Un esordio notevole che ricorda i "primi" Dardenne
Applaudita a Cannes, e pluripremiata con il "Nastro d'argento " e con il "premio Amidei" come migliore regista esordiente, l'opera prima di Alice Rohrwacher CORPO CELESTE è senz'altro uno dei migliori esordi degli ultimi anni .
La regista, neanche trentenne, non vanta una lunga esperienza. La vediamo prevalentemente alle prese con il montaggio di documentari in passato. Chissà che non sia stata proprio quest'esperienza nell'ambito documentaristico a donarle la straordinaria abilità di "saper guardare". La storia, infatti, si snoda silenziosa, ma carica di una "sana rabbia adolescenziale", tra i mille dettagli che fanno sentire ancora di più che dietro la macchina da presa c'è una donna.
Un esordio che in qualche modo ricorda i primi fratelli Dardenne di "Rosetta" e "L'enfant", in modo particolare per la capacità di spiare quella vita quotidiana, che da sola basta a raccontare una generazione, una terra, una fede.
Protagonista del film la piccola Marta, che dopo aver vissuto per un periodo in Svizzera torna con la mamma (Anita Caprioli) e la sorella, a Reggio Calabria. Qui ci presta i suoi occhi per guardare in faccia una comunità cattolica "brutta" a tal punto da diventare grottesca e un'immensa periferia fatta di cavalcavia e tristi fiumare, che accrescono quella sensazione di desolazione e freddo che accompagna tutto il film.
Si è parlato inoltre, ancor prima dell'uscita in sala, di un'opera di denuncia verso la chiesa, e la regista stessa ha così smentito “Non volevo offendere la Chiesa, anzi, sono un’ammiratrice di padre Giacomo Panizza delle Comunità Progetto Sud e se dovessi scegliere tra Chiesa e tv, per mia figlia Anita che sto crescendo come atea, direi Chiesa”
Effettivamente, la sceneggiatura stessa non mette in evidenza critiche troppo forti, ma nonostante questo lo spettatore non può esimersi dal fare una riflessione intima e onesta sulla chiesa e i suoi apparati.
Renilde Mattioni
un film di Ivano De Matteo
con Monica Guerritore, Iaia Forte, Antonio Catania, Giorgio Gobbi, Victoria Larchenko, Myriam Catania, Elio Germano
Grand Prix e CICAE AWARD 2009
Corso di Scrittura Cinematografica
Il workshop è finalizzato alla stesura di una o più sceneggiature. Avrà una parte introduttiva teorica ed una parte esplicativa di ognuno dei passi fatti in itinere seguita da esercitazioni pratiche.
Il corso è rivolto sia a principianti, sia a coloro che abbiano già acquisito esperienze nel settore.
E' necessario che ogni partecipante venga con il proprio notebook per svolgere le esrcitazioni del laboratorio pomeridiano.
Programma didattico del corso
• Dall’idea al soggetto.
• Sviluppo di scrittura: scaletta, trattamento, sceneggiatura.
• Elementi di retorica e drammaturgia fondamentali nella narrazione cinematografica.
• Analisi di alcune sceneggiature
• Laboratorio sulla realizzazione di un soggetto cinematografico
Il corso si terrà a Roma sabato 30 giugno e domenica 1 luglio, 8 ore di full immersion giornaliere, dalle 10 alle 13 e dalle 14 alle 19 presso lo studio "La Situazione" via Casilina 5/E.
Numero massimo di allievi: 18
Costo totale : 250 euro (IVA inclusa).
