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Black Square. Intervista a Rosaria Petti

Venerdì 31 Gennaio 2020 13:01
È da poco in libreria, per Giulio Perrone Editore,  Black Square. La fuga del giovane Holden di Maria Rosaria Petti. Una storia originale che spazia attraverso mondi paralleli, reali e immaginari, lungo la scia di epoche diverse, incontrando personaggi famosi dei quali il destino viene riscritto riscattandoli. Abbiamo incontrato l'autrice che ci ha parlato di questo interessante romanzo, il suo quinto lavoro narrativo. 
 
 
 
 
Questo è il tuo quinto romanzo, sei un’autrice prolifica, cosa significa per te scrivere? 
Da quando ho memoria ho sentito il bisogno di raccontare storie. Era la mia panacea contro tutte le paure. All’inizio le disegnavo soltanto, poi ho cominciato a scrivere. La rappresentazione della realtà mi sembrava migliore della realtà stessa. 
 
Nel libro cerchi di immedesimarti in alcuni protagonisti della letteratura mondiale Anna Frank, Holden Caufield, ma c’è un protagonista o una protagonista della letteratura in cui ti ritrovi maggiormente, quale e per quale motivo? O chi avresti voluto essere e perché?
In realtà ho cercato di imparare la lingua di Holden e di Anna e di vedere il mondo con i loro occhi. E’ stato un atto d’amore nel quale ci siamo cambiati a vicenda.
Avrei voluto essere Jo di ‘Piccole donne’, ma anche Jane Eyre, Anna Karenina e Sofia la moglie ombra di Tolstoj, perché mi sembra che nei romanzi di questo grande scrittore ci sia anche la sua mano e la sua testa.
 
 
 
Black Square è un quadro magico, una sorta di portale dimensionale attraversando il quale ha luogo una necessaria trasformazione, una nascita a nuova vita. In questa idea ho visto un po’ il passaggio che David Cronenberg fa in particolar modo in “Videodrome”. Anche lì il concetto di attraversamento era fondamentale, qui è un quadro nero, lì uno schermo televisivo che tutto ingoia. Si può parlare di metatesto nel tuo libro, è quindi una grande riflessione sulla letteratura?
Black Square è stato concepito da Malevic come un sipario dell’arte figurativa e un accesso dal quale  si può fermare la Storia e da dove si può farla ripartire.
I personaggi letterari del mio romanzo si trovano a un certo punto fuori dalle loro pagine, che rimangono bianche  e l’assenza di questi testi dal panorama letterario mondiale farà sentire per la prima volta tutto il vulnus di una perdita insopportabile. Allora ho immaginato che ‘Black Square’ fosse l’“ interruttore” per  riportarli a casa.
Nel mio immaginario i personaggi letterari  soffrono di solitudine perché vivono dell’interscambio con i lettori, e oggi, che nessuno legge, sono rimasti al buio. 
 
Si sente una forte influenza del cinema, sia da un punto di vista di scrittura (sembra infatti molto vicino ad un soggetto di un film), sia perché lo citi espressamente, riproponendo dei momenti chiave di alcune pellicole emblematiche. Che tipo di nesso c’è per te tra cinema e letteratura?
Il cinema e la letteratura sono una meravigliosa invenzione escogitata dall’uomo per allargarsi la vita e sono divise da un filo sottile. Ma se un libro esige una compensazione immaginaria per definire lo spessore e il paesaggio delle sue pagine, il cinema richiede immedesimazione ed empatia. Entrambi però offrono la possibilità di cancellare la realtà. 
Ho scritto questo romanzo come una sceneggiatura perché i singoli gesti dei miei personaggi lasciassero indovinare i loro pensieri.
 
