Il brillante cardiochirurgo Steven (Colin Farrell, qui a Cannes anche con The Beguiled di Sofia Coppola) decide di prendere sotto la sua ala protettrice il giovane Martin (Barry Keoghan, che tra poco vedremo in Dunkirk di Chris Nolan). Il loro è un rapporto strano, un alone di mistero lo avvolge. L’adolescente pian piano si fa largo all’interno della famiglia del medico, ed il dottore stesso viene invitato a casa del ragazzo. Improvvisamente qualcosa di inspiegabile capita a Bob (Sunny Suljic), figlio di Steven. Nessuno riesce a capire cosa stia succedendo, in quanto il ragazzino sembra essere perfettamente sano. Da qui in poi le parole, che sarebbero spoiler, si fermano per lasciare spazio alla disamina critica. The Killing of a Sacred Deer è un film da scoprire in un crescere di suspense attanagliante. L’ultima fatica del regista Yorgos Lanthimos è inquietudine allo stato puro.
Al Festival di Cannes 2015 il suo The Lobster si portò a casa il Premio della Giuria. Anche in questa edizione non rimane a bocca asciutta. Ex aequo con You Were Never Really Here di Lynne Ramsay, l’autore greco vince il premio della miglior sceneggiatura, scritta con Efthymis Filippou. Ed è proprio da qui che partiamo, da un soggetto ispirato alla mitologia greca: la dea Artemide che si vendica con Agamennone per aver ucciso un cervo a lei sacro. Su questa base si articola la geometrica scrittura di quest’opera tanto originale quanto angosciante. Script lineare che si sviluppa su un unico strato temporale, in grado di cambiare con disinvoltura registro, spostando il campo gravitazionale su gag feticiste e grottesche, senza mai far cadere la tensione. Anzi, le stranezze ed i rapporti ambigui amplificano il senso di disagio nello spettatore. Tutto diviene estremamente horror. Splendidamente codificato ed articolato. In più ci si mette una regia che si concentra su inquadrature a 180°, che inglobano i protagonisti all’interno degli ambienti. Quest’uso eccessivo diventa disturbante da poter essere paragonato agli avvenimenti proposti. Tutto fa atmosfera: la vera forza di The Killing of a Sacred Deer.
Direzione artistica potente e compiaciutamente distorta che incolla allo schermo in un’ascesa verso la sacralità e l’espiazione dei propri peccati. Diventa film di genere, del tutto decifrabile e spiccatamente moralista, ma per nulla scontato. Non mancano i tratti stilistici di Lanthimos: immagini atte ad impressionare, come il cuore aperto della primissima inquadratura o il sangue mistico di Bob. Forma che si incolla alla colpevolezza ed innocenza dei personaggi. Colpa ma non dolo, sottolineata anche da un commento musicale che taglia come un bisturi. Ti apre senza pietà potenziando la drammaticità della sceneggiatura.
L’ansia che ti prende lo stomaco è tremenda, complice un cast glaciale, che si armonizza con le intenzioni dell’autore. Su tutti Anna (Nicole Kidman, quest’anno con ben quattro film sulla Croisette), moglie di Steven, la sua è un’interpretazione energica, ma calibrata. Il suo sguardo si adatta ad ogni situazione, all’occorrenza deciso o sterile. La semplicità di passaggio è sinonimo di padronanza e grandezza attoriale.
Lanthimos si lascia andare solo nel finale. Il suo orologio infernale stecca solo verso la mezzanotte. L’ultimo rintocco non è che non realizzi in suo scopo, li ci è arrivato con largo margine. Una vetrina finale un po’ troppo compiaciuta stride con il resto della giostra. Palio infernale che sarebbe piaciuto anche al puntiglioso, ma geniale Stanley Kubrick.
David Siena