Braddock (Pennsylvania). L'operaio Russel Baze (Christian Bale) si alterna tra un lavoro senza prospettive di futuro in un'acciaieria e le cure del padre malato terminale. Suo fratello Rodney (Casey Affleck), dopo quattro anni di servizio militare in Iraq, rimane coinvolto in un giro di incontri di lotta clandestini e scompare misteriosamente. Davanti all'incapacità della polizia di fornire risposte concrete, Russel si mette privatamente alla ricerca del fratello. Le traccie lo porteranno sulla strada di Harlan DeGroat (Woody Harrelson), spietato boss della malavita locale.
Il sogno americano, propinatoci a partire dal secondo dopoguerra, è definitivamente fallito e Scott Cooper sembra essersene accorto solo oggi. Insomma, meglio tardi che mai. Il regista di Crazy Heart mette in scena la storia di un anti-eroe sconfitto della classe operaia americana che si interroga sul senso di giustizia, vendetta e coraggio. Le dinamiche però sono quelle trite e ritrite del rabbioso provincialotto filo repubblicano che, di fronte alla totale inadeguatezza del poliziotto grasso di turno (Forest Withaker), imbraccia il fucile da caccia per farsi giustizia da solo, in nome del più tradizionale dei valori: la famiglia.
I protagonisti, simboli del fallimento dello sfavillante sogno americano, sono quelli a cui il proprio paese, “la terra delle opportunità”, ha sempre voltato le spalle; il padre muore di cancro dopo una vita passata in acciaieria, mentre Rodney lotta per non affogare nei ricordi strazianti dell'Iraq e nella condizione di immobilità che gli si pone davanti.
Tuttavia la rabbia di questa classe subalterna è rabbia di plastica, falsa, artificiosa e secondaria rispetto al vero obiettivo del film, che tenta civilmente di abbellire, ossia, intrattenimento trasversale made in U.S.A.
Niente a che fare con il disturbante Killer Joe (William Friedkin, 2011), ritratto di un'America dominata dal caos, in cui la violenza dello Stato stupratore si abbatte spietata su una famiglia di redneck texani.
L'apice massimo del film di Cooper rimane comunque l'omicidio di Rodney per mano del malvagio DeGroat, consumato con una ritualità da sacrificio umano, mentre le immagini di un cervo appena cacciato e scuoiato da Russel e zio Red si alternano nel montaggio.
La storia d'amore troncata fra Russel e Lena (Zoe Saldana, invece, è un elemento inserito svogliatamente più per compromesso commerciale che per far fronte a una concreta esigenza narrativa.
Gli attori (da Bale a Dafoe, da Affleck a Harrelson) sono indubbiamente fra i più talentuosi del panorama hollywoodiano contemporaneo, ma le loro perfomance sono irrimediabilmente compromesse da personaggi pensati male in partenza.
È come infatti se a Cooper nulla interessasse veramente, come se tutto gli fosse indifferente. Il risultato è una sceneggiatura insapore dalle deboli ambizioni civili e una messa in scena noiosa e priva di personalità che è valsa a Cooper il premio per la miglior opera prima/seconda al Festival Internazionale del Film di Roma (come se questo fosse mai stato un sinonimo di qualità).
Dopo la crisi economica del 2008, parte dell'industria hollywoodiana sembra propensa a sfornare un numero sempre più rilevante di pellicole che mettono in dubbio lo spietato sistema economico capitalista, sul quale, per altro, sono fondati gli stessi studios.
Inoltre è ormai nota a tutti la propensione delle major cinematografiche americane di grattare il fondo del barile; ma ha veramente senso che Hollywood racconti le condizioni operaie utilizzando le medesime formule con i medesimi risultati di trent'anni fa? Il duello finale fra Bale e Harrelson nell'acciaieria, simbolo del sacrificio operaio, ne è forse il risultato più aberrante.
Il fuoco della vendetta – Ouf of the furnace, prodotto da Leonardo Di Caprio e Ridley Scott, uscirà nelle sale italiane il 27 agosto. Fate voi.
Angelo Santini