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Scade il: 31/03/2012
Premiare corti dedicati al carpooling: è questa l’iniziativa lanciata da postoinauto.it con l’obiettivo di sensibilizzare il pubblico alle tematiche della mobilità sostenibile. Il principale portale di carpooling italiano vuole conquistare nuove fasce di utenti rivolgendosi in particolare a giovani creativi disposti a prendere in mano una telecamera e a riflettere – attraverso la realizzazione di un breve film o spot – sul tema della condivisione dell’auto come una delle soluzioni più efficaci e immediate per combattere traffico, inquinamento e i continui aumenti dei prezzi dei carburanti. Il concorso premierà artista e opera vincente con 500 euro e un forte ritorno in termini di visibilità. Oltre al premio in denaro per il vincitore, alle opere migliori selezionate dalla giuria verrà garantita ampia visibilità grazie alla pubblicazione sul sito e alla diffusione presso i partner di postoinauto.it e numerosi media italiani. La partecipazione è gratuita, per singoli e gruppi e non vi sono limiti di età o residenza.
Info: www.cortoinauto.it/
Méte (Andrea Bosca) è un trentenne irrisolto, esperto di grafologia, della quale ne ha fatto una professione, la sua crisi esistenziale inizierà quando il padre, che da molti anni ha una nuova famiglia spagnola, decide di ufficializzare il suo lungo sogno d'amore. Belinda (Miriam Giovannelli), è la bellissima e conturbante sorellastra che, giunta all'improvviso, provocherà in Méte inconfessabili fantasie. Con l'avvicinarsi della data delle nozze, il giovane si troverà a dover fare i conti con le proprie insicurezze, con un genitore assente per gran parte della sua vita e con una tempesta ormonale dagli incestuosi risvolti.
Come in un doppio sogno di stampo kubrickiano mi risveglio con la necessità di commentare brevemente due film in uno. E non a caso.
The Artist e Hugo Cabret sono due film con poco da analizzare. Due film trasversali, direi "immediati" nel senso buono del termine. Diciamo pure due "Cinema Paradiso"...
Il commento nella forma inedita "due in uno" è perché in primis sono i due film che dovrebbero contendersi la serie infinita di statuette nella imminente kermesse di Hollywood e già questo la dice lunga.
Secondo, le due pellicole sono, ognuna a suo modo, una dichiarazione d'amore verso il Cinema delle origini.
Terzo motivo se dopo la visione del film francese non avevo tanta voglia e necessità di scriverne, la visione di ieri pomeriggio di Hugo mi ha spinto a "riesumare" le sensazioni avute durante e dopo la visione di "The Artist" di circa un mese fa.
Dunque dicevo che i due film sono due atti d'amore verso la settima arte. Ma se Scorsese parte da Melies e dalle origini del Cinema per farci capire quanto sia bello, vitale e magico entrare ancora oggi in una sala cinematografica e innamorarsene, Hazanavicius "usa" il cinema muto come chiave sentimentale per raccontare una semplice storia d'amore. I due percorsi si incrociano, vero, ma proveniendo da parti opposte.
Il francese Hazanavicius racconta una storia americana con gli occhi del nostalgico europeo per il buon vecchio cinema muto in bianco e nero, mentre il più americano dei registi contemporanei Martin Scorsese usa il 3D quindi il massimo della modernità tecnologica per raccontare le avventure di un ragazzino francese prigioniero dei suoi sogni e della Parigi di inizio secolo dove il Cinema nasce senza stelle, studios o divi. Esattamente l'opposto.
Addirittura il mago delle origini del Cinema vive in un anonimato commovente, molto più del bel divo americano decaduto per colpa dell'avvento del sonoro.
Il primo si chiama Georges Méliès ed è un pioniere, il secondo è uno delle tante star consumate dall'infernale meccanismo hollywoodiano.
Se Hazanavicius ricorda il passato ma non dichiara un bel niente pur sapendo comunque raccontare una romantica storia d'amore con bellissime musiche e un delizioso bianco e nero, Scorsese dichiara tutto il suo amore non per il "movie-system" ma per la sala, per la cinepresa, per la pellicola, per il montaggio, per il sapore del Cinema. Alla maniera di Francois Truffaut per intenderci, e come per molti film di Truffaut chi meglio dei bambini può incarnare lo spirito immaginifico del Cinema? Naturalmente per far questo ci porta dove il Cinema è nato: a Parigi. In una stazione dove vive il piccolo Hugo e non a caso dove i fratelli Lumiere fecero le loro primissime riprese, dove sono nate le prime sale di proiezione. Proprio in Europa dove il Cinema era ancora... magìa prima ancora che spettacolo e industria come poi sapientemente gli americani avrebbero saputo fare.
Ecco è questo l'aspetto dei due film che mi premeva sottolineare anche se naturalmente c'è molto altro in "Hugo Cabret": il passaggio del tempo scandito dagli ingranaggi impietosi degli orologi della stazione, l'automa con tutte le implicazioni e le citazioni del caso, l'infanzia rubata, la mancanza dei genitori, la ricerca dell'anima gemella, lo scopo della propria esistenza.... <<Mi piace immaginare che il mondo sia un unico grande meccanismo. Sai, le macchine non hanno pezzi in più. Hanno esattamente il numero e il tipo di pezzi che servono. Così io penso che se il mondo è una grande macchina, io devo essere qui per qualche motivo. E anche tu!>>.
Che dire? Viva il Cinema e quindi Viva The Artist e Viva Hugo Cabret.
Anche se i brividi e un tuffo al cuore l'ho provato solo quando ieri pomeriggio scorrevano le immagini del Viaggio nella Luna e guarda caso proprio in quel momento il mio nipotino dalla sua poltrona con un balzo si è venuto a mettere sulle mie ginocchia per vedere meglio cosa stava succedendo su quel "magico" schermo.... naturalmente con gli occhialini in 3D!!
Marco Castrichella
“Cesare deve morire”, il film di Paolo e Vittorio Taviani, trionfa a Berlino e si aggiudica l’Orso d’Oro alla 62ma edizione del Festival. E mentre le tv sembrano prestare più attenzione al festival di San Remo, i fratelli Taviani riportano in Italia uno dei premi più prestigiosi della Berlinale, dopo ben 21 anni. Infatti, l'ultimo premiato al Festival fu Marco Ferreri nel 1991 con "la casa del sorriso" .
Modeste e toccanti le parole dei due artisti che senza pensarci due volte hanno dedicato il premio ai detenuti del Rebbibbia «Ci dà gioia soprattutto per chi ha lavorato con noi...Sono i detenuti di Rebibbia guidati dal regista Fabio Cavalli che li ha portati al teatro. Questi detenuti-attori hanno dato se stessi per realizzare questo film. Ci fa piacere vincere un premio in un festival come questo che non ha un indirizzo generico, ma che al contrario ha un carattere molto specifico: cerca forze nuove e cerca forze che si appassionano a tematiche sociali».
E hanno aggiunto: «In questo momento anche nelle celle di Rebibbia i nostri attori, i nostri amici i nostri complici, perché quando si fa insieme un'opera siamo dei complici, penso che siano là e si sentano vicini a noi».
Altra sorpresa alla Berlinale, è stata la conquista da parte del film “Diaz. Non pulire questo sangue” del secondo premio del pubblico. Il film di Daniele Vicari ha ricevuto il secondo dei tre premi assegnati da una giuria di spettatori, l'opera aveva ottenuto anche un grande successo da parte della critica oltre al pubblico.
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