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Visualizza articoli per tag: margherita buy
La prospettiva di una diversa “vita possibile” è la speranza che muove Anna (Margherita Buy), protagonista del film di Ivano De Matteo, ad andarsene da Roma. Stanca di subire gli attacchi violenti del marito, cerca riparo a Torino, assieme al figlio adolescente, dall'amica Carla (Valeria Golino). Il regista romano, durante la conferenza stampa alla presenza dell’intero cast, ci racconta come il giovane Valerio (Andrea Pittorino), che guida gli spettatori nel corso della vicenda, passi da un’apparente situazione di normalità alla scoperta di una realtà alienante dove la violenza diviene parte integrante della sua vita dentro e fuori le mura domestiche. 
 
Una storia che nasce “ dal momento in cui, con la mia compagna (Valentina Ferlan autrice del soggetto e cosceneggiatrice n.d.r.), stavamo cercando un nuovo progetto da trattare. Una nostra conoscente si è confidata un giorno raccontandoci la sua situazione, noi abbiamo scoperto questo mondo e ne abbiamo voluto parlare. Si tratta di un tema diventato sociale, non volevamo comunque raccontare un film di violenza ma, piuttosto, evidenziare la forza delle donne e le grandi storie d’amore che riescono a nascere e superare la violenza.” 
 
 
 
In linea con i temi caldi del momento, il lavoro si discosta nettamente dai classici clichè non indugiando su una resa ad effetto di scene crude. Ciò che De Matteo tiene a ribadire è che il suo racconto rappresenta “una sorta di affresco: si tratta di un film drammatico che tratta eventi quotidiani. Non volevamo fare un film di bastonate, botte e sangue. Penso che quel genere di film siano diventati all’ordine del giorno, vi sia quasi assuefazione: abbiamo voluto saltare questa fase e mi sono mosso con un percorso inverso rispetto ai miei precedenti lavori dove, invece, iniziavo con una famiglia in ordine che si sfasciava. Qui il filo conduttore è la ricostruzione.”
 
La coprotagonista Valeria Golino sottolinea “E' una storia priva d’odio, l’odio non si sente, io non arrivo neanche ad odiare il marito violento di Anna, nonostante il mio personaggio continui a dire che è uno stronzo”.
 
De Matteo, che nel film si riserva un piccolo ruolo, ha fatto uno studio per interpretare al meglio, in una breve scena di  introduzione, il padre violento di  Valerio. Le sue parole sono prese da vere lettere messe a verbale di donne che hanno subito maltrattamenti. “Si tratta, senza dubbio, del film più difficile che ho fatto fino a oggi. Non c’è azione, il film vuole cercare di mettere in risalto l’emozione: questo è molto più difficile da fare, ho cercato di dare un aspetto forte dell’immagine. Bisogna lavorare su un determinato equilibrio, ho dovuto fare molta documentazione e per focalizzare al meglio il ruolo del bambino in un contesto del genere ho dovuto incontrare diversi psicologi. Non è facile filmare l’emozione.”  
 
L'unica figura maschile positiva del film sembra essere Mathieu, il gestore francese di un bar sportivo (il calcio è la passione del ragazzino), un “quasi” latitante straniero che a detta dell’interprete, Bruno Todeschini, rappresenta “il vero padre di Valerio”, quello che non ha mai avuto. Viene toccato così il tema dell’integrazione, visto sia dal punto di vista di un francese in Italia, che di un ragazzino romano a Torino. Entrambi devono farsi accettare da una diversa società. 
 
 
 
 
Alla nostra domanda se si trattasse di un film ‘umorale’ il regista ha spiegato che “Ogni mio film è ‘umorale’. L’umore che hai in quel momento ti porta a scrivere determinate cose, un film scritto in un altro periodo avrebbe raccontato un’altra cosa.’” ha specificato “ Quando ho fatto gli Equilibristi ero così pregno di queste situazioni, andavo nelle Caritas a portare da mangiare, mi sentivo anche ad un certo punto abbastanza scosso. Quando fai determinati film, almeno per quello che riguarda me, sono una corda di violino, non perché ho paura di sbagliare delle cose ma perché sono toccato dentro.” 
“Cosa racconto in un film? Le mie debolezze, l’ambito familiare, vado ad esorcizzare le cose, ho sempre messo in dubbio anche me stesso, le paure!” ci riflette e spiega “in questo caso non succederà mai, ma che ne posso sapere? potrei alzarmi la mattina e lasciare la mia compagna per  dormire in macchina con Mastandea, che ne so! magari mio figlio mi dice che con altri deficienti  hanno ammazzato una a caso, sono paure, le mie paure...come potrei raccontare dei miei innamoramenti.” 
 
Il film mette anche in luce e denuncia, le difficoltà che si hanno in Italia per farsi ascoltare da uno ‘sportello amico’ inefficiente quando si tratta di aiutare un minore sotto la responsabilità giuridica di entrambi i genitori. 
 
