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Bright Nights

Sabato 25 Febbraio 2017 22:07 Pubblicato in Recensioni
Il lunedì è sempre stato e sempre sarà il giorno più odiato della settimana. Ma quando partecipi ad un Festival, il lunedì segna l’inizio della seconda settimana di kermesse. Il film del mattino, che inaugura il giro di boa, ha l’obbligo di rinvigorire il palinsesto e dare quel brio in più per affrontare le numerose pellicole ancora in programma. Quindi, il lunedì da Festival si contrappone con vigore a quello della quotidianità, fa purtroppo eccezione il lunedì della Berlinale 2017, che apre il suo concorso con il deludente Bright nights. Seduti sulle poltrone del cinema quasi quasi rimpiangiamo l’ufficio o l’aula scolastica. Poco coinvolgente ed a tratti tedioso, il film tedesco di Thomas Arslan (Gold – 2013), non lascia traccia. Evidente l’utilizzo di piani sequenza per aumentare la tensione drammatica, ma questi sono fini a se stessi, appesantiscono il film, che invece di rinvigorirsi si svuota. 
 
La storia, decisamente classica, ma sempre appetibile, meritava un risultato finale più consono al Festival di appartenenza. Michael (Georg Friedrich, a Berlino anche con Wild Mouse), che nella vita fa l’ingegnere ed è separato dalla moglie, apprende della morte improvvisa del padre. I funerali avranno luogo in Norvegia, dove il genitore viveva ormai da parecchi anni. A seguirlo in terra scandinava sarà il figlio Luis (Tristan Göbel), che vive con la madre. L’adolescente non ha un buon rapporto con il padre. Michael convince il figlio a restare con lui qualche giorno di più in Norvegia. I due intraprendono un viaggio on the road immersi nella splendida natura di un paese dove non si dorme mai. L’estate regala luce fino a mezzanotte. In questo contesto, molto simbolico, il loro legame si rafforza, senza però prima scontrarsi con decisione. Il bagliore continuo, portatore di pace, aiuta a far luce e chiarezza negli animi del padre e del figlio; un po’ meno nello spettatore, che rimane sbigottito dal minimalismo della trama, dove veramente non succede nulla.
 
Bright Nights, conferma la tendenza del cinema tedesco ad essere estremamente impegnato. Un film che scava, proponendoci silenzi eccessivi. Il suo è un “voluto” andamento muto, fatto di sguardi ed atteggiamenti e di momenti naturali della vita. Una direzione troppo delicata, che trova nelle piccole cose la strada cicatrizzante del rapporto: un tenda in riva ad un lago, una camminata tra gli alberi e un dialogo cinematografico guardando le montagne. Ma questa coerenza narrativa non basta per salvare la pellicola, priva di una vera spina dorsale, con poca carne al fuoco e scarsamente concreta. Nel magma psicologico dei protagonisti ci si addentra, ma non ci si trova mai.  Una narrazione piatta e senza vere svolte rende il film poco invogliante.
 
Bright Nights cerca nella sottrazione il proprio risultato. Purtroppo questo non arriva. Il film rimane perennemente sulla sua linea d’ombra e i raggi di sole non si scorgono neanche in lontananza. Gli attori, ed in primis il protagonista Georg Friedrich, offrono una prova poco carismatica, adagiandosi sulle pochezze dello script. Qui a Berlino si vocifera di un possibile Orso d’Argento come migliore attore proprio per l’attore austriaco. Sarebbe alquanto discutibile, viste le sontuose performance dell’intero cast di The Party della britannica Sally Potter. (su tutti il monster di bravura Timothy Spall).
 
