Nel panorama dei Festival contemporanei, Looking for Grace, diretto e scritto dall’australiana Sue Brooks (al Festival di Venezia nel 2003 col bellissimo Japanese Story), per molti addetti ai lavori potrebbe passare inosservato. Certamente non brilla in originalità, ma a dispetto di polpettoni dilatati e tediosi, nella drammaticità del film troviamo un insolito umorismo, che funziona e stempera i disastri legati al destino ineluttabile di una famiglia qualunque.
L’ironia (tipicamente australiana?) tiene a galla il film diviso in diversi capitoli legati ai personaggi principali. Questi, incrociandosi, formano un puzzle figlio del caso. Dalla vicenda principale, la fuga di Grace (Odessa Young, presente alla Mostra di Venezia 72 con un altro titolo: The Daughter), teenager in erba alle prese con le problematiche tipiche delle sua generazione, scaturiscono avvenimenti imprevisti. Segreti, bugie e ansie, chiusi per troppo tempo nella monotonia quotidiana, esplodono coinvolgendo tutta la famiglia e non solo. La ragazzina verrà a contatto con la realtà, fino ad allora nascosta dai genitori. Le mancanze del padre (Richard Roxburgh, Moulin Rouge – 2001) e della madre (Radha Mitchell, Silent Hill – 2006) creano asprezze ed evidenziano le incomprensioni che trovano i ragazzi d’oggi nel rapporto con gli adulti.
Looking for Grace, non solo è diretto da una donna, ma è un film realizzato quasi completamente da donne (dalla direttrice della fotografia ad un trio di produttrici) per le donne. Un cinema al femminile che parla al gentil sesso contemporaneo, accumunato ed impantanato, ancora nostro malgrado, ad un folle conformismo.
Il titolo del film, non è solo riferito alla ricerca di Grace, ma soprattutto alla ricerca da parte dei personaggi di se stessi e della grazia. Vera sfuggevole condizione, che ogni essere umano ricerca spasmodicamente per dare un senso alla propria vita. Caccia al tesoro o estenuante partita nella quale tutti cercano il pallone. Come bambini spinti dalla voglia di arrivare prima di altri per segnare un goal strepitoso e portare la propria squadra verso la vittoria. Molte volte la grazia risiede nei gesti comuni, come vedere i propri genitori che si allacciano le scarpe. Attimi che ci ricorderanno quella persona per sempre e ci conforteranno nei momenti difficili. Luce in uno scenario di tenebra.
Se fossimo tutti più comunicativi (a parole) e meno legati al caos mediatico (cellulari e social media), la pace sarebbe più a portata di mano. Pace intrinseca alla zona geografica nella quale è ambientato il film: la Cintura del grano. Meravigliosa regione dell’Australia occidentale caratterizzata da ampi spazi aperti, che assume una forte e naturale valenza simbolica di semplicità in contrasto con le problematiche caotiche e personali dei protagonisti. La regista con questo mette anche in contrasto la vastità del mondo con i piccoli momenti intimi ripresi nel film: primi piani ad oggetti e parti del corpo. Esplora e studia la complessità dell’esistenza.
Looking for Grace attraverso il suo viaggio on the road ci parla d’amore, di legami d’amicizia e famigliari e di crescite e cadute personali. Compresa la morte alla fine della strada. Insomma di persone normali legate all’unica vera cosa dalla quale non si può sfuggire: il fato. Realtà oggettiva e tarlo ossessivo della regista.
Il film è ancora in attesa di una distribuzione Italiana.
David Siena