 
De Matteo conclude con una grande e triste verità che riguarda la distribuzione delle copie al cinema “Io non mi sono mai lamentato nella vita di quello che non ho, sono sempre stato contento di quello che ho: se mi danno 2 mi merito 2, se mi danno zero mi merito zero. Non credo sia una questione di copie ma una questione d'amore, se tu la difendi una cosa. Puoi anche uscire con 10 copie e vai col coltello in mezzo ai denti. I miei film non sono da 300 copie io ho bisogno di qualcuno che ci creda. Io ringrazio Teodora (distribuzione italiana n.d.r.) perchè c'ha creduto, perchè c'è un mercato che richiede un tipo di film che incassano e io probabilmente non faccio quel tipo di film, nonostante le gratificazioni di Venezia. Probabilmente preferisco vivere in 41mq ma ho rifiutato anche tanta roba che mi poteva far guadagnare, potrei seguire un mercato ma perchè mi devo snaturare? Ho 51 anni, ma cosa me ne frega?! Allora se c'è qualcuno che apprezza il mio cinema, che oltretutto non è un cinema criptico, ben venga. ”
E De Matteo incalza “La libertà di espressione nel cinema non c’è, l’unica libertà che hai è la libertà di pensiero, e ti vanno ad intaccare lì psicologicamente, non incassi, e di conseguenza pensi sia un brutto lavoro e vai in paranoia! E io non ci voglio entrare in quel mondo là, io sto cercando di portare avanti un mio discorso personale. Se c’è qualcuno che con dieci mila lire mi dice che fa uscire dieci copie ben venga, basta che sia fatto con amore.” Vero e assolutamente anticonvenzionale, il regista si dimostra una persona vera e di spirito. Per questo ci auguriamo che continui a fare film autentici come lo è lui. 
 
Francesca Tulli

Magnifica Presenza

Lunedì 19 Marzo 2012 23:04

Pietro (Elio Germano), di notte addetto alla preparazione dei cornetti e di giorno aspirante attore, prende in affitto un appartamento nell'elegante e storico quartiere di Monteverde vecchio, nonostante i dissensi dell'ingombrante e buffa cugina Maria (Paola Minaccioni). Tutto sembra perfetto se non fosse che, durante la ristrutturazione dei locali, Pietro nota la presenza di "particolari" coinquilini, vestiti in abiti d'altri tempi, visibili a nessun altro che a lui. Dopo un primo momento d'impasse, inizia a familiarizzare con loro, scoprendo che si tratta della compagnia teatrale Apollonio, scomparsa in circostanze misteriose nel 1943. Mentre prosegue tra alti e bassi la sua vita, instaura un rapporto intenso con questi stravaganti personaggi, a tal punto che decide di aiutarli mettendosi sulle tracce dell'attrice Livia Morosini, un tempo vedette della compagnia, che ora vive sotto falso nome. Questa ricerca aprirà le porte ad una verità difficilmente confessabile...

Se già si era confrontato ne Le fate ignoranti con morti che, dopo la propria dipartita, risultavano ancora più vivi per il carico di menzogne che avevano lasciato a chi era rimasto e con presenze impalpabili in Cuore sacro, con questo nuovo Magnifica presenza, Ozpetek affronta la ghost-story attingendone a piene mani, in forma di smagliante e riuscita commedia. Tra le suggestioni inevitabili di un capolavoro come Fantasmi a Roma di Pietrangeli, quelle de L'Angelo sterminatore di Buñuel ed i riferimenti voluti dalla co-sceneggiatrice Pontremoli ai pirandelliani Sei personaggi in cerca d'autore (basti pensare ad uno dei set-up/payoff “Finzione! Finzione!... Ma quale finzione, realtà!”), il film, permeato di forte ironia, è costantemente attraversato da una sottile linea di tensione, permettendo così a protagonista e spettatori di familiarizzare con tutti i personaggi, rivivendo noi con loro il dramma dell'ingabbiamento temporale. 
Mescolando numerose e varie tematiche (l'omosessualità, la guerra, l'arte, la bellezza, il teatro, Roma, la poesia, l'amore..) senza però perdere la bussola  in questo gioco tra arti rappresentative – tranne un po' nel finale, in cui non si riesce ad evitare quell'effetto di meraviglia nei “sopravvissuti” che fa tanto un Ritorno al futuro un po' troppo fuori contesto –, il regista turco si dimostra ancora una volta eccellente ed amorevole direttore dei suoi interpreti e “re-talent-scout”. In mezzo a molte conferme del nostro – e non solo - cinema ed a prestiti da altri settori dello spettacolo (ad esempio il cantante lirico Ambrogio Maestri ed il transtelevisivo Mauro Coruzzi in arte Platinette), recupera una divina Anna Proclemer alla quale, dall'alto dei suoi magnifici quasi novant'anni, affida il volto della misteriosa Livia Morosini, i cui occhi cattivi ed il ricordo amaro della propria irrinunciabile bellezza, rievocano la Clara Calamai di Profondo Rosso.
Intitolandolo inizialmente al plurale, gli autori hanno infine voluto prediligere il ruolo del bravissimo ed insostituibile Elio Germano quale strana e “magnifica presenza”, aspirante intruso in un mondo di attori che una drammatica fase storica ha ferito, fino ad ucciderli, consegnandoli per sempre all'immortalità.
 
Paolo Dallimonti e Chiara Nucera