Perfetta illusione è un'analisi lucida e accurata, senza sconti, di una generazione di giovani ambiziosi che, per inseguire e cercare di raggiungere i propri obiettivi, è disposta a calpestare anche gli affetti più cari fino anche a spingersi a barattare il bene massimo per ognuno che è la libertà personale.
Toni (Giuseppe Maggio) è un semplice inserviente in una spa di un hotel ma sta per essere promosso responsabile. Per un gesto incauto,scoperto dalla persona sbagliata, questo traguardo sfuma per sempre. La vita però ha in serbo per lui un destino ancora più beffardo. Grazie all'aiuto della stessa persona che ha contribuito al suo primo fallimento lavorativo e, che sancirà anche quello umano, riuscirà a riscoprire la sua vera e unica passione che è la pittura. Il prezzo che sarà costretto a pagare per diventare artista ma, soprattutto per essere riconosciuto tale anche da chi fa parte da sempre di questo mondo, è altissimo. Pappi Corsicato mette in scena un triangolo costituito da tre solitudini che si servono gli uni degli altri solo ed unicamente per i loro biechi scopi. In questa storia intrisa di egoismo, cinismo e spregiudicatezza non si salva neanche l'amore, né quello tra Toni e la moglie Paola (Margherita Vicario) più interessata alla realizzazione professionale che familiare né quella fra Toni e Chiara (Carolina Sala) che assomiglia più ad un ricatto che ad uno scambio paritetico fra due persone affini. Anche l'amore genitoriale da questa disamina esce con le ossa rotte perché prevale la salvaguardia delle apparenze borghesi a scapito della giustizia e della morale. I dialoghi fra i personaggi sono ridotti all'essenziale e spesso si sceglie proprio di celarli, lasciando ai primi piani efficaci e alla colonna sonora riuscita, il compito di veicolare il messaggio di incompatibilità e di mancanza di ascolto empatico, come se le parole dette risultassero superflue se non proprio inutili proprio perché i fatti e i comportamenti di ciascun personaggio sono in netto contrasto con quanto detto a parole. Il finale rimane aperto e, come una porta che si spalanca sul mondo, si va alla ricerca di un altro senso, di un altro modo di vivere, di un'altra occasione di affermazione e riscatto. Un film intimista che mette in luce in modo sincero e diretto i sentimenti meno nobili che attraversano gli esseri umani e nel farlo non teme di risultare troppo severo nei giudizi.
Virna Castiglioni
Houria - la voce della libertà è un film fortemente incentrato sulla figura della giovane protagonista ben caratterizzata da una sceneggiatura attenta e ben interpretata dall’attrice Lyna Khoudri molto espressiva e intensa. Houria è anche un film corale perché la lotta per continuare a danzare di questa ragazza temeraria è anche la lotta di tutte le donne per l’emancipazione e la libertà personali. L’ Algeria dove è ambientato il racconto considera ancora il genere femminile una propaggine dell’uomo e non consente loro un’autonomia completa.
Il fil rouge che percorre tutta la pellicola è la danza. Questa disciplina introduce la figura di questa ballerina con un assolo sulla terrazza baciata da un tramonto infuocato fino alla scena finale che ci regala una moderna coreografia di gruppo per la commemorazione dell’amica del cuore che ha trovato la morte nella speranza di raggiungere l’Europa e vivere all’occidentale da donna libera di scegliere il proprio destino.
Le condizioni socio-politiche del Paese nel quale la storia è ambientata non fanno solo da sfondo alle vicende personali narrate ma sono un tema centrale. Un regime oppressivo e maschilista che copre i criminali anziché perseguirli. Proprio un’aggressione subita da Houria sarà lo spartiacque tra una vita precedente fatta di grandi sogni e una nuova vita che sarà all’insegna di una costruzione diversa relativamente al suo desiderio di danzare. I problemi fisici conseguenti alla brutale aggressione le impediranno di proseguire la carriera da danzatrice professionista e le toglieranno anche l’uso della parola. Da questo punto in poi sarà la danza a parlare per lei e per tutte le altre donne vittime di violenze e al suo posto griderà il dissenso e sancirà il riscatto. Un gesto violento e meschino non sarà in grado di piegare questo giovane virgulto di donna ma le infonderà un nuovo coraggio. La sua amica alla vigilia della partenza le dice proprio “non è la fine del viaggio ma è l’inizio di una nuova vita”.
