Fuoritraccia

Newsletter

Messaggio
  • EU e-Privacy Directive

    This website uses cookies to manage authentication, navigation, and other functions. By using our website, you agree that we can place these types of cookies on your device.

    View e-Privacy Directive Documents

Home » Recensioni » Visualizza articoli per tag: venezia 74
A+ R A-
Visualizza articoli per tag: venezia 74

Venezia 74. Tutti i premiati

Lunedì 11 Settembre 2017 10:57
Appenna terminata la 74esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, edizione che si è distinta dopo molti anni per innovazione e varietà del programma portanto titoli quali Brutti e Cattivi di Cosimo Gomez, Gatta Cenerentola, la risposta a La La Land con Ammore e Malavita dei Manetti Bross, ma ancora mother! che ha diviso la critida di Darren Aronofsky, l'intensissimo Nico 1988 di Susanna Nicchiarelli che ripercorre la vita della modella e cantante berlinese. Presenze come Bardem, Penelope Cruz, Michael Caine voce narrante di My Generation, entusiasmante documentario sulla generazione sixties, Jim Carrey, i leoni alla carriera Robert Redford e Jane Fonda, John Woo, gli amici di sempre Clooney e Damon e moltissimi altri nomi del cinema internazionale, tra cui il primo fra tutti Guillermo Del Toro non hanno fatto altro che rendere la chermesse singolare e vivace e impreziosire ancora di più le proposte italiane che mai come quest'anno hanno trattato il sociale e le periferie italiane distinguendosi anche fuori dalla competizione ufficiale in lavori come Il Contagio di Botrugno e Coluccini, ma anche in Nato a Casal di Principe di Bruno Oliviero. 
 
 
 
 
Di seguito vi proponiamo l'elenco completo di tutti i premiati del concorso ufficiale e delle sezioni parallele.
 
La Giuria di Venezia 74, presieduta da Annette Bening e composta da Ildikó Enyedi, Michel Franco, Rebecca Hall, Anna Mouglalis, Jasmine Trinca, David Stratton, Edgar Wright e Yonfan,  dopo aver visionato tutti i 21 film in concorso, nella cerimonia ufficiale tenutasi il 9 settembre presso la Sala Grande del Lido di Venezia, ha deciso di assegnare i seguenti premi:
 
LEONE D’ORO per il miglior film a:
THE SHAPE OF WATER  
di Guillermo del Toro (USA)
 
LEONE D’ARGENTO - GRAN PREMIO DELLA GIURIA a:
FOXTROT
di Samuel Maoz (Israele, Germania, Francia, Svizzera)
 
LEONE D’ARGENTO - PREMIO PER LA MIGLIORE REGIA a:
Xavier Legrand
per il film JUSQU’À LA GARDE (Francia)
 
COPPA VOLPI
per la migliore attrice a:
Charlotte Rampling
nel film HANNAH di Andrea Pallaoro (Italia, Belgio, Francia)
 
COPPA VOLPI
per il miglior attore a:
Kamel El Basha
nel film THE INSULT di Ziad Doueiri (Libano, Francia)
 
PREMIO PER LA MIGLIORE SCENEGGIATURA a:
Martin McDonagh
per il film THREE BILLBOARDS OUTSIDE EBBING, MISSOURI di Martin McDonagh (Gran Bretagna)
 
PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA a:
SWEET COUNTRY
di Warwick Thornton (Australia)
 
PREMIO MARCELLO MASTROIANNI
a un giovane attore o attrice emergente a:
Charlie Plummer
nel film LEAN ON PETE di Andrew Haigh (Gran Bretagna)
ORIZZONTI
La Giuria Orizzonti della 74. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica, presieduta da Gianni Amelio e composta da Rakhshan Banietemad, Ami Canaan Mann, Mark Cousins, Andrés Duprat, Fien Troch, Rebecca Zlotowski, dopo aver visionato i 31 film in concorso, assegna:
 
il PREMIO ORIZZONTI PER IL MIGLIOR FILM a:
NICO, 1988
di Susanna Nicchiarelli (Italia, Belgio)
 
il PREMIO ORIZZONTI PER LA MIGLIORE REGIA a:
Vahid Jalilvand
per BEDOUNE TARIKH, BEDOUNE EMZA (NO DATE, NO SIGNATURE) (Iran)
 
il PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA ORIZZONTI a:
CANIBA
di Véréna Paravel e Lucien Castaing-Taylor (Francia, Usa)
 
il PREMIO ORIZZONTI PER LA MIGLIORE INTERPRETAZIONE FEMMINILE a:
Lyna Khoudri
nel film LES BIENHEUREUX di Sofia Djama (Francia, Belgio, Qatar)
 
il PREMIO ORIZZONTI PER LA MIGLIOR INTERPRETAZIONE MASCHILE a:
Navid Mohammadzadeh
nel film BEDOUNE TARIKH, BEDOUNE EMZA (NO DATE, NO SIGNATURE)
di Vahid Jalilvand (Iran)
 
PREMIO ORIZZONTI PER LA MIGLIORE SCENEGGIATURA a:
Alireza Khatami
per il film LOS VERSOS DEL OLVIDO di Alireza Khatami  (Francia, Germania, Paesi Bassi, Cile)
 
PREMIO ORIZZONTI PER IL MIGLIOR CORTOMETRAGGIO a:
GROS CHAGRIN
di Céline Devaux (Francia)
 
il VENICE SHORT FILM NOMINATION FOR THE EUROPEAN FILM AWARDS 2017 a:
GROS CHAGRIN
di Céline Devaux (Francia)
PREMIO VENEZIA OPERA PRIMA
La Giuria Leone del Futuro - Premio Venezia Opera Prima “Luigi De Laurentiis” della 74. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica, presieduta da Benoît Jacquot e composta da Geoff Andrew, Albert Lee, Greta Scarano e Yorgos Zois, assegna il:
 
LEONE DEL FUTURO
PREMIO VENEZIA OPERA PRIMA “LUIGI DE LAURENTIIS” a:
JUSQU’À LA GARDE
di Xavier Legrand (Francia)
VENEZIA 74
 
nonché e un premio di 100.000 USD, messi a disposizione da Filmauro, che sarà suddiviso in parti uguali tra il regista e il produttore.
VENEZIA CLASSICI
La Giuria presieduta da Giuseppe Piccioni e composta da studenti di cinema provenienti da diverse Università italiane: 26 laureandi in Storia del Cinema, indicati dai docenti di 12 DAMS e della veneziana Ca’ Foscari, ha deciso di assegnare i seguenti premi:
 
il PREMIO VENEZIA CLASSICI PER IL MIGLIOR DOCUMENTARIO SUL CINEMA a:
THE PRINCE AND THE DYBBUK 
di  Elwira Niewiera e Piotr Rosołowski (Polonia, Germania)
 
il PREMIO VENEZIA CLASSICI PER IL MIGLIOR FILM RESTAURATO a:
IDI I SMOTRI (VA’ E VEDI)
di Elem Klimov (URSS, 1985)
VENICE VIRTUAL REALITY
La Giuria internazionale della sezione Venice Virtual Reality, presieduta da John Landis e composta da Céline Sciamma e Ricky Tognazzi, assegna:
 
PREMIO MIGLIOR VR a:
ARDEN’S WAKE (EXPANDED)
di Eugene YK Chung (USA)
 
PREMIO MIGLIORE ESPERIENZA VR (PER CONTENUTO INTERATTIVO) a:
LA CAMERA INSABBIATA
di Laurie Anderson e Hsin-Chien Huang (USA, Taiwan)
 
PREMIO MIGLIORE STORIA VR (PER CONTENUTO LINEARE) a:
BLOODLESS
di Gina Kim (Corea del Sud, USA)
 