L'intera cifra deve essere versata al momento dell'iscrizione su c/c bancario intestato a:
Associazione Culturale FuoriTraccia
IBAN: IT35 C060 5503 2240 0000 0001 016
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Andrea Purgatori è giornalista professionista dal 1974 collaborando con diverse testate nazionali. Inviato speciale per il Corriere della Sera, dal 1976 al 1998, si è occupato di terrorismo, intelligence, criminalità organizzata. É stato corrispondente di guerra nei territori di Africa, Medio Oriente, Balcani dal 1982 al 1998. Ha collaborato con BBC Radio. Autore e conduttore di reportage e programmi televisivi. Membro dell’Assemblea e del Comitato di vigilanza della Siae dal 2004; membro della giuria Premio Arnoldo Mondadori cinema-letteratura; insegna Tecnica dell’inchiesta presso la Luiss dal 1998. É coordinatore nazionale dell'Associazione Centoautori, membro del direttivo dell’Accademia del Cinema Italiano dal 2010, membro dell’European Film Academy dal 2010.
Numerosissimi i suoi lavori per cinema, televisione e letteratura:
• CINEMA/Sceneggiatore – Spettri (1986), Maya (1987), Panama Sugar (1990), Il muro di gomma (1991, Festival di Venezia, sel. ufficiale), Nel continente nero (1992), Il giudice ragazzino (1994, Festival di Berlino, sel. ufficiale/Blue Ribbon Award), Segreto di Stato (1995), Last cut (1998), Il fantasma di Corleone (2004), Fortapàsc (2009, candidato a David di Donatello, Nastro d’Argento e Ciak d’oro per la sceneggiatura, vincitore del Premio Elsa Morante Cinema, Premio internazionale Sergio Amidei per la migliore sceneggiatura); L’industriale (2011, Festival del cinema di Roma, evento speciale).
• TELEVISIONE/Sceneggiatore – La madre inutile (RaiDue 1996; Premio Italia, selezione ufficiale), Vite blindate (RaiUno 1998), Iqbal (RaiUno 1998, Montecarlo film festival, sel. ufficiale/Premio del pubblico; Banf film festival, sel. ufficiale; Monaco tv film festival, sel. ufficiale; New Dehli tv film festival, sel. ufficiale), Fine secolo (RaiDue, 1999), La vita cambia (RaiUno, 2000), Sospetti (RaiDue, 2000), L’attentatuni (RaiDue, 2001), Il terzo segreto (RaiDue, 2001), Un caso di coscienza (RaiDue, 2003), Attacco allo Stato (Canale 5, 2005), Un caso di coscienza/2 (RaiUno, 2006), Fratelli (RaiUno, 2006), Petrosino (RaiUno, 2006), Nati ieri (Canale 5, 2007), Graffio di Tigre (RaiUno, 2007), Operazione pilota (RaiUno, 2007), Caravaggio (RaiUno 2007, Roma Fictionfest, evento; Golden Chest award, best tv film; Montecarlo film festival, nomination for best actor; Shangai Film Festival, 4 nominations included best screenplay), L’amore proibito (RaiDue 2007, Roma Fictionfest, selezione ufficiale), Un caso di coscienza/3 (RaiUno, 2008), Il bambino della domenica (RaiUno 2008); Lo smemorato di Collegno (RaiUno 2009): Un caso di coscienza/4 (RaiUno 2009/2010): Lo scandalo della Banca Romana (RaiUno 2010, Fipa d’or Biarritz Film Festival per la migliore sceneggiatura, nomination come miglior miniserie ai Festival di Montecarlo e Shangai); Il bandito e il campione (RaiUno, 2010) Mia madre (RaiUno, 2010); L’amore proibito (RaiUno, 2011); Dov’è mia figlia? (Canale 5, 2011)
• RADIO – Coautore: Jack Folla (RadioDue 2001/2002), Zombi (Radio24, 2005).
• TEATRO – Coautore: Teatro Civile (con Marco Paolini, RaiTre 2004).
• SATIRA – Autore: Il caso Scafroglia (con Corrado Guzzanti/RaiTre, 2003), Non c’è problema (con Antonio Albanese/RaiTre, 2003), Aniene (con Corrado Guzzanti. Sky, 2011)
• Attore - Fascisti su Marte (Ambra Fandango, 2006); Boris (Fox Italia, 2008); Riprendimi (2008); Due vite per caso (2010, selezione ufficiale berlino 2010).
