Bruna (Isabella Ragonese), graziosa estetista tradita dal fidanzato e pressata dai
creditori, riceve una confessione in punto di morte da una cliente, a cui lima le unghie in carcere. Norma Pecche (Katia Ricciarelli), madre di un famoso bandito, ha nascosto un tesoro di gioielli in una delle otto sedie del suo salotto. Sprezzante del pericolo, Bruna comincia una rocambolesca ricerca delle sedie, sequestrate dal tribunale e vendute separatamente all'asta. Ad aiutarla ci sono Dino (Valerio Mastandrea) disilluso tatuatore divorziato, e Padre Weiner (Giuseppe Battiston) prete cattolico con il vizietto dei videopoker.
La commedia è un'arte nobile e nel suo ultimo film Carlo Mazzacurati ne mette in scena i codici con sicurezza e dedizione.
Scomparso lo scorso gennaio dopo una lunga malattia, il regista padovano conclude con un sorriso una carriera lunga più di trent'anni (cominciò come aiuto regista per Nanni Moretti), chiudendo anche una brillante trilogia di commedie, iniziata nel 2000 con La lingua del santo e proseguita nel 2011 con La passione.
Tornano immancabilmente due elementi centrali della filmografia di Mazzacurati: lo sfondo della tanto cara provincia veneta e la figura dei losers, piccoli uomini inadeguati a raggiungere il proprio obiettivo.
La trama ricorda in parte quello del romanzo russo Le dodici sedie di Il'ja Arnol'dovič Il'f e Evgenij Petrovič Petrov, già adattato per il cinema da Mel Brooks nel 1970 (Il mistero delle dodici sedie) e al quale Mazzacurati ammette di essersi ispirato in fase di scrittura. Il romanzo, ambientato nella Russia del 1927, racconta le imprese di un nobile zarista decaduto e di un astuto truffatore per recuperare dei diamanti nascosti nell'imbottitura di un antico servizio di dodici sedie, saccheggiate durante la rivoluzione d'ottobre. Ma a parte l'idea iniziale, il film di Mazzacurati vira verso altri obiettivi.
Nella loro ricerca, i protagonisti si imbattono in una serie di situazioni e personaggi surreali dello spaccato veneto - e non solo -, sempre in bilico fra le ombre di un passato diffidente e bifolco, e quelle di un futuro multietnico, che si affaccia timidamente. Si passa dal vile squallore del Mago Kasimir (Raul Cremona), celebre fenomeno da baraccone regionale, all'inquietante ambiguità della comunità cinese, da un fioraio indiano estorsore (Marco Marzocca), ai due singolari pastori confinati nelle montagne sperdute ed estranianti del Trentino. Estremi opposti che mettono in luce le contraddizioni di un paese tanto proiettato verso il futuro quanto ancora chiuso e reazionario.
Non è un segreto che in Veneto, molto più che in altre regioni d'Italia, le istanze qualunquiste e filo-razziste della Lega Nord, data per morta due anni fa poi tornata sorprendentemente alla ribalta, siano ancora maggiormente radicate.
Questo legame morboso non è mai palesato all'interno film da chiassose ambizioni civili, ma osservato e descritto con “la giusta distanza” - come recita il titolo di uno dei più celebri film di Mazzacurati - e delinea proprio quel contesto sociale che tende a trasformare i protagonisti in outsiders del loro tempo.
La ricerca del tesoro diventa quindi un pretesto per mettere in scena le diverse facce di una regione, a sua volta specchio dell'intera penisola, e le mutazioni subite da essa negli ultimi decenni.
Mazzacurati disegna i suoi protagonisti con un affetto smisurato – compresa la tragicomica uscita di scena di Battiston -, che sfocia a volte in un affettuoso paternalismo.
La tenera intesa fra Dino/Mastandrea e Bruna/Ragonese è talmente scontata che nasce da sé, senza però rispondere alla canonica formula “elemento amoroso = compromesso commerciale”, sulla quale la maggioranza delle commedie romantiche italiane basano un intero plot - vedi Fausto Brizzi o il sopravvalutato Paolo Genovese.
Il trio Ragonese-Mastandrea-Battiston azzecca perfettamente i tempi comici delle situazioni, ma il film conta anche una serie di “amichevoli partecipazioni”: Antonio Albanese, nel duplice ruolo di due burberi gemelli, Milena Vukotic, nominata ai David di Donatello come miglior attrice non protagonista, Silvio Orlando, Fabrizio Bentivoglio e Roberto Citran.
È come se Mazzacurati avesse voluto riunire nel suo ultimo film gli attori che più fedelmente lo hanno servito nel corso degli anni.
La sedia della felicità è infatti un ideale film-testamento, in cui il regista ripercorre i luoghi e i volti che lo hanno accompagnato nel suo cinema e nella sua vita personale; compreso il soggiorno a Roma, rappresentato iconograficamente dalla new entry Mastandrea, tatuatore romano finito a Jesolo per seguire una donna.
Una ballata dedicata ai perdenti, priva sia dell'eroe senza macchia o del cinico senza redenzione, ma filtrata attraverso una sensibile malinconia, tipica del regista.
Il modo migliore per ricordare Mazzacurati con un sorriso.
Angelo Santini