La regia, attraverso uso sapiente della fotografia e una colonna sonora che richiama motivetti di musica leggera italiana, crea uno spaccato tra la positività delle scene di danza e la cupezza delle scene ambientate di notte, in vicoli scuri, in luoghi di degrado e in situazioni di illegalità dove si cerca un modo per andare avanti da sole senza l’aiuto di alcuno. Houria scommette somme di denaro in combattimenti clandestini fra arieti che, per ironia hanno il nome di potenti della terra, per poter acquistare un auto nuova alla madre.
Un film duro ma mai negativo tout court perché permeato di coraggio e forza di volontà. Nessuno e niente potrà spegnere il sorriso sul volto di chi ha deciso di non arrendersi mai. Un film che non brilla per originalità ma che è ben diretto e molto ben interpretato e infonde speranza allo spettatore che non può non rimanere affascinato dalla grazia e dalla bellezza di chi risponde con il sorriso alle ingiustizie e cerca con il suo operato di essere per gli altri quel raggio di sole che illumina anche il destino più buio.
Virna Castiglioni
Sembrerebbe una classica storia di bullismo declinata tutta al femminile, con una ragazza adolescente in sovrappeso (Sara) presa di mira e additata con l’appellativo di "Miss Bacon" e altri epiteti poco gentili, tutti riferiti alla sua stazza imponente e correlati all’attività lavorativa di famiglia che gestisce una macelleria.
Nemmeno cercando la solitudine e, sforzandosi di rimanere a debita distanza dal branco, questa ragazza riesce a sfuggire alle vessazioni che le sue aguzzine (tre ragazze coetanee tra le quali una sua amichetta d'infanzia) le infliggono ogni qual volta si presenta l’occasione.
Sembra destinata a soccombere sempre, fino a quando interviene in suo favore
qualcuno d’inaspettato.
L’ingresso in scena di questo giovane uomo, anch’egli complessato e problematico ma per altre ragioni, sposta completamente il focus della narrazione e il film acquista, nella mani della brava regista, una veste prettamente thriller/noir.
Questo cambio di registro ad alto tasso adrenalinico introduce anche il tema splatter che da questo momento prende decisamente il sopravvento. D'ora in poi la violenza da verbale e psicologica si fa sempre più fisica e si assiste ad una vera e propria mattanza dove le vittime, questa volta, sono le precedenti carnefici in una legge del contrappasso che non lascia scampo.
Il finale, ancora una volta, spiazza lo spettatore.
La conclusione scontata di una vendetta, sebbene ad infliggerla sia un terzo personaggio che cerca un modo per farsi giustizia da sè e rendere un favore a chi ritiene meriti una vita migliore anche perché esercita un certo ascendente su di lui, non si realizza.
Invece si assiste ad un altro cambio di prospettiva e la vittima non diventa a sua volta aguzzino ma dimostra maturità e ragionevolezza.
Agisce con la testa e fa l’unica cosa possibile per non scendere all’infimo livello dal quale si era partiti.
L'ultima scena è un lungo piano sequenza che accompagna la protagonista, alla quale ci si è inevitabilmente affezionati, verso la salvezza, lontano dal sangue che ha l’ha completamente intrisa facendolo scorrere a fiumi senza che ce ne fosse un valido motivo. Assistiamo ad un escalation di violenza che sembra non avere mai fine e che termina grazie all’intelligenza di chi sceglie di non abbassarsi al livello di chi non ha altri argomenti per reagire ai soprusi.
Un film che parla di bullismo ma che non annoia e non appare mai banale grazie ad un mix vincente di più generi che vengono sviscerati con maestria. La regia crea la giusta suspence, tiene sulla corda, incuriosisce e dimostra in modo originale quali soluzioni siano quelle vincenti per far
desistere i prepotenti.
Si avvale di una fotografia molto realistica, utilizza inquadrature efficaci ad immedesimarsi con il punto di vista dei vari personaggi, si serve di una colonna sonora che sottolinea bene i momenti tensivi e suggella il tutto con un montaggio veloce che tralascia il superfluo.
Il film poi, ed è la cosa più importante, veicola in maniera chiara e netta un bel messaggio: le persone bullizzate che non commettono gli stessi errori dei bulli, rimanendo superiori nelle intenzioni e nei fatti, fa di loro le uniche vere persone vincenti.