• NARRATIVA/SAGGISTICA/Coautore: La Piovra 5 (Rizzoli, 1991); A un passo dalla guerra (Sperling& Kupfer, 1995); Il bello della rabbia (Baldini & Castoldi, 1998): Teatro civico. 5 monologhi per Report: Teatro civico. 5 monologhi per Report: U-238-Cipolle e libertà-Trecentosessanta lire-Binario illegale-Bhopal 2 dic. '84 (Einaudi, 2004); I segreti di Abu Omar (Ambra/Fandango-Bur/Senzafiltro, 2007).
• PREMI CINEMATOGRAFICI: Nastro d'argento, miglior soggetto (Il muro di gomma, 1992), Premio Crocodile - Altiero Spinelli (1992), Premio Hemingway (1993), Premio Cinema per la pace (Il muro di gomma, 1993), Premio Cinema e società (Il muro di gomma, Nel continente nero, 1993), Globo d'oro, migliore sceneggiatura (Il giudice ragazzino, 1994), Premio Chinnici (1999), Premio Colombe d’Oro per la pace (2001), Premio Elsa Morante Cinema (Fortapàsc, 2009), Premio Internazionale Sergio Amidei per la migliore sceneggiatura (Fortapàsc, 2009), Fipa d’or, Biarritz Film Festival per la migliore sceneggiatura (Lo scandalo della Banca Romana, 2010).
Lo sguardo incrocia l’oscuro infinito. Specchi, finestrini, superfici riflettenti che mostrano qualcosa di inquietante, più lo si mette a fuoco e più diventa perturbante perché sempre più familiare, intimo, è la nostra immagine!
Il doppelgänger si stacca dal suo corpo, indossa scarpe da balletto, si muove a passi di danza, quelli del cigno, nero. Oscuro e seducente, umano tra gli umani, in vita per la morte, in un lago di cigni, in un lago di sangue.
L’incedere incerto, intimorito di una macchina da presa che va incontro a qualcosa di spaventoso, gli sta addosso, ci vuole avvertire: guarda che non è come sembra! Guardiamo ansimanti, palpitanti, è un balletto, eppure noi stiamo così, in una di quelle paure gelide, paure senza oggetti delle paure, agghiaccianti, pugni nello stomaco, fiati spezzati, respiri mozzati, paura assoluta, totale e totalizzante. Panoramiche risuonano tra le viscere.
Piume ispide come aculei, aghi, unghie come artigli che feriscono al passaggio ogni lembo di pelle. Una metamorfosi del corpo e della mente per accedere all’ossessiva, impossibile perfezione, maligna, distruttiva, disumana.
Negli anni ʽ80 fu David Cronemberg con La Mosca, remake del film L'esperimento del dottor K del 1958, a mettere in scena un Body Horror, con Jeff Goldblum in una metamorfosi distruttiva frutto dell’ossessione del riconoscimento sociale e della fama. Cigno e Mosca, una ballerina e una scienziato, corpi disumanizzati, menti oscurate, l’umano non umano.
Noi, la nostra immagine e corpo ovunque intorno. Una trasfigurazione, Io e l’altro, ma sempre io... qualcosa ci spaventa di noi, non si vede, solo percezione, sentore e monito, tangibile come un respiro, tocca le corde, i nervi, scorre dentro.
Volti disegnati ci seguono con lo sguardo e perseguitano, la mia immagine come un’ombra. Ho paura di me. Ma mi cerco. La paura di se stessi è protagonista.
Cigno nero e cigno bianco, carnefice e vittima nella stessa immagine, rappresentazione e materializzazione. Pensiero, configurazione infine metamorfosi di uno schizofrenico fantasmatico.
Il Cigno nero, metamorfosi nella gemella malvagia, il lato scuro, freddo dell’anima esce fuori, pesante, ci schiaccia, sovrasta, lo fa in punta di piedi, a passi di danza leggeri.