David Siena

Final Portrait

Sabato 25 Febbraio 2017 22:00 Pubblicato in Recensioni
Parigi, 1964. James Lord (Armie Hammer, The Social Network - 2010), giovane scrittore americano, viene invitato dall’amico Alberto Giacometti (Geoffrey Rush, Il discorso del Re - 2010), a posare per un ritratto. Lusingato dalla proposta dell’artista svizzero/italiano, accetta di buon grado. James, amante dell’arte, si presenta due giorni nel laboratorio del pittore, convinto che bastino per compiere l’opera. Ma non ha fatto i conti con l’animo tormentato dell’autore. Non bastano venti giorni per terminare il dipinto e James è costretto a posticipare il ritorno in patria. Durante queste settimane di continui rifacimenti della tela, lo scrittore vive tutte le contraddizioni che albergano nel cuore di Giacometti. Processi artistici che sono frutto di un pronunciato ascetismo e della ricerca maniacale di una realtà totale. Final Portrait racconta una piccola porzione di vita del grande artista Giacometti (non solo pittore, ma anche scultore). James si presta da Virgilio, accompagnando lo spettatore nei meandri dell’esistenzialismo e del surrealismo di questo indiscusso maestro. Tra le vie di Parigi, nei suoi bar, nei suoi bordelli e tra le mura grigie della casa dello scultore conosciamo anche le sue persone. Figure che incrementano, mitigano e soffocano il suo genio: l’amante Caroline (Clémence Poésy), l’indulgente fratello Diego (Tony Shalhoub) e la moglie Annette (Sylvie Testud).   
 
Final Portrait, in concorso al Festival di Berlino 2017, è scritto e diretto da Stanley Tucci (attore da anni sulla breccia, grazie alla sua spiccata versatilità). La pellicola si basa sul libro di memorie dello scrittore americano James Lord. Spiccatamene teatrale (lo studio di Giacometti è il palcoscenico dove si svolge buona parte dell’opera), Final Portrait è una sorta di biopic, con luci ed ombre. 
 
Le luci, inversamente proporzionali, le troviamo nello studio del grande artista. Lì risiede tutto il concetto e l’arte di Giacometti: nella riuscita scenografia di James Merifield (Le regole del Caos – 2014, Mortdecai – 2015). Il respiro del film, che rispecchia nel totale il maestro, esce grazie al design scelto per descrivere il suo ambiente di lavoro. I muri grigi, le grandi finestre sporcate di pioggia, le tele impolverate, i pennelli ferrigni e l’argento del denaro disseminato a caso, rendono tutto così viscerale e sono in perfetta simbiosi con l’onnipresente sigaretta tra le labbra dello scultore e le sue originali figure allungate. Un grigio perenne e claustrofobico, che inghiotte l’anima e brucia dentro. Nel suo laboratorio troviamo Giacometti, il suo modus operandi tumultuoso, caotico e a tratti disastroso.
 
Le ombre sono evidenti nella sceneggiatura e soprattutto nella regia. Tucci dimostra tecnica, ma poco estro. La sua è una direzione spenta, che si ostina ad inquadrare intimamente senza realmente estrarre dai personaggi. Non troviamo l’uomo Giacometti e solo a sprazzi l’artista. Si perché, il regista si limita ad etichettare e non ad esaltare, candendo nello stereotipo dell’artista bevitore e donnaiolo. L’arte di Alberto Giacometti è molto di più e qui esce solo in parte.            
 
Un film spaccato in due. Quel senso di incompiuto, in realtà non è legato al dipinto di James, ma piuttosto al film, che lascia lo spettatore privo della meraviglia, gridando così all’occasione sprecata. Final portrait non dipinge un quadro memorabile su quella grande tela che è la pellicola cinematografica. Non basta un immenso Geoffrey Rush per salvare la pellicola, dove sono presenti tangibili e visibili imperfezioni. L’attore australiano è come sempre immenso, un genio attoriale ruvido e burbero, che strappa meritati sorrisi e consensi.
 
 
David Siena

Incontro su critica e comunicazione alla Casa del Cinema

Mercoledì 22 Novembre 2017 20:01 Pubblicato in News
Venerdì 1 dicembre alle 18.30, presso la sala Deluxe della Casa del Cinema nel contesto del Roma Independent Film Festival, professionisti della comunicazione cinematografica interverranno per affrontare la questione da più punti di vista, secondo le loro specifiche competenze. 
 