Interessante è il concetto di tempo, ci sono ad esempio grandi salti temporali anche di epoche tra i protagonisti della storia e ciò che fanno, l’ambiente in cui si trovano a muoversi, i riferimenti (cinematografici ad esempio) di cui parlano. Come mai hai voluto imprimere questa particolare connotazione al racconto?
Il tempo è la grande illusione che ci governa e solo il presente è reale. Ma il passato e il futuro condizionano tutte le nostre scelte. I nostri pensieri non hanno una trama sequenziale ma fanno salti temporali che ci costringono a schivare ostacoli e salite impervie, eppure tutti insieme i nostri pensieri sono la nostra storia. Continuiamo ad ammazzarlo il tempo, per noia, per svago, per riempire dei buchi, senza renderci conto che è il nostro unico patrimonio. Non riesco a concepire una storia che non scorra su due binari paralleli perché le storie migliori si accompagnano sempre ad altre.
 
Hai un po’ riscritto la vita di questi personaggi, in una sorta di revisionismo letterario, un po’ quello che ultimamente, soprattutto dopo C’era una volta ad Hollywood, si attribuisce a Tarantino, anche tu li hai voluti vendicare a tuo modo? 
Tarantino ha cercato di riscattare gli orrori di un destino e  anch’io ho voluto riscattare il destino dei miei personaggi, regalandogli un’altra possibilità e un futuro ai loro sogni infranti.
 
Anna Frank è l’esempio di infanzia che ha resistito attraverso vivacità, intelligenza e immaginazione agli orrori di un tragico periodo storico, divenendo immortale. Sei molto legata alla tua idea d’infanzia? 
Anna Frank non voleva diventare immortale, voleva solo essere felice e crescere. Il suo diario è il mio diario di adolescente. La sua infanzia la mia infanzia normale. A un certo punto ho pensato che fosse venuta  a cercarmi per avere un finale diverso e che io, diventata scrittrice, potevo essere l’adulta che lei sognava di diventare. 
 
Perché è fondamentale il bisogno di uscire da confini già scritti?
Per essere sicuri di aver contribuito a stendere la trama della nostra storia e di non essere il Personaggio di un libro già scritto da un altro.
 
 
Redazione 

Ode in lode der cinema italiano

Venerdì 04 Maggio 2012 23:14

Giancarlo Santi, regista italiano classe 1939, famoso per le sue numerosissime collaborazioni con Sergio Leone e per aver diretto diverse opere tra cui Il Grande Duello (1972), nel 2007 si dedica a questa composizione per celebrare l'amico Marco Giusti che ha il merito di aver riportato all'attenzione del grande pubblico lo “spaghetti western”..seguendo la scia di Quentin Tarantino. Trovando molto divertente (nonché istruttivo) il componimento ed essendo appena terminate le riprese di Django Unchained, il tanto atteso western di Tarantino che vedremo nelle nostre sale a gennaio 2013, non potevamo non condividerlo ...

 

Ode in lode der cinema italiano

 

A Marco Giusti, Quentin Tarantino e ar

cinema italiano

Marco Giusti, un critico “capace”, (“rapace e perspicace”)

Ha organizzato la mostra “de nojantri”

cinematografari der west, i “senza pace”.

L’ha fatto perché c’è un “americano”

Che vive a ricopià li firm a tutti

E li rifà…. più brutti!

Ma stranamente so’ ri-piaciuti a tutti!

Doppo d’avè sparlato der cinema italiano

Sto’ Tarantino a Venezia però nun c’è

venuto.

a me sto fatto m’è sembrato strano:

Così vo’ bbene ar cinema italiano?

(o j’ha voluto sfotte o pijà p’er culo!) (aoh!

Ma vacce piano!)

Però je piaceno li western all’italiana:

e allora questa è ‘na consolazione.

A Venezia nun saressimo venuti;

si nun fosse perché a Lui je so’ piaciuti.

Quanti se ne so fatti? Lo sa’ Iddio!

E uno l’ho girato pure io!

E’ vero: nun ereno perfetti…

All’estero dicevano : “spaghetti!”

Spaghetti troppo cotti o “quasi” scotti.

Er sangue che schizzava tra li botti.

Cappelli che volevano “a rilento”,

cavalli che coreveno ner vento.

Paesaggi de boschetti e de sassare:

Attenti! Nun dovete ripià er mare!”

