Prima visione del nuovo anno con il buon vecchio Clint Eastwood che ritorna al biopic o meglio alla riscrittura della recente Storia americana. Dopo un paio di film intimisti (l'ultimo "Hereafter" addirittura sul contatto dei vivi con la morte) torna sul suo terreno preferito, quello che gli permette ricostruzioni con documentazioni storiche accurate con tanto di costumi e scenografie impeccabili. Riconosciamo da subito il Clint di film come "Bird" o "Invictus" e ancor di più del dittico su Iwo Jima. Per la sceneggiatura si avvale questa volta del giovane Dustin Lance Black lanciato a Hollywood dallo script di un altro biopic importante vale a dire "Milk" diretto da Gus Van Sant.
Eastwood accetta e si imbarca in un racconto a piani temporali alternati per cui costantemente subiamo sbalzi cronologici piuttosto difficili da digerire soprattutto per l'effetto "trucco" sui tre protagonisti principali della storia. I tre attori diciamolo subito a scanso di equivoci sono in stato di grazia: Di Caprio / J.Edgar Hoover è monumentale e regge sulle spalle buona parte del lungo film (135 minuti), Naomi Watts / Helen Gandy rinuncia a qualsiasi connottato da bellissima per intepretare la fedelissima segretaria che accompagnerà J.Edgar dall'inizio alla fine, e infine Armie Hammer / Clyde Holson braccio destro di Hoover nemmeno troppo segretamente di lui innamorato ma non corrisposto, sebbene appagato da intere giornate, pranzi e divertimenti condivisi con la sua anima gemella. L'omosessualità repressa di Hoover è presentissima nelle disgressioni eastwoodiane nell'Hoover privato, quello che nessun americano ha mai potuto conoscere visto che i dossier li ha inventati proprio lui.
Edgar J. Hoover è un personaggio se vogliamo molto simile al nostrano "Divo" Giulio, un uomo che dal 1924 fino alla morte (nel 1972) è stato direttore della F.B.I. sopravvivendo a ben otto Presidenti degli Stati Uniti d'America. Quando il Presidente Coolidge lo mise a capo del Bureau il servizio investigativo federale contava appena 600 agenti, disarmati e inefficienti ai fini di qualsiasi inchiesta quanto un burocrate di secondo piano. Con Hoover il reparto arrivò negli anni sessanta a 6.000 agenti e negli anni Hoover approntò il più efficiente archivio di impronte digitali, di dossier personali e laboratori scientifici puntualmente usati per processi di qualsiasi tipo, soprattutto per quelli politici. Di dichiarati ideali conservatori spesso agiva al limite e oltre le regole per ottenere il risultato finale, sempre lo stesso: l'annientamento dei potenziali "nemici" della democrazia americana.
Tutto questo a onore di Eastwood viene fuori anche se in modo caotico e a volte stucchevole: c'è infatti quel lato personale che tutto sommato permette allo spettatore di impietosirsi di fronte al rude e spietato G-Man. Che poi tanto coraggioso non è... sempre in seconda fila, un vigliacco forse, che ha bisogno di una scrivania rialzata per sentirsi superiore ma anche di fumetti, interviste, biografie inventate che ne narrano improbabili arresti di temibili gangsters.
I saliscendi narrativi sono il sale ma anche il limite di questo film: curatissimo ma frettoloso in alcuni passaggi fondamentali, dilatato, melenso e ripetitivo in altre situazioni, leggi il rapimento del figlio di Lindbergh o le scenne con la madre (una impeccabile Judi Dench). E poi come dicevo all'inizio il "racconto" della latente omosessualità del protagonista diventa troppo rilevante rispetto all'altissimo interesse della biografia, un po lo stesso errore che segnò a mio parere "Bird" film meraviglioso ma troppo incentrato sul rapporto di Charlie Parker con la droga.
Colonna sonora del tutto assente con un unico tema al piano, naturalmente dello stesso Clint. Anche qui un eccesso, stavolta di assenza.
Nota di merito al Fiamma che ha programmato il film nella sala grande doppiato e per noi "pochi" puristi una splendida versione originale in sala 3.
La più bella sala 3 di Roma.
Marco Castrichella