 
 
Qual è il ruolo dei critici? Quanto questi sono in grado di orientare il pubblico nelle scelte? Come fare una campagna coinvolgente come quella di Lo Chiamavano Jeeg Robot?
Ha ancora un senso parlare di critica e comunicazione nell’epoca dei social in cui i contenuti sono volatili e trasmissibili da tutti?
Una condizione particolare, quella in cui versa il mondo dell’informazione, nella quale si cercherà di fare un po' il punto della situazione.
 
 
Ospiti della tavola rotonda: Fabio Ferzetti, Marco Giusti, Pedro Armocida, Paola Casella, Alessandra Tieri, Francesca Pierleoni.
 
 
L’incontro sarà moderato da Chiara Nucera (Fuoritraccia| Cose dell’Altro Cinema)
 
 
Prima del dibattito, alle 17.30 sempre in sala Deluxe, si potrà assistere alla Premiére italiana di Post Truth Times (Spagna, 2017, 52’) con la presenza in sala del regista Héctor Carré. Il documentario è una lucida analisi, dati alla mano, sull’uso dei media e la manipolazione delle notizie, affrontando i casi delle elezioni americane di Trump e del referendum Brexit.
 
 
 
Tutti i dettagli sul programma consultando www.riff.it  

Corso di Montaggio Video con Davide Vizzini

Venerdì 10 Novembre 2017 15:18 Pubblicato in News
FuoriTraccia | Cose dell’Altro Cinema propone corso di montaggio video con Davide Vizzini.
Due moduli specifici per chi si avvicina al montaggio per la prima volta e per chi vuole ampliare la comprensione dell'argomento migliorando le tecniche del linguaggio 
 
 
Corso Base di introduzione al montaggiosabato 16 e domenica 17 dicembre dalle 10 alle 13 e dalle  14 alle 19 
 
il corso si articolerà secondo i seguenti moduli:
 
MODULO 1 : introduzione al mestiere di montatore. Dalla storia alla tecnologia 
MODULO 2 : Adobe Premiere Pro. Rudimenti e analisi del software. Piccoli Esercizi con materiali forniti dal docente. 
MODULO 3 : Il montaggio in opera. Analisi delle regole e delle trasgressioni del montaggio attraverso la visione di estratti di film 
MODULO 4 : Esercitazioni su materiali forniti dal docente 
 
 
Corso Avanzato: sabato 20 e domenica 21 gennaio 2018 dalle 10 alle 19 
 
MODULO 1: approfondimento del montaggio nella varietà dei suoi impieghi. Analisi di contenuti audiovisivi di diversa natura. 
MODULO 2: il valore dello storytelling come presupposto trasversale del montaggio, dal video corporate al film. 
MODULO 3: dalla pagina scritta al montaggio in moviola. Analisi strutturale e soluzioni creative in lavori svolti dal docente
MODULO 4: esercitazioni pratiche con i partecipanti su materiali forniti dal docente con analisi dei risultati 
 
 
DAVIDE VIZZINI si laurea in lettere all'università di Padova con il professor Giampiero Brunetta e successivamente si diploma in montaggio al Centro Sperimentale sotto la guida di Roberto Perpignani. Lavora con i principali software di video editing (Avid, Final Cut, Premere Pro) in tutti gli ambiti della comunicazione audiovisiva. Le produzioni più recenti sono per la televisione (Zio Gianni - Rai2) e per il cinema (La Ragazza del Mondo - David di Donatello Migliore Opera Prima 2017; Piuma - Selezione ufficiale Mostra del Cinema di Venezia 2016 ; Moglie e Marito prodotto da Warner Bros. Entertaiment, Matteo Rovere e Roberto Sessa). Ha tenuto seminari e corsi presso l'università di Padova, Chieti e Parigi e il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. 
 
I corsi si svolgeranno presso lo studio K- Motion Video in Viale Castrense, 33 – Roma (metro A San Giovanni o Re di Roma) . 
I corsi prevedono un massimo di 10 iscritti e sono strutturati in maniera tale da poter essere seguiti entrambi, con agevolazioni sulla quota di iscrizione, oppure singolarmente. 
Per il corso base è necessario regolarizzare l’iscrizione non oltre il 7 dicembre 2017.