Acrobati-sceriffi che sembraveno pastori;

Pecorari e macellari diventati produttori.

Burini pistoleri e ladri de cavalli

Galoppaveno pe’ li monti e pe’ le valli,

tutti a corè appresso ar peggio ‘nfame

su e giù pe’ li buroni e le marane.

Li “cavallari” sempre a “rompicollo”:

Li documenti sempre “senza bollo”

Morti ammazzati sempre: a tutte l’ore,

e li cavalli coperti de sudore.

E sempre tanta sete e poco amore.

Sceriffi onesti, donne un po’ mignotte;

e ner salun ce scappaveno le botte!

Cazzotti e cazzottoni senza fini:

sediate in testa e pure tavolini.

La scena nun sembrava proprio farsa:

la sedia, mica sempre era de barsa.

Le donne belle co’ le crinoline

ballaveno era càncàn da “signorine”.

C’era de tutto e nun mancava gnente:

potevi falli pure: “incompetente”!

E perché c’hanno sarvato dall’obblìo?

Perché ha ricopiato quello mio!

Perché l’hanno passati a mezzanotte

Quanno pijeno servizio le mignotte.

Er genere è tarmente bello e vario

Che c’hanno fatto pure er dizzionario

Li critici storcevano la bocca.

E li stroncavano tutti: “sottacchittocca!”

Nessuno se chiedeva “quanto costa”:

giocavano ar massacro, senza sosta.

Adesso che nun serve più la gogna

pe ‘sto western ch’è risorto da le pene,

ce sta qualcuno che mo’ ne parla bbene

e der passato suo nun se vergogna.

Anzi ce fa le radiotrasmissioni

o le “rassegne” pe’ li più cojoni:

e se rimette in tasca li mijoni!

Si era lui? Nun me lo so scordato.

(E puro lui così c’ha rimagnato!).

Matriciane, carbonare, cacieppepe

Spaghettini, vermicelli e du “Tepepe”

ar dente”, “scotti”, “troppo saporiti”

sconditi”, “senza sale”, o “marconditi”.

Certe magnate! Nessuno mai diceva “basta”:

nun se fermava mai lo scolapasta!

Però la pila, ormai bolliva forte,

e portava li caubbòi verso la morte.

Così finì che li spaghetti scòtti

Sparìrno co’ lo smorzo de li botti.

Adesso tutti quanti vanno appresso

a Tarantino (che nun è sto’ fesso)

come si sonasse er flauto maggico.

A Tarantì, de tutta ‘sta violenza

Se ne po’ benissimo fa’ senza:

Soprattutto pe’ me: già “sinistrato”

che sotto “certe bombe” ce so’ stato . 19

luglio 1943 bombardamento de San

Lorenzo

E m’è bastata quela bomba amara

pe’ nun volè vedè sta “sanguinara”.

Da noi un firme nun po’ vàle

Si nun è “culturale” e “nazionale”.

Chissà se ar Ministero ce lo sanno

che er cavallo, da sempre, è culturale!

E la stella da sceriffo? Nazzionale!

E l’interesse? Der cinema italiano!

Che nun c’ha bisogno de chi lo pija pe’

mano

E mancomai de questo “ammericano”!

Marchetto mio, finchè c’avrò la vista

nun me farò ‘ncantà da sto flautista.

Perché?.... Ma fattene capace:

La musica che sòna, nun me piace!”

Co ‘sto Ministro giovane, RUTELLI

Potranno ritornà li tempi belli!?!?

Quanno telefonamio:

Quant’hàmo fatto oggi?” (dopo le ventuno)

e spartivàmio tutti: un po’ per uno ….

