L'Ass. Culturale "FuoriTraccia" organizza corsi di Ufficio Stampa & Grandi Eventi
Una serie di incontri che introducono in maniera pratica e reale al lavoro dell'addetto stampa e dell'organizzatore di eventi. Un percorso formativo, lungo il quale scoprirete come diventare registi di un grande evento, e acquisirete in modo semplice ed efficace le principali regole di questo mestiere
Il corso è suddiviso in 2 week end per un totale di 24 ore di lezione durante le quali responsabili di comunicazione, addetti stampa, giornalisti e responsabili marketing illustreranno ai partecipanti come ideare, pianificare, organizzare e promuovere un evento. Professionisti del settore che insegneranno le tecniche di project management e le strategie di comunicazione mirate attraverso approfondimenti, esercitazioni pratiche.
Il corso è a numero chiuso: max 20 partecipanti.
Uno degli appuntamenti formativi di FuoriTraccia| Cose dell'altro Cinema. La Casting Director Marita D'Elia ha incontrato gli attori, 2 e 3 febbraio, in un workshop di preparazione intensivo interamente dedicato allo studio dei provini cinematografici. maggiori dettagli Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.
Uno spazio dedicato al cinema delle periferie. È il Visioni Fuori Raccordo Film Festival, la rassegna cinematografica che da 5 anni ormai si propone aprire lo sguardo sulle periferie del nostro Paese, le sue aree marginali e le sue realtà invisibili e parte giovedì 24 novembre al Nuovo Cinema Aquila Dieci i documentari selezionati tra i quali la giuria, composta da Cecilia Mangini, importante esponenti del cinema italiano, Marco Bertozzi, documentarista e storico del cinema, e Antonio Medici, critico cinematografico e docente universitario, assegnerà il premio alla Migliore opera, che sarà inoltre inserita nella programmazione primaverile del Nuovo Cinema Aquila e due menzioni speciali: Memoria e Migranti. Per dare trasparenza al lavoro dei giurati e al contempo favorire una concezione dei festival come luoghi di riflessione e confronto culturale, i giudizi dei giurati su ogni film in concorso e la riunione della Giuria saranno ripresi e trasmessi online. Due Eventi Speciali arricchiscono il programma durante i quali saranno presentati alcuni lavori: Poi venne la casa vera di Paolo Isaja e Maria Pia Melandri (giovedì 24 novembre alle ore 21), documentario che ripercorre il “problema della casa” a Roma dal dopoguerra ad oggi, e This is my land… Hebron di Giulia Amati e Stephen Natanson (venerdì 25 novembre alle ore 21), un viaggio in una “terra contesa” alla scoperta degli aspetti più nobili, mostruosi e contraddittori dell’animo umano, già vincitore del Festival di Bellaria. Il festival si chiude sabato 26 novembre alle ore 22.00 con l’Omaggio ad Ansano Giannarelli, autore e regista recentemente scomparso, fra gli ‘ispiratori’ e grande sostenitore del Festival di cui è stato più volte membro della Giuria e la presentazione, frutto della collaborazione dell’AAMOD e di Rai Teche, il film La ‘follia’ di Cesare Zavattini prodotto da Rai con la collaborazione di Reiac Film. Il documentario, realizzato da Giannarelli nell’82, che parte dal backstage del film di Cesare Zavattini, La vertitàaaa per approdare ad una riflessione metalinguistica e un ritratto/autoritratto del maestro e del suo allievo, Giannarelli che lo racconta come un maestro di “intelligenza sovversiva e di spiazzante semplicità, un teorico rivoluzionario e un cineasta ostinatamente dilettante”. Il Festival è diretto da Luca Ricciardi con il coordinamento artistico di Giacomo Ravesi e realizzato grazie al contributo della Regione Lazio – Assessorato alla Cultura, Arte e Sport e al sostegno della Roma Lazio Film Commission e dell’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico e prodotto dall’Associazione LABnovecento in collaborazione con il Circolo Gianni Rodari Onlus .
