”.
Francesca Tulli