Bianchi spettrali, neri di morte, rossi di sangue, specchi non anonimi e riflettenti, ma rivelatori. Non esorcizza, Darren Aronofsky mette in scena: la morte del cigno, la morte dell’umano, la ricerca di una paranoica perfezione.
Disarmante, inquietante eterea bellezza, Natalie Portman è Nina, ballerina ambiziosa, partoriente della sua anima maligna, aiutata da braccia forti, quelle di Vincent Cassel, diavolo tentatore a sussurrare “l’unico ostacolo al tuo successo sei tu. Liberati da te stessa. Perditi Nina”, e da una madre, utero incapace di espellere definitivamente la sua progenie e i suoi fallimenti.
E Lily, il sesso, edonistica ossessione. Spudorata calamita, attrazione e repulsione dell’Es freudiano.
Il carillon non basta più in un mondo abitato da presenze perturbanti, inquietanti e specchi, finestre aperte su un baratro oscuro. La storia della ragazza che si tramuta in cigno si tramuta essa stessa nelle mani di Aronofsky.
Horror, thriller, noir, erotico, in una parola viscerale, dispiegamento allucinatorio dell’inconscio, fantasmi interiori, pulsioni, paure e desideri, Nina è l’Essere nudo e crudo, impuro, inerme, disperato, “la bambina non esiste più”.
Lidia Petaccia
Fra i primi film presenti a Venezia (in concorso alle Giornate degli Autori) già usciti nelle sale italiane c’è il nuovo film di Daniele Gaglianone “Ruggine” che ieri sera sono andato a vedere nella sempre accogliente e fresca sala trasteverina dell’Alcazar che fra l’altro ha un impianto audio e uno schermo adeguati per essere un cinema di “media” capienza.
Daniele Gaglianone posso dire di averlo seguito fin dai primi passi con molto interesse e stima, dalla collaborazione con Gianni Amelio per il “torinese” “Così ridevano” al suo primo, folgorante lungometraggio “I nostri anni” del 2000 legato a “Ruggine” a doppio nodo. Seguito dal bellissimo “Nemmeno il destino” (2003) e da “Pietro” presentato l’anno scorso a Locarno.
Il salto forse Daniele lo fa proprio quest’anno con “Ruggine” non tanto per contenuti o per stile che rimangono personali e riconoscibilissimi, ma per avere per la prima volta un cast a disposizione di prim’ordine; Valeria Solarino, Stefano Accorsi, Valerio Mastandrea e Filippo Timi tutti insieme.
Ora la bravura del regista torinese (seppure nato ad Ancona vive in Piemonte dall’età di sei anni) è stata proprio quella di dividere il film in due piani temporali, come per “I nostri anni”, ma sempre senza l’uso smodato del flash-back: in effetti paradossalmente abbiamo la sensazione di vedere in tempo reale il passato e solo come “proiezione” il presente dei tre ragazzini diventati adulti.
E “l’uso” che Daniele fa dei tre attori di spicco (Solarino, Accorsi e Mastandrea) è assolutamente geniale: ognuno agisce in un unico ambiente e in una unica unità temporale, non hanno contatti con l’esterno (quando invece da bambini erano sempre fuori casa, tutti insieme come una banda). Sandro/Accorsi è in un mini appartamento per passare una giornata con il figlioletto, Cinzia/Solarino in un’aula di scuola durante lo scrutinio e un bravissimo Carmine/Mastandrea preda dei fantasmi del passato in un bar di periferia dal quale non riesce ad uscire...
Filippo Timi invece è l’unico “adulto” del passato: ha il ruolo del dottore-malato che segnerà l’infanzia e la maturità dei tre ragazzini, è l’uomo nero che nelle favole mette paura e che nella realtà lo fa ancora di più perché i bambini sono innocenti, non credono al male.
Filippo Timi ha dei personaggi “imposti” per colpa/merito del suo corpo, della sua voce roca, ma quanto è bravo, quanto si fa respingere ma anche compatire quando incarna questi personaggi che fisicamente di sicuro lo mettono a dura prova.