Venezia74. The Shape of Water

Domenica 10 Settembre 2017 18:07
“Se vi dovessi parlare di lei, la principessa muta, che potrei dirvi?” con questo incipit ci si immerge nella vasca di emozioni (fortissime) preparata dal regista messicano Guillermo Del Toro. Siamo nel 1962, l’America corrotta (incarnata dal personaggio interpretato da Michael Shannon) solo apparentemente, perfetta e risoluta vuole essere “Grande Ancora” in piena Guerra Fredda. Strickland (di cui sopra) trascina dentro un laboratorio segreto, con l’approvazione del governo, una campana subacquea, contenente una creatura sconosciuta. Un uomo pesce: venerato in Sud Africa come una divinità, viene ridotto alla misera condizione di cavia, diventa un capro espiatorio, l’oggetto della morbosa, atavica frustrazione dell’uomo che impotente, vuole soggiogare dio. Elisa (Sally Hawkins) una donna ordinaria ma sognatrice, orfana accolta nella casa di un anziano pittore fallito Giles (Richard Jenkins), vive con lui una triste condizione di emarginazione: lei è muta, lui è omosessuale, in una società (fin troppo attuale) che non lascia respiro al “diverso”, una condizione che vive anche la sua collega amica e confidente di colore Zelda (Octavia Spencer). Le due sono le ‘invisibili’ donne delle pulizie dello stabilimento segreto. Ed è là che per la prima volta Elisa sperimenta l’amore. Un gesto, uno sguardo ricambiato, le note di un giradischi, una serie di piccoli delicati muti gesti avvicinano la donna alla creatura, specchio di se stessa e della sua realtà. Gli scenari onirici e quelli cristallizzati nel quotidiano d’epoca, sono fatti di luci blu, verdi e poche pennellate di rosso (in technicolor). A dare una connotazione delicata al dramma c’è la colonna sonora firmata dal compositore francese Alexandre Desplat (per questo scherzando Del Toro lo ha definito “il suo film francese”). Il plauso più grande va al trucco tradizionale e a Doug Jones, performer che da più di 20 anni lavora con il regista, sotto la maschera della creatura volutamente senza nome, come spiegatoci in conferenza stampa (durante la 74esima edizione del Festival di Venezia) egli rappresenta la perfezione o il suo contrario come il protagonista di “Teorema” di Pasolini (1968). Siamo difronte ad un film diverso, che genera inquietudine per i temi trattati e ci libera dalla prigione del classico schema mentale per cui il mostro crudele vuole possedere la bella ed è l’eroe a portarla in salvo. Come in Crimson Peak (2015),  ancora una volta il regista ha dimostrato con  passione meticolosa, ‘studio matto e disperatissimo’ e profondo rispetto per la materia di saper trasformare un genere cambiando le carte in tavola. Nel precedente citato quello della Gothic Romace, dove il matrimonio non rappresentava un lieto fine ma l’esatto contrario, qui allo stesso modo il suo “mostro della laguna nera” (l’originale a cui fa riferimento deliberatamente è del 1954) scambia il suo posto con quello dell’eroe. Ben lontano dall’essere soltanto una “favola” (se non nella sua definizione più pura, quella delle orride e sadiche vicende raccontate dai fratelli Grimm) è la sua pellicola più cruda, forse la più violenta, dopo Chronos (1993) ma conserva la dolcezza de “Il Labirinto del Fauno” (2006 vincitore di tre premi Oscar). In un mondo cinico dove si ha paura di parlare d’amore, Del Toro lo fa secondo il suo gusto personale, “l’amore è la forza più importante dell’Universo” e “la cosa che mi terrorizza di più” - ha detto quello che viene definito dai più anche un ‘maestro dell’horror’- “è il fatto che si abbia paura di parlarne”. Il regista ci riesce ancora, in un film dove anima e cuore, sono più forti delle parole. 
 
Francesca Tulli  
 
 
***************************************************************************************
 
 
L’immagine che sicuramente non dimenticheremo dell’edizione 74 del Festival di Venezia è il grande e grosso regista messicano Guillermo del Toro (Il labirinto del Fauno, 2006), che stringe tra le mani il Leone d’Oro del Miglior Film. Si perché è riuscito, con la sua personale versione del Mostro della Laguna nera (1954), a salire dalla categoria B a quella A, regalandoci un film poetico di forte impatto visivo. Ha stregato la giuria del Festival, che contro ogni previsione lo incorona Re del Lido. Potremmo dire: “Venezia osa più dell’Oscar!”. Il Leone d’Oro ad un fantasy. La forma dell’acqua del titolo rimodella un premio che negli ultimi anni aveva perso un po’ del suo smalto e di questo l’Academy dovrebbe farne tesoro. Uscire dal conservativismo e portare il premio cinematografico più prestigioso del mondo nel nuovo millennio.
 
The Shape of Water ci riporta negli anni 60’ della Guerra Fredda tra Stati Uniti ed Unione Sovietica, all’interno dei complotti e delle manovre segrete delle due super potenze. Un uomo pesce (Doug Jones, che interpretò il Fauno nel film del regista messicano) viene catturato dagli americani per essere studiato.  Nascosto in una struttura governativa, non sfugge però allo sguardo di Elisa (Sally Hawkins, Blue Jasmine - 2013), donna delle pulizie muta. I due, in un primo momento si studiano, poi si innamorano. Ne scaturisce una romantica storia d’amore tra diversi. Una sorta di Bella e la Bestia per adulti. Non mancano neppure gli aspetti drammatici e quelli classici della spy-story, e il tutto è sorprendentemente equilibrato. Assistiamo così ad un film, che in se porta la vera essenza del cinema, intrattenere con magia e con quel giusto pizzico di impegno, che ci fa dimenticare per 2 ore (la durata del film) tutti i nostri acciacchi quotidiani. 
 
Forma e sembianze umane dell’acqua sono impresse su pellicola dal visionario regista Del Toro, che qui crea anche soggetto e sceneggiatura. La sua messa scena è capillare, da vero artigiano. Incredibilmente minuziosa e di qualità. Regia dinamica e frizzante, ne è testimone la vorticosa presentazione iniziale, dove avvolgenti e musicali carrellate dall’alto verso il basso portano la macchina da presa nelle case dei protagonisti fino al cinema nostalgico del primo piano. Regia che allo stesso tempo diventa morbida, in grado di avvicinarsi al volto di Elisa con dolcezza carpendo le mutazioni del suo cuore. Non dimenticandosi mai dell’acqua: la vera protagonista. Una direzione artistica emozionata, che porta lo spettatore a vivere in prima persona le scene sullo schermo. Il dizionario creato dell’autore dà vita ad un linguaggio concreto e comunicativo, accessibile a tutti. Un esempio lampante è l’uso del colore: le scarpe rosso fuoco di Elisa sono la metafora del calore e dell’amore che porta all’interno della sua anima. 
 
Il tema di fondo è quello delle diversità; abusato al cinema, ma qui non banalizzato. Un diverso burtoniano, il mostro che cela dolcezza e umanità dietro la sua sudicia facciata, ma i veri mostri sono le persone normali. L’universo creato da del Toro è l’antidoto contro il male. E’ una favola per reagire ai mostri contemporanei e alle assurdità del razzismo, sessismo e della politica assolutistica, tutti temi sviscerati nel film.
 
I personaggi sono completi e curati. Hanno tutti una forte caratterizzazione ed una tangibile storia alle spalle. Base che fa da trampolino per un pregevole sviluppo narrativo, fatto di storie nella storia. Sally Hawkins è superba nel portare in superficie l’anima incontaminata di Elisa. Una sola espressione del suo volto vale più di mille parole, per non parlare dei movimenti del corpo, armonici e musicali. La sua è una persona vera ed attuale. 
Tra le eccellenze tecniche del film si segnala la piovosa fotografia di Dan Laustsen (Crimson Peak, 2015) e la colonna sonora del maestro Alexandre Desplat. Un commento musicale che si sposa con il romanticismo del film, ma capace anche di zone oscure.
 
The Shape of Water è una storia personale, nella quale incontriamo un diverso che è in grado di cambiare le vite delle persone che incontra. Una creatura senza nome che ha significati differenti per ognuno dei protagonisti. Guillermo del Toro, al suo decimo film, realizza la sua opera più matura. Una favola gotica che è anche cinema puro. Completo sotto tutti gli aspetti. In grado anche di omaggiare con gusto le pellicole e i musical dell’epoca.
 
David Siena
 

mother!

Giovedì 28 Settembre 2017 20:04
Mother! di Darren Aronofsky (Leone d’oro 2008 per The Wrestler) era il film più atteso della Mostra del Cinema di Venezia edizione 74. Dopo la sua visione il primo titolo da copertina che viene in mente è: Delirio e paura a Venezia! Il regista americano, con il suo personale horror, scuote il pubblico del Festival e apre una falla enorme tra estimatori e detrattori del film. Mother! è sicuramente esagerato e ridondante, ma non tutto è da buttare in questo vorticoso ed allucinante viaggio all’interno della psiche umana, alla ricerca di una pazzesca ispirazione.
 
Una coppia felice si trasferisce una bellissima tenuta di campagna. La moglie (Jennifer Lawrence, Oscar 2013 per la sua interpretazione ne Il lato Positivo), che ha curato la ristrutturazione con amore e passione, è riuscita a trasformare la casa in un perfetto nido d’amore. 
Una sera bussa alla porta un uomo a lei sconosciuto (Ed Harris, The Truman Show). Il marito scrittore (Javier Bardem, anch’egli premio Oscar per Non è un paese per Vecchi nel 2008), che conosce l’ospite, lo fa entrare di buon grado nella loro splendida dimora.  Di lì a poco arriva anche la consorte (Michelle Pfeiffer, Le Verità Nascoste). Queste strane presenze in casa disturbano la moglie. I forestieri nascondono qualcosa di oscuro. I loro comportamenti sono inconsueti e minano le sicurezze della donna, che si sente in pericolo e sull’orlo di una crisi di nervi. 
 
Darren Aronofsky sembra abbia assimilato a modo suo dei concetti nolaniani legati agli innesti e teorie di mondi paralleli linchiniani. A questi si ispira, con minor successo, per creare il suo film onirico. Opera contraddistinta da diversi sotto strati narrativi, che trascinano lo spettatore in un inconscio profondo, percorrendo una strada febbrile e morbosa. Il lato positivo di Mother! risiede completamente nell’aver pensato di raccontarci questo delirio in chiave horror. L’atmosfera sanguinante e senza veri punti di rifermento procura ansia e suspense. Una volta usciti dalla sala si ha come la sensazione che qualcosa effettivamente nasca e bruci nel nostro profondo. Una fossa della Marianne quasi intoccabile, ma luogo dove nasce la nostra ambizione quotidiana. L’idea, che il regista ha dichiarato di aver messo su carta in soli 5 giorni, è lodevole, peccato che qualcosa nelle due (eccessive) ore del film stoni. In questa allegoria c’è troppa ambizione che sfocia in confusione e a tratti il caos creato è ingestibile. Mother! è una riflessione sulla nostra madre terra, che ingloba anche argomenti come la religione e la storia dell’uomo. Audace pensare di racchiudere tutto questo in una sola storia, dove è anche complicato comprendere certe metafore. 
 
Madre (Jennifer Lawrence) è madre natura. La casa è la terra. La pellicola ci fa vedere fino a quanto l’uomo è in grado di sfruttarle: fino al midollo. Il risultato inevitabile sarà di bruciarle e farle diventare solo cenere. L’autore dissemina la casa di oggetti e animali che riconducono alla natura, indizi per risolvere il puzzle, non proprio riconducibili alla narrazione in atto. Ogni persona che entra in casa ispira positivamente o negativamente lo scrittore Bardem. Madre, dorata e priva di peccato come una Madonna, a lei viene chiesto sempre e solo di elargire e di donare senza misura. Madre è l’ispirazione, che soffre inconsciamente. Sanguina e non capisce. Va contro ad un destino che non conosce e non comprende. Lei è la madre di tutto, la scintilla che ci fa svegliare alla mattina. Il sole che ci bacia quando lo troviamo senza riserve. 
Il film, dichiaratamente provocatorio, è la personale repressione del regista contro un mondo pazzo. Nella sua ciclicità la pellicola, a conti fatti, risulta troppo pasticciata. Argilla nelle mani del proprio artista, che ad un certo punto non riesce più a controllare. Bisogna anche dire che la tormentata e fervida interpretazione di Jennifer Lawrence aiuta il film a raggiungere parte del suo scopo: trasmettere insicurezza. Energico sconforto provocato anche dall’invasione della casa, sinonimo di un mondo non più al sicuro. Questa sensazione è accentuata dalla colonna sonora del film, composta da Jóhann Jóhannsson (Arrival, 2016). Commento musicale disturbante, dalle atmosfere metalliche. 
 
David Siena