Virna Castiglioni
Felicità è un miraggio, un’aspirazione, una chimera, un obiettivo, un traguardo ma ha così tante facce e si sposta con fulminea velocità che non è facile individuare cosa sia e nemmeno afferrarla per tenerla con sé il più a lungo possibile.
Desiré è una acconciatrice che lavora come assistente sui set cinematografici e ha alle spalle una vita difficile all’interno della famiglia problematica e disfunzionale che le è toccata in sorte.
Non ha mai ricevuto incoraggiamenti e supporto ma anzi viene ritenuta da entrambi i genitori una donna stupida che ha solo la dote di essere una lavoratrice indefessa che risparmia il più possibile e alla quale poter chiedere soldi, senza alcuna remora o imbarazzo, ogni qual volta capiti qualcosa a cui far fronte.
Desiré non ha altre aspirazioni che quella di essere felice accanto agli affetti più cari. Vive una storia d’amore con un professore più grande di lei ma è solo apparenza, un castello di carte troppo fragile.
Micaela Ramazzotti, anche regista di questo lungometraggio, si ritaglia e cuce addosso un personaggio perfettamente nelle sue corde, la sua Desirè (con l’accento) ha molteplici sfaccettature e ognuna di queste è messa in luce da una interpretazione senza sbavature, sempre centrata, mai sopra le righe. Micaela dona al suo personaggio tutto quello che le serve per essere funzionale al racconto e per far sì che lo spettatore si immedesimi con questa donna bella, gentile, generosa e disponibile con tutti nonostante riceva solo umiliazioni, angherie, molestie e sia costantemente manipolata da chi dovrebbe invece proteggerla e amarla.
L’unico affetto sincero e puro risiede nel rapporto con Claudio, il fratello minore rimasto a vivere con i genitori e in preda a crisi depressive violente che gli impediscono di ribellarsi all’amore soffocante dei genitori, che lo trattano come un minorato impedendogli di emanciparsi e spiccare il volo da quel nido così opprimente. Micaela Ramazzotti ci racconta un microcosmo familiare ristretto e asfittico fatto di piccoli soprusi perpetrati da genitori gretti che non sanno donare amore nel modo giusto ma costringono i figli ad accettare situazioni scomode e anche pericolose pur di scansare problemi e vivere egoisticamente le loro giornate fatte di niente.
La madre (una perfetta Anna Galiena) rancorosa della carriera della figlia che, a parer suo, ha contribuito a creare, le recrimina anche di essere uscita dal nucleo familiare troppo presto lasciandola sola mentre il padre (un Max Tortora che ci regala una performance molto colorita) si crede uno show-man incompreso e insegue sogni di gloria nelle piccole tv private accettando anche di scendere a squallidi compromessi sessuali pur di avere uno spazio tutto suo. In questo contesto la figura di Desiré appare un angelo biondo tra demoni neri e, sebbene porti sulle spalle tanti e troppi dolori, non perde mai la sua ingenua e infantile bontà e la sua generosa disponibilità che le consentono di intervenire sempre in maniera forte e decisa per salvare chi ama. Non si arrende e ne avrebbe tutte le ragioni ma, come una leonessa, travestita da pulcino bagnato, cerca di difendere chi non può farlo da solo.
L’unica pecca del film è il trascinamento di un finale che avrebbe potuto arrivare prima e invece, come se tutto il marcio che si è visto non fosse ancora sufficiente, si scava ancora più nel profondo come a voler dire che i dolori vanno vissuti tutti fino in fondo senza sconti e solo alla fine, forse, si ha diritto ad avere un premio per gli sforzi fatti.
Il congedo, finalmente, è rassicurante. Lasciamo Desirè sempre scarmigliata e trafelata eppure bellissima mentre il suo specchio è un fratello che invece appare guarito e in procinto di affrontare da solo il mondo esterno. I meravigliosi occhi di ghiaccio di Claudio (intepretato dal bravo Matteo Olivetti) non sono più vuoti ma finalmente vividi, il suo sorriso è ora spontaneo e non più acceso dietro comando, i capelli non son più quelli acconciati secondo il gusto della madre e tutto acquista il sapore di un riscatto e di un nuovo inizio che lo spettatore si augura sia duraturo e fulgido per entrambi.