Tornando alla regia di Daniele Gaglianone c’è qualche attenzione di troppo forse per la descrizione degli anni settanta (le figurine, i giochi di strada, le pubblicità, i telefoni, le Simca e le Fiat 126) ma l’ambientazione nel suo insieme è perfetta: la fotografia, i costumi, le luci, i suoni, i rumori e le musiche sono straordinarie (bravo e unico a non usare nemmeno canzone di quegli anni!!)
Attenzione, non lasciate la sala appena vedete i primi titoli di coda: c’è una ultima scena finale stupenda quanto onirica e toccante con la canzone "Un campo lungo cinematografico" suonata da “Le Luci della Centrale Elettrica”.
Ah dimenticavo!! in tutto questo parlare di Cinema il tema trattato nel film è la pedofilia: bravo Daniele anche nell’aver affrontato col massimo pudore un argomento di tale portata.
Ci sono modi per dire cose senza urlare che vanno più a fondo di un coltello.
Marco Castrichella
La settimana scorsa ho vissuto il piacevole ritorno alla sala dell’Eurcine, che ricordavo come una delle più confortevoli di tutta Roma. Anche questa ovviamente è stata “frantumata” in 4 mini-sale, ma per fortuna il film scelto era proiettato nella sala più grande e di conseguenza l’impatto traumatico sulla mia memoria è stato notevolmente attutito.
Il film che ho deciso di vedere è stato il nuovo di Roman Polanski “Carnage” fresco reduce dal Festival di Venezia. Plot e messa in scena di assoluto stampo teatrale, due sole inquadrature in esterno a camera fissa nei titoli di testa e nei titoli di coda. Tutto il film si svolge in un appartamento della migliore zona di Brooklyn a NYC. Quindi ci si potrebbe aspettare una cosa tipo “Repulsion” o “La morte e la fanciulla” o ancora “L’inquilino del terzo piano”. Niente di tutto questo: nessun giallo, nessun noir, nessuna “ossessione polanskiana”. Il film è una vera e propria commedia, brillante molto ritmata in perfetto stile Woody Allen con una sceneggiatura scoppiettante tratta dalla omonima pièce teatrale di Yasmina Reza “God of carnage” ovvero “Il dio della carneficina” titolo enfatico che invece per Polanski, come titolo del film, resta semplicemente, tremendamente, soltanto: “Carneficina”.
I protagonisti della storia sono due ragazzini che vediamo appunto solo all’inizio e alla fine, in esterno, da lontano, nemmeno riconoscibili (a proposito uno dei due è il figlio di Roman e vi sfidiamo a indovinare se è la vittima o l’autore del gesto che da il “La” al film). Chi invece irrompe dalla prima scena all’interno dell’appartamento sono loro quattro. Gli attori/genitori/attori che danno una immagine spaventosa della borghesia contemporanea, della upper class newyorchese ma non solo. Potremmo essere tutti noi al loro posto, a cercare di “mediare” una situazione banalissima e di riuscire, come loro, a tirar fuori il peggio di noi. Questa maschera di solidarietà e belle parole che ogni tanto cade e mostra tutte le nostre cicatrici, la nostra non-volontà di capire l’altro, magari attaccandoci ai nostri ridicoli totem, oggetti ridicoli come tazzine decorate, cataloghi di mostre d’arte, whiskey single malt, sigari tropicali, maglioncini sportivi, camicie firmate e stirate, palmari, iPad, iPhone... tutto “ai”...
Polanski non immette il giallo, non crea suspence, non serve più: gli è sufficiente “smascherare” due coppie per creare l’orrore, il massacro: appunto il dio della carneficina.
Qualcosa su questa nuova onda polanskiana si era già avvertita con il precedente “L’uomo nell’ombra” altro film legato a doppio filo con l’attualità, la corruzione e il malessere borghese.
Anche li il “teatrino” era quello di persone artificiose che fra l’altro occupano posti rilevanti nella nostra società. Beh i sottointesi e le allusioni di Polanski sono ancora più feroci in questo “Carnage” dove il malessere per gli atteggiamenti squallidi e banali non è più metaforico: tu ami l’arte? e io ti ci vomito sopra... hai i tulipani più costosi del quartiere? e io te li distruggo... il tuo bellissimo e utilissimo iPhone? te lo immergo nell’acqua!
Non so quanti degli spettatori ridessero (infatti non molto e non molti) perché si ritenessero non-coinvolti in questa “Carneficina” ma una cosa è certa, non è possibile dopo questo film addormentarsi tranquillamente... quindi, chapeau a Roman che pur cambiando le armi rinnova antiche provocazioni e coinvolgimenti. Lo stile alla Hitchcock (impossibile non pensare a “Nodo alla gola” per la messa in scena del dramma) da al film un respiro cinematografico di valore, senza restare ancorato alla ripresa “teatrale”.
Il finale con i due ragazzini lontanissimi da noi che nemmeno riusciamo a sentirli, figuriamoci capirli, mi ha invece inevitabilmente riportato alla mente il finale dello splendido film di Haneke “Cachè”. Non a caso anche li i “mostri” erano le coppie adulte, borghesi ed emancipate.
Marco Castrichella
Dopo aver subito un tentato omicidio, 7 colpi di pistola nella notte del 17 febbraio 2009 all’uscita di un teatro a San Saba a Roma, Stefano Calvagna viene arrestato e portato in carcere, dove trascorre un lungo periodo di detenzione. Fortemente provato dalla mancanza di libertà e dall’esperienza carceraria, inizia un dialogo con se stesso per riuscire a accettare il tormento di trovarsi detenuto, privo di libertà, lontano dalla propria famiglia; solo in un secondo momento cerca di ricostruire le cause che lo hanno portato a trovarsi in tale situazione: ne scaturisce da una parte la propria storia personale, dall’altra il ritratto di una società corrotta, avida di denaro e potere, che non da nessun valore all’individuo. Per circa due anni la sua vita è completamente divorata dalla detenzione a Regina Coeli, dagli arresti domiciliari, dal tribunale, finché nel 2011 decide di riemergere dall’abisso e riprendere la propria vita artistica. Da questa esperienza nascono un libro, edito da Graus Editore, che è stato presentato con grande successo di pubblico il 20 settembre a Palazzo delle Esposizioni di Roma, e un film, girato in tre settimane in agosto sempre a Roma, di cui dieci minuti di montato sono stati proiettati come anteprima all’ultimo Festival del Cinema di Venezia. Riflessione su se stesso e sulla situazione in cui si è trovato, non una difesa contro chi lo giudica.
Guido Laudani
Ieri sera al Nuovo Sacher ho visto questo piccolo, breve, delicatissimo film francese presentato con successo a Berlino e in diversi festival minori. Fortunatamente e inconsapevolmente è stato proiettato dai bravi esercenti morettiani in versione originale e dico fortunatamente perché se il doppiaggio è sempre da evitare lo è ancora di più quando si tratta di film con bambini protagonisti, le loro espressioni molto naturali non possono subire un doppiaggio in studio da parte di altri bambini. E’ assurda la sola idea.
Tomboy è il protagonista e ha 10 anni. Tomboy è un nomignolo. Il nome vero è Laure o Mikael. Tomboy è un termine pressappoco simile a quello che a Roma si usa per “maschiaccio” rivolto alle ragazzine con atteggiamenti maschili nel vestirsi, nella scelta dei giochi, nel parlare. Tomboy sta scegliendo la propria attitudine sessuale e nemmeno lo sa, forse. Tomboy lo capisci subito dal titolo che la regista decide di offrirci su sfondo nero prima con la scritta azzurra, poi rosa e poi finalmente alternata azzurra e rosa. Colorata non monocromatica come è giusto che sia la natura dei bambini.
Il periodo di svolgimento dell’azione è molto breve, dura meno di un’estate quella in cui i genitori che attendono un nuovo bambino, la sorellina Lisa e Tomboy si trasferiscono in nuovo appartamento. Anche in questo è bravissima Céline Sciamma: a non prolungare troppo la fase di “osservazione” nella vita di Tomboy. E’ un breve periodo, cruciale della vita del protagonista che ci permette di seguirne con la mdp attaccata al corpo movenze, reazioni, giochi, pensieri, senza troppe filosofie. Solo il quotidiano. C’è un’altra grandissima protagonista nella storia di Tomboy e badate bene non è Jeanne la ragazzina grande che inevitabilmente si “innamora” di questo nuovo arrivato, ma la sorellina Lisa. Straordinaria sia per come “recita” ma anche fondamentale nel ruolo. Lisa è l’unica che non si chiede perché Laure abbia deciso di “essere” Mikael. Lo accetta perché le vuole bene, si fida di lei e non ha la malizia e soprattutto il preconcetto dei grandi. E fra i grandi oltre a mamma e papà (più tenero e gentile sicuramente rispetto alla reazione materna in quanto “maschio” e potenzialmente più vicino al sesso che sta scegliendo la figlia) purtroppo ci sono già anche i coetanei di Tomboy... è con loro il vero confronto.
Naturalmente non dico nulla di più ma il finale scelto dalla giovane Sciamma è assolutamente da condividere, senza scene madri o forti, vero e bello come tutto il film. Direi che ricorda molto il finale dell’ultimo film dei fratelli Dardenne “Le gamin au vélo”.
E non è poco... tutt’altro.
Marco Castrichella
scadenza del bando: 15/12/2011
Sono aperte le iscrizioni per l’undicesima edizione del RIFF – Rome Independent Film Festival – Award 2012.Sono invitati a partecipare filmakers e produzioni indipendenti di tuttoil mondo in una delle 8 sezioni tra cui: lungometraggi, cortometraggi,documentari, animazione e sceneggiature. La sezione “new frontiers” darà particolare rilievo alle opere italiane selezionandole e proiettandole in prima serata.
QUOTA DI PARTECIPAZIONE:
Cortometraggi e documentari (dai 30 secondi ai 75 minuti): Euro 10
Film (oltre i 75 minuti): Euro 35
Sceneggiature: Euro 35
La sottoscrizione per tutti gli studenti è di 10 Euro
premi:
Euro 2.500 al primo classificato donati dalla Regione Lazio più un premio Distribuzioneofferto dal Nuovo Cinema Aquila, sede della manifestazione che consiste nella possibilità per il lungometraggio vincitore di rientrare nella programmazione del cinema. Verranno inoltre assegnati i RIFF Awards per un valore complessivo di oltre 50.000 Euro.
link da cui scaricare la documentazione per l'iscrizione:
http://www.riff.it/bando-di-concorso/
scadenza del bando: 30 /09/2012
Concorso video max 30secondi per la realizzazione di uno spot comico,con obbligo di inserire due frasi, all'inizio RISO FA BUON SANGUE, e alla fine DIVENTA ANCHE TU DONATORE!!!
Gli Amici del cabaret Lendinara - Rovigo, in collaborazione con l'AVIS VENETO E AVIS PROVINCIALE di Rovigo e con il patrocinio della Provincia di Rovigo, bandisce la seconda edizione edizione del Premio “Riso fa buon sangue 2012 – spot comico”, l'intento è di valorizzare, promuovere la donazione del sangue utilizzando anche i video come forma di espressione valida a sviluppare le potenzialità dei linguaggi artistici dei nuovi media.
QUOTA DI PARTECIPAZIONE: gratis
modalità d'iscrizione:
Il video dovrà essere spedito entro il 30 Luglio 2012 con: posta ordinaria, prioritaria o raccomandata semplice senza ricevuta di ritorno, al seguente indirizzo:
Premio “Riso fa buon sangue 2012 – spot comico”,
Associazione Amici del cabaret, piazza Risorgimento 16,45026 Lendinara (RO)
link da cui scaricare la documentazione per l'iscrizione:
www.risofabuonsangue.it