“Compito dell’artista è trovare un antidoto alla futilità dell’esistenza”. Ernest Hemingway svela la missione ultima alla base di ogni forma d’arte ad un giovane scrittore in crisi, antisociale, insoddisfatto, alla ricerca del suo tempo ideale. È lui il nuovo personaggio uscito dalla penna/cinepresa di Woody Allen, dall’universo del genio della settima arte. È Midnight in Paris il nuovo gioiello della sua “Opera”, del suo grottesco, ironico e nutrito di non-sense antidoto alla futilità dell’esistenza, di questa Commedia Umana, tratteggiata lungo quarant’anni di carriera. Un Rosa Purpurea Del Cairo spuntata lungo la Senna, in una Parigi contenitore ideale di una stereotipata generazione di radical chic: Inez (Rachel McAdams) fidanzata di Gil che non accetta fino in fondo il suo compagno, che cerca di plasmarlo secondo i suoi desideri, di omologarlo erenderlo a immagine e somiglianza della sua famiglia upper class; Paul, pseudo intellettuale, millantatore che svende un sapere spicciolo che riesce ad incantare solo un auditorio miserabile, di cui la sua bionda e plastica fidanzata èperfetto prototipo. Sopra tutti loro c’è Gil, un Owen Wilson che a tratti ricorda proprio Woody Allen, nel modo di camminare, nei gesti, persino nella pettinatura. Sceneggiatore di successo che, stanco della vita e del mondo di Hollywood, si prende una vacanza per trovare l'ispirazione necessaria a completare il suo primo romanzo, compito in cui viene scoraggiato costantemente da Inez e dagli altri amici, che sminuiscono le sue aspirazioni letterarie e ritengono preferibile la brillante carriera di scrittore per il cinema. È la rivincita di tutti gli “anti-eventimondani". Lui è un novello Cecilia, la protagonista de La Rosa Purpurea Del Cairo, una Mia Farrow che si rifugia e vive un mondo ideale nel cinema, con il personaggio del suo film preferitoche esce materialmente dalla pellicola, che prende vita nel mondo reale e ricambia la sua passione. Così come Cecilia si rifugia in un mondo ideale, quello del cinema, Gil lo fa nel suo, la Parigi degli anni ’20, quella dove “la pioggia non era ancora acida”. Rimasto solo una notte a passeggiare in solitudine nella notte parigina, allo scoccare della mezzanotte si ritrova trasportato nella sua età dell’oro, una clima storico e culturale che egli ama fino all'idolatria. Qui ha modo di incontrare i suoi miti in carne ed ossa, quelli che fino a quel momento aveva frequentato tra le pagine dei libri e nei musei, celebri scrittori della narrativa americana del tempo e artisti surrealisti. E si ritrova a riceve consigli di scrittura e di vita da Ernest Hemingway, Francis Scott Fitzgerald e la compagna Zelda, Gertrude Stein (spettacolare interpretazione di Kathy Bates), Salvador Dalí,(Adrien Brody), Pablo Picasso, Henri Matisse, T. S. Eliot, Luis Buñuel, il torero Juan Belmonte, Man Ray, Cole Porter. Dialoghi brillantissimi e geniali, che solo Allen, nutrito di Letteratura e Arte, può e riesce a costruire. Battute che messe in bocca a personaggi della storia, icone senza tempo e veri e propri mostri sacri, li rendono “woodyalleniani”. Pensiamo al Napoleone Bonaparte di Amore e Guerra, comico e isterico, inerme di fronte alle armi di seduzione di Diane Keaton. Gil s’innamora di Adriana (una Marion Cotillard ) già compagna di Braque e Modigliani, assidua “frequentatrice” di artisti, “una con cui le groupies fanno un salto di qualità”, anche lei vive nel mito di un passato d’oro, quello della Belle Époque.
Woody Allen ci mostra così, con una commedia, il vagheggiamento di un glorioso passato, aspirazione ricorrente nell'animo umano, in tutte le epoche storiche e la grottesca ricerca dell’”ideale tempo perduto”. E ci dice “il presente non ci piace mai, è insoddisfacente, perché la vita è insoddisfacente”.
Lidia Petaccia
Entrare in sala sapendo che si vedrà un film di Woody Allen coincide solitamente con il momento che precede l’arrivo di una carezza piacevole e allo stesso modo eccitante. Questo meccanismo si innesta in quasi tutti i casi ed è quanto di più dolcemente confortante possa offrirci un film di Allen. Un giorno di pioggia a New York è l’ennesima conferma che questo straordinario regista riesce sempre (tranne rarissimi casi) a centrare il bersaglio con una disinvoltura e una maestria impareggiabili. La vicenda prende vita nella grande mela, dove la giovanisima coppia composta da Gatsby (Timothée Chalamet) e Ashleigh (Elle Fanning) si trova a dover trascorrere un intenso e vulcanico weekend all’insegna dell’imprevisto. E se da un lato Ashleigh verrà catapultata in un contesto del tutto inaspettato a seguito di un’intervista ad un noto ed affascinante regista, dall’altro Gatsby dovrà fare i conti con la polverizzazione di tutti i suoi progetti organizzati in modo impeccabile per immergere la sua dolce metà in una città malinconica ed esuberante come la sua New York. Woody Allen torna finalmente a dirigere un film che ripercorre fieramente e senza alcun indugio quel sentiero che gli è tanto caro e familiare e che corrisponde alla commedia più vivace, romantica, da sempre arricchita da quel pizzico di cinismo che rende ogni cosa più pungente. E anche in questo caso, a fare da colonna portante del film sono i dialoghi, fitti e sferzanti, capaci di donare al tessuto narrativo quella linfa vitale che rende il tutto più fluido e dinamico. La scorrevolezza di Un giorno di Pioggia a New York è pertanto dovuta in larga parte alla costruzione di scene riuscite e in grado di colpire con rara genialità, ma anche al talento di un cast del tutto inserito nel contesto, a partire proprio dal protagonista, Timothée Chalamet. Gatsby è infatti il riflesso più acerbo della moltitudine di personaggi interpretati da Woody Allen nel corso della sua lunghissima carriera. Cinico e dall’aria a tratti malinconica, Gatsby è l’Allen più giovane e romantico, il quale non è ancora giunto alla fase più penetrante di cinismo esistenziale. Siamo alle battute finali e risulta quindi impossibile non evidenziare quanto ci sia di speciale in questo film che rischiava seriamente di non essere distribuito affatto in sala. Con Un giorno di pioggia a New York Allen ripropone con profonda incisività alcuni temi cari al suo cinema, uno tra tutti quello legato all’imprevedibilità degli eventi e a quanto sia inafferrabile la certezza della felicità.
Giada Farrace