Giallo è il classico reietto della società consacratosi al sadismo folle. Egli sceglie le sue vittime in base alla loro bellezza, provando piacere nel torturarle. Le sottopone ad indicibili sevizie, lasciandole a lungo agonizzanti, fino a quando non è completamente appagato. Poi le uccide brutalmente e si disfa dei loro corpi.
Celine (Elsa Pataky) è una modella americana ed è stata l'ultima ragazza ad esser rapita mentre si accingeva a raggiungere la sorella Linda (Emmanuelle Seigner). Linda allarmata si rivolge alla polizia che affida il caso all'ispettore Enzo Avolfi (Adrien Brody) che conosce bene la psicologia del serial-killer.
Giallo/Argento nasce come opera sofferta con difficoltà distributive, nonostante un budget di 14 milioni di dollari, una coproduzione con l'americana Hannibal ed una scelta di protagonisti importanti. Molte le impasse che gravano pesantemente sul film: la sceneggiatura si mostra a tratti imbarazzante, priva di pathos e di effettivi colpi di scena, la regia troppo scolastica, lontana anni luce da quel Profondo Rosso che ci ha segnato indelebilmente. Nessuna pienezza, ansietà, tutto è spento, vacuo, sbiadito nonostante una fotografia densissima. Sembrerebbe un tentativo di avvicinamento ad uno stile scarno e minimalista, un horror poliziesco veloce che segue una narrazione più televisiva che un cinema di ampio respiro. La trascuratezza della sceneggiatura pregiudica ancor di più il risultato finale, banalizzando il tutto, non offrendoci nulla di nuovo e originale, proponendoci il solito schemino basico che non spicca mai il volo. La rappresentazione del killer è farsesca e purtroppo fa sorridere, nella sua involontaria goffa messa in scena, con lui si estrinseca la nemesi: mostro e poliziotto sono facce della stessa medaglia, simili vissuti di drammi esistenziali che hanno generato percorsi antitetici, uno snodo che ci rimarca come il confine tra bene e male sia davvero sottile. I numerosi flash back non sono utili a delineare un background efficace, appiattendo ancora di più i ruoli che fanno accostare i personaggi più a forme inconsistenti di cartone che ad esperienze ricche di sfaccettature. L'intento citazionistico e culturale fa scaturire forse la cosa più bella dell'intero film, rappresentata, assieme al manifesto de Il Buono Il Brutto e Il Cattivo, dalla svolta zen legata ad uno dei delitti. Una giovane donna, consegnandosi alla trascendenza, nel suo ultimo anelito di vita sussurra un mantra “la mia vita non conosce frontiere, non sono mai nata e non morirò mai”. Il senso profondo e certamente inespresso di tutto sta forse qui, nella ciclicità di ogni cosa, dove il male è solo un comprendere più ampio di rettitudine, ritrovando in ogni vittima un carnefice.
Chiara Nucera