Info: www.fuoriraccordo.it
Gli Elementali, mostri giganteschi con poteri primordiali legati (come suggerisce il nome) ai quattro elementi, fuoco, aria, acqua e terra, minacciano il pianeta, orfano di Tony Stark, compianto in ogni angolo del mondo. Senza gli Avengers a proteggere gli esseri umani della minacce extraterrestri, Nick Fury si rivolge ad un nuovo alleato, un alieno Quentin Beck altresì noto, in futuro come Mysterio (Jake Gyllenhaal) furioso perché a suo dire, le stesse creature, responsabili per la morte della sua famiglia, hanno devastato la sua patria natia. Seguito diretto di Avengers: Endgame (2019) diretto da Jon Watts come il precedente stand alone Spider-Man: Homecoming (2016) prosegue le avventure del sedicenne Parker nella sua terza incarnazione cinematografica, legata all’MCU, un contesto ben più ampio in cui, lo scenario, si allarga a macchia d’olio su infinite possibilità e combinazioni. Tutte le persone scomparse con lo schiocco di dita di Thanos (Avengers: Infinity War 2018) , il famoso “snap” sono riapparse prive di ricordi e con qualche anno in più dopo la sua sconfitta, questo fenomeno è stato chiamato effetto “blip”. “Blippato” come amano dire gli studenti, distrutto dalle perdite subite, dopo aver vagato nello spazio e nel tempo, Peter Parker (Tom Holland), vuole godersi la gita scolastica che prevede un itinerario europeo, alla scoperta della scienza e offre un’ ottima scusa per trovare il modo di dichiararsi a MJ, Michelle Jones (Zendaya) la ragazza più bella e sfuggente della classe. Per questo Spidey può sempre contare sulla solidarietà del suo amico Ned Leeds (Jacob Batalon) l’unico compagno di classe a conoscere la sua identità segreta. I fantasmi del passato però lo tormentano, così come la “grande responsabilità” di prendere il posto di Tony come suo erede, tra illusioni e fallimenti, il ragazzo si trova a dover fare i conti con i super problemi che lo affliggono (metaforicamente) dal 1962, quando Stan Lee e Jack Kirby crearono il personaggio, più amato e famoso della scuderia Marvel. Posando su una base pregressa di eventi complessa e valida, il film ha un tono scanzonato, divertente, ha il tipico umorismo adolescenziale che fa presa sulle nuove generazioni, senza invalidare la credibilità dei personaggi originali. É stato realmente girato nelle città post distrutte e devastate in CGI a Praga, Londra e senza perdersi l’occasione di sottolinearne la bellezza tipica che offre ai turisti nella nostrana bella Venezia. La colonna sonora, del maestro Michael Giacchino si arricchisce di canzoni popolari quali il “Bongo Cha Cha Cha” e una versione remix di “Amore di Tabacco” di Mina. Al centro della vicenda il valore della “verità” nella realtà specchio di una società in cui si crede solo a quello che si vuole. Commovente per certi aspetti (ottimo il retcon con i precedenti) fa sorridere e intrattiene. Come ormai spesso accade le scene post-credits sono due, la seconda ci affaccia letteralmente verso nuovi orizzonti.
Francesca Tulli
Lo smarrimento del senso della propria arte ha condotto Jack London ad un periodo di stasi profonda, di brusca interruzione nell’intimo processo comunicativo con il mondo. Qualche anno più tardi, lo scrittore statunitense scolpisce il suo Martin Eden ispirandosi a questo punto di arresto, a quel suo autoritratto di individuo in conflitto con alcune zone d’ombra della società a cui appartiene. Pietro Marcello decide di ispirarsi liberamente a questo vivace e profondo romanzo, facendo propria la parabola dell’antieroe. La vicenda narrata dal film, parte proprio nel momento in cui la vita del giovane Martin Eden subisce un totale cambiamento. Egli, audace marinaio alla continua ricerca di nuove avventure e curioso esploratore di luoghi estranei, si ritrova a dover salvare da un pestaggio Arturo, un ragazzo appartenente all’alta borghesia industriale. Martin viene così ricevuto in casa della famiglia del ragazzo, ed è qui che tra i numerosi convenevoli per il miracoloso salvataggio, il giovane si ritrova a stretto contatto con Elena, l’incantevole e colta sorella di Arturo, di cui egli si invaghisce da subito. Un’immagine quasi eterea e inarrivabile quella di Elena, che oltre a rappresentare un’ossessione amorosa, esprime indirettamente quel desiderio di riscatto sociale a cui Martin ambisce da sempre. Tra numerosi ostacoli e limiti che inizialmente appaiono insormontabili, Martin riesce a superare lo scoglio della sua umile origine, coltivando autonomamente la passione per lo studio e per la lettura. La tenace aspirazione ad elevarsi, un po’ per la voglia di migliorarsi e un po’ per amore di Elena, lo porta a realizzare quel sogno a tratti inaccessibile di diventare uno scrittore. Ma lo scotto da pagare è amaro, l’emancipazione della cultura può portare a stretto contatto con circoli borghesi di un certo stampo, un mondo asfissiante e fittizio, troppo lontano dal pensiero sincero di Martin. Il film diretto da Pietro Marcello, seconda opera italiana in concorso quest’anno alla 76esima Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, è una libera trasposizione del romanzo forse più intimo e autobiografico di Jack London. Il Martin Eden di Marcello, è un affresco sincero e appassionato sui grandi cambiamenti avvenuti nel corso del Novecento e soprattutto sulle aspre difficoltà da parte di un giovane di umili origini nel rapportarsi alla società Borghese, emancipandosi solo attraverso la cultura e le proprie capacità. Libero da ogni forma di limite temporale, questo ambizioso lavoro, è ambientato simbolicamente in una Napoli colorata e consumata dalla società industriale, come avvenne per molte altre città in quel periodo. Al flusso narrativo del film, Pietro Marcello decide di alternare delle suggestive immagini di repertorio donando al racconto un respiro ancor più vivido. Il regista entra quasi in punta di piedi in questa vicenda, lasciando parlare il protagonista e il paesaggio, incontrastato fulcro dell’immagine in molte sequenze. Dietro questo giovane ed audace antieroe c’è Luca Marinelli, qui intenso come non si vedeva da tempo e aderente in massimo grado al ruolo. Attraverso i suoi occhi percepiamo molte sfumature dell’ambiente circostante ed è come se vivessimo in prima persona le situazioni a cui prende parte. Purtroppo l’unica debolezza del film, risiede nella parte finale, dove il quadro diviene più denso e artificioso. Si cede un po’ troppo al manierismo e questo rende molti passaggi forzati, generando una stonatura anche sul piano interpretativo. Un finale più sentito e meno conformato avrebbe chiuso il cerchio in modo più coerente. Nelle sale a partire da martedì 4 Settembre.
Giada Farrace