Micaela Ramazzotti confeziona un ritratto impietoso di una famiglia meschina, indagando anche il tema delicato della malattia mentale, calando il tutto in un contesto periferico ricostruito negli scenari, nei costumi e nell'uso del parlato in modo dettagliato.
Si avvale della bella fotografia di Luca Bigazzi, del montaggio efficace di Jacopo Quadri che rende tutto fluido e scorrevole e una colonna sonora confezionata da Carlo Virzì che sottolinea sia le parti più cupe e tensive che quelle più leggere e grottesche in modo puntuale.
Una prima prova registica che viene superata a pieni voti. Presentato nella sezione Orizzonti Extra all' ultima edizione del Festival di Venezia ha vinto meritatamente il premio degli spettatori Armani beauty.
David Siena
Il film di Besson si apre con una citazione poetica che racchiude il senso di tutta la pellicola. "Ovunque ci sia un infelice Dio gli invia un cane".
In questa storia drammatica, infatti, gli unici soccorritori, compagni fedeli che non tradiscono mai, sono proprio gli animali.
Douglas è un bambino sensibile che vive con un padre e un fratello maggiore violenti e una madre troppo debole, incapace di opporsi e costretta essa stessa alla fuga per salvarsi.
I cani che, per il padre orco e il fratello maggiore sono solo motivo di affari, diventano invece per Douglas l'unico aiuto per rimanere in vita. Gli unici angeli custodi di un'esistenza che di umano ha davvero ben poco. Costretto dalla cieca violenza di un genitore disturbato e anaffettivo a convivere nella gabbia insieme a una muta di cani saprà amarli e venire amato da loro al suo grado massimo. Nel momento dell'estremo pericolo saranno i soli ad intervenire e a cambiarne le sorti. Grazie all'intervento dei fedeli amici a quattro zampe per Douglas inizierà una nuova vita libera ma ugualmente costretta e limitata.
L'attore protagonista (uno strepitoso, convincente e credibile Caleb Landry Jones) offre un'interpretazione intensa e commovente di un personaggio ai margini, con un doloroso passato e un complicato presente, alla ricerca di un briciolo di amore che possa riequilibrare le sorti di un'infanzia violata, calpestata, umiliata e mutilata sotto ogni aspetto.
Un lavoro interessante viene eseguito sulle musiche e la colonna sonora firmata da Eric Serra che accompagna i momenti topici e le tappe salienti della pellicola. I brani scelti sottolineano, in maniera incisiva, gli stati d'animo che scaturiscono dalle azioni che compiono i personaggi. Besson con "Dogman" torna in grande spolvero presentando una favola nera con un assoluto attore fuoriclasse istrionico e camaleontico.
Nello sviluppo della trama sono ben calibrati i molteplici flashback, ben posizionate le parti di pura azione e si arriva ad una conclusione potente e di grande afflato emotivo. Il racconto appare in tutte le parti avvincente e, sebbene non sia sempre credibile per eccessi e forzature soprattutto quando a recitare sono i tanti cani presenti sulla scena, il grande pregio è quello di tenere incollati allo schermo per constatare che alla fine tutto si incastra e gira nel modo giusto. L'intensità dei dialoghi sono resi ancora più magnetici da un gioco di primi piani e inquadrature molto strette che colgono anche le più piccole variazioni di pensiero e rimandano alle gradazioni emotive che mutano anche in modo repentino, restituendo anche le più piccole differenze in modo autentico ed estremamente realistico. Il trucco è un altro potente mezzo tecnico utilizzato sfruttando le sue elevate potenzialità e riportando in vita icone del passato che hanno in comune con il personaggio della storia vite difficili e drammi personali che le hanno segnate nel profondo, relegandole a infelicità croniche. In questo nuovo lavoro ritroviamo i personaggi cari al primo Besson, quei reietti scomodi affascinanti e carismatici, ultimi nella scala sociale che racchiudono in se profondità abissali, nei quali ci si perde per poi ritrovarsi con tutte le risposte. Un film potente nell' impianto, con una storia al limite del credibile che lascia attoniti, stupiti e commossi.
Come asseriva anche il filosofo Arthur Schopenhauer “chi non ha mai posseduto un cane, non sa cosa significhi essere amato”.
David Siena