 

Giancarlo Santi

The Neon Demon

Mercoledì 08 Giugno 2016 21:54
Io penso che il mistero in un film ci deve sempre essere, infatti mi abbinano sempre a David Lynch forse per questa cosa che non si capisce mai cosa succede.
Lory Del Santo
 
Jesse (Elle Fanning) , sedicenne di provincia, si trasferisce a Los Angeles per fare della sua straordinaria bellezza un lavoro, ma si troverà a contatto con un ambiente spregiudicato che non le perdonerà un tale dono. 
The Neon Demon, ultima fatica del regista danese Nicolas Winding Refn, è una dura critica al mondo della moda con moltissimi spunti di riflessione, un'opera che l'autore stesso dichiara matura, un punto d'arrivo di tutto il suo percorso precedente. Refn riversa qui tutte le influenze del cinema di cui si è nutrito, mostrandolo come un baluardo ma al tempo stesso volendosene distaccare, prendendone le distanze in nome di una personale presunta originalità. Ci parla di concetti filosofici, di bellezza, inoltrandosi nel suo profondo significato, del mondo dell'effimero che conduce facilmente alla perdizione, di una dura e cinica materialità che contrasta con i sani principi morali.
In the Neon Demon troviamo tutto. Ad iniziare da Bava, Argento per poi passare a De Palma, Lynch, tutto ma proprio tutto. Lo troviamo nelle inquadrature, nell'indugiare con lo sguardo sui personaggi, nei movimenti di macchina, come se studiare i grandi maestri fosse stato un lavoro certosino. La pecca purtroppo sta proprio nel non riuscire a trovare una propria identità decadendo ad una mera copia sbiadita di tutto ciò che c'ha sbattuto al muro prendendoci di peso dalla poltrona.
Elle Fanning, giovane e brava protagonista, si mostra candida e insidiosa al tempo stesso, in lei c'è tutta l'ambiguità e la malattia dei contrasti lynchani, c'è anche la Carrie di De Palma (la scena d'apertura sembrerebbe un mix tra Omicidio a luci rosse e  Carrie lo sguardo di Satana) e poi tutto ciò che turba i nostri sonni, gli infiniti ossimori tra bene/male, provincia/città, giorno/notte, castità/sesso, realtà/allucinazione divengono, senza bisogno di essere annunciati, altrettanti infiniti richiami all'autore di Twin Peaks, a quella Laura Palmer che dovrà essere uccisa, alla Mulholland Drive inghiottita da una scatola blu tra eros e thanatos. É un gioco di specchi e di rimandi, specchi fisici che riflettono le immagini e le amplificano, obiettivi fotografici che immortalano in una sovraesposizione mediatica pericolosissima, ammiccando anche un po' all' Holy Motors di Carax, per due ore di pellicola che forse sono più ostiche delle tematiche affrontate.
Il grosso gap generazionale che accusa Refn è insito proprio nel non riuscire ad essere qualcosa di più di un richiamo, nel diventare noioso a tal punto che per spegnere la monotonia bisogna virare precipitosamente sullo splatter con sbudellamenti vari e cannibalismi al seguito secondo la migliore tradizione cinematografica.
Refn vuole a tutti i costi fare l'esoterico. Dichiara di essersi avvalso delle letture di tarocchi di Alejandro Jodorowsky, delle lunghe chiacchierate quotidiane via Skype con il maestro, tanto da riversare tutta la sua influenza nel loghetto col triangolino che campeggia su locandina e in varie scene del film, un po' insomma come pensare che ingellarsi i capelli alla Elvis equivalga a far rivivere Elvis stesso.
Lui si difende dicendo che chi non ammette di aver “rubato” da qualcuno sta mentendo, in effetti in questo non c'è nulla di male, ma il contrasto rispetto al passato sta nell'apparire acerbo e compiaciuto, come se per comprendere Tarantino ci dimenticassimo di Fernando Di Leo o di Enzo Castellari. Del resto, soprattutto le nuove generazioni di spettatori, Di Leo non sanno neppure chi sia come può accadere che di Refn lo si faccia passare per un talento visionario con buona pace di De Palma e compagnia bella.
 
Chiara Nucera
Disponbile in dvd nella collana Horrible Tapes, insieme a The children di Max Kalmanowicz e Jesse James meets Frankenstein di William Beaudine, The horrible house on the hill di Sean MacGregor e David Sheldon pare sia il film perfetto da vedere la sera di Halloween secondo l’ex enfant terrible di Hollywood Quentin Tarantino.
Intervistato al PaleyFest, l’autore di Pulp fiction e C’era una volta a... Hollywood ha infatti consigliato per i festeggiamenti del 31 Ottobre di visionare People toys, che è, appunto, il titolo alternativo – come pure Devil times five – con cui è conosciuto The horrible house on the hill, del 1974.
 
“Leif Garrett è il leader di questi ragazzini assassini, la sua è una performance veramente straordinaria in questo film. La pellicola è fantastica, oltre che un po’ malata, ma è proprio questo che rende la visione ancora più piacevole” ha dichiarato il cineasta a proposito di questa vicenda dal sapore slasher riguardante cinque strani ragazzi sopravvissuti ad un incidente stradale che si rifugiano in una lussuosa villa di montagna di proprietà del magnate Papa Doc, ignaro del fatto che essi siano sfuggiti a una clinica per malati di mente.
 
Per poi proseguire: “Mi ha lasciato senza fiato. È fantastico! Ne ho sentito parlare da sempre, da attori e registi, in parte anche perché per anni è stato proiettato nei drive-in di tutto il paese. Ci sono voluti molti anni ma, alla fine l’ho guardato e ho pensato ‘Wow! È davvero fantastico”.
 
Come anche The children e Jesse James meets Frankenstein, The horrible house on the hill è acquistabile in edizione standard o in limited edition, comprendente insieme al disco digitale il poster, una cartolina, l’adesivo Horrible Tapes e la videocassetta del film, in esclusiva da queste due pagine:
 
 
 

Il Natale da paura di Horrible Tapes

Domenica 13 Dicembre 2020 22:30
È un vero e proprio Natale da paura quello che Spaghetti Pictures Italia ha riservato ai fan dell’horror su celluloide, grazie alla collana Horrible Tapes, per questo 2020.
Dopo aver riscoperto in formato digitale i quattro cult del maestro del trash Ed Wood Glen or Glenda, Bride of the monster, Plan 9 from outer space e Night of the ghouls, disponibili sia in edizione standard che racchiusi tutti insieme in un cofanetto limited edition comprendente anche le sceneggiature degli ultimi due titoli, quattro poster, quattro cartoline e l’adesivo Horrible Tapes, infatti, l’etichetta lancia in dvd un inedito divenuto nel tempo, in patria, un vero e proprio classico delle festività di fine Dicembre: Santa Claus conquers the martians.
 
 
Diretto nel 1964 da Nicholas Webster,Santa Claus conquers the martians è un bizzarro mix di fantascienza e favola natalizia per bambini incentrato sul rapimento di Babbo Natale per mano dei marziani, preoccupati del fatto che i loro figli siano diventati ossessionati dagli spettacoli televisivi terrestri, che non fanno altro che esaltare le virtù del barbuto e leggendario dona-doni in abito rosso.
 
Disponibile in edizione standard esclusivamente sul portale di Spaghetti Pictures Italia, Santa Claus conquers the martians è acquistabile al prezzo di euro 14.90, ma è anche incluso nello speciale Christmas pack dvd, che, per euro 79.90, lo offre insieme ai quattro film di Ed Wood e a tutte le altre precedenti uscite targate Horrible Tapes: The children di Max Kalmanowicz, Jesse James meets Frankenstein di William Beaudine e The horrible house on the hill di MacGregor e David Sheldon. Quest’ultimo oltretutto consigliato dal genio di Hollywood Quentin Tarantino come lungometraggio perfetto da visionare la notte di Halloween.
 
Inoltre, vi è la possibilità di ricevere Santa Claus conquers the martians in omaggio effettuando entro il 24 Dicembre 2020 una spesa minima di euro 60 dal catalogo Horrible Tapes https://www.spaghettihorror.it/prodotto/horrible-tapes-special-christmas-pack-dvd/
 

Baby Driver

Giovedì 07 Settembre 2017 17:55
Nel mondo criminale, quello almeno cinematografico, a cui ci hanno abituato i film di una volta, fatta la rapina, il più importante dei compiti viene affidato a chi deve “fuggire con il bottino”. Nella visione del regista inglese Edgard Wright, l’arduo compito di spingere sull'acceleratore all’occorrenza è affidato a Baby (Ansel Elgort, classe ‘94) un ragazzino in grado di guidare qualsiasi automobile. Viene assoldato da Doc (Kevin Spacey) il criminale perfetto, un demonio vestito in giacca e cravatta, classe da vendere (è impossibile restare indifferenti davanti alla sua meschina gentilezza) e dalla sua ‘Banda Bassotti’ da manuale, composta dal tiratore Buddy (Jon Hamm), la sua dolce bionda metà Dalring (Eiza Gonzalez), Jamie Foxx nei panni dell’esplosivo Bats e Griff (Jon Bernthal fu ‘The Punisher’ nella serie TV Daredevil). Nickname da fumetto, come piacerebbe a Tarantino, le atmosfere di Driver-L’imprendibile (1978)  a cui il film deve dichiaratamente molto (Walter Hill, ha perfino dato la sua benedizione con un cameo) tutto grida al classico, e si distingue la sua originalità grazie ad una coraggiosa scelta, cosa c’è di tanto speciale in questo film? La disarmante bontà di Baby, iI giovane asso criminale è inaspettatamente tenero, la sua consapevole e fiera attività clandestina non gli vieta di fare del bene, non gli impedisce di innamorarsi di Deborah (Lily James) la barista di una stazione di servizio ubicata in mezzo al nulla. Baby ha un fischio nella testa dalla nascita ed è costretto a tenere acceso il suo I pod nelle orecchie tutto il giorno per concentrarsi, da qui l’espediente geniale per inserire la musica protagonista della pellicola. Durante la conferenza stampa il regista ha sottolineato l'importanza della colonna sonora, addirittura presente all’interno del copione digitale, Kevin Spacey ha definito la sua prima lettura dello script “Sexy”, perché il film non esisterebbe senza la musica. Dall’ “Harlem Shuffle” di Bob&Erl (1963) a ‘Brighton Rock’ dei Queen (1974), passando per Deborah dei T-Rex (1968)  con l’aggiunta delle suggestioni del compositore Steven Price, è impossibile non gustarla all’interno dell’ensemble. Girato bene e sceneggiato meglio, i dialoghi, scritti anche questi da Wright, finora conosciuto solo dalla sua indipendente cerchia di amatori geek, per l’adattamento del fumetto “Scott Pilgrim VS the World”(2010) e per “L’alba dei Morti Dementi” del 2004 (ora sulla bocca di tutti in quanto giudice della ‘74 edizione del Festival di Venezia), sono brillanti, squisiti, calibrati e pertinenti. L’amore, trionfa sulla disonestà, senza risvolti sdolcinati, l’intrattenimento commerciale alla Fast and Furious viene lasciato indietro, e quello che resta è un bellissimo esempio di quanto, dando fiducia a certi giovani registi, si possa portare freschezza e novità anche nei generi più convenzionali.
 
Francesca Tulli

C'era una volta a... Hollywood

Mercoledì 18 Settembre 2019 10:35

Scritto diretto e prodotto da Quentin Trantino “C’era una volta a...Hollywood” è il suo nono film. In cerca di fortuna, Rick Dalton  (Leonardo di Caprio) compra una casa ad Hollywood, il suo cancello confina con la villa di Roman Polański i e la sua novella sposa Sharon Tate (Margot Robbie), la sola vicinanza con il regista più amato in circolazione lo fa sentire meno fallito: l’attore non ha mai ottenuto un ruolo da protagonista (ad eccezion fatta di quello nella serie TV “Bounty Law”) dopo tanti provini sembra solo destinato al ruolo del cattivo, specializzato in Western di dubbia riuscita. Cliff Booth (Brad Pