Rester Vertical ha aperto la competizione del Festival di Cannes 2016. E se il buongiorno si vede dal mattino, possiamo affermare che qualche nuvoletta di troppo quella mattina c’era. Non come nel meraviglioso cielo, che sovrasta le sterminate praterie della Lozère francese, dove il film ha inizio. Leo (Damien Bonnard), giovane sceneggiatore e regista, durante una scampagnata alla ricerca di un lupo, si imbatte nella giovane e carina Marie (India Hair). Il loro incontro esplode e fa scintille dal primo sguardo. Insieme hanno un figlio, che per lei subito dopo diventa ingombrante. Leo però è un giovane senza una fissa dimora e il suo andirivieni dalla città alla campagna fa nascere in Marie dei dubbi sulla sua persona. Lei lo lascia con il pargoletto da accudire. La vita, già un po’ stramba di Leo, si complica maggiormente. Succedono tante cose strane che mettono a repentaglio l’intera esistenza del ragazzo. Avvenimenti discutibili sotto la calda lente della società. Ci domandiamo: “Forse stanare quel lupo è stata una buona idea?”
Negli intenti del regista Alain Guiraudie c’è proprio quello di andare a cercare quell’animale feroce per provocarlo e dimostrargli che si può rimanere in verticale (in tutti i sensi possibili), con orgoglio davanti a lui, qualsiasi sia il modo di approcciare la vita. Dimostrare di non avere paura per non farsi mangiare. Sbattergli in faccia, e il regista francese lo fa con scioccanti immagini: genitali in primo piano, un vero parto e un rapporto omosessuale, che la libertà di espressione è fondamentale e primaria nella vita di un individuo.
Guiraudie, non alla prima presenza al Festival di Cannes, con il suo Lo sconosciuto del lago (L'Inconnu du lac), presentato nella sezione Un Certain Regard nel 2013, ha vinto il premio per la regia.
Diretto con mano ferma, l’autore posiziona la telecamera esattamente dove il suo occhio e il suo spirito voglio andare a parare. Oggetto di alta tecnologia che diventa un proseguimento di se stesso, il mezzo per farci capire quanto ci sia di autoreferenziale in questa sua nuova pellicola.
La pecca maggiore che possiamo imputare al film è quella di riempirsi fino all’accesso di situazioni bizzarre. Non c’era bisogno di traumatizzare all’eccesso. Scuotere fa bene allo spirito e alla mente, ma quando si riempie, nel vero senso della parola, un contesto con troppe esplicite provocazioni, lo spettatore si ritrova esasperato e in continuazione balzato dentro e fuori dal significato del film. Non che poi ci si senta vuoti, ma sinceramente un po’ depistati e costretti ad assistere a qualcosa che sembra essere prettamente autoreferenziale. Un sali e scendi che non aiuta a portare in porto quella che inizialmente sembrava un ottima idea.
Non si può dimenticare di lodare la splendida fotografia del lungometraggio. Paesaggi che sembrano coccolare il povero Leo, che nel suo ferreo giustificare le proprie azioni, tramuta la sua figura in qualcosa di borderline: bamboccione o difensore della patria? Non si dovrebbe arrivare fino a questo punto.
Eccedendo si passa quasi dalla parte del torto.
L’agnellino tenuto in braccio nel finale davanti a lupi è chiaramente l’essere più innocente in balia del mostro. Come se Leo avesse in mano il proprio bambino, che non fosse altro che la versione in fasce di se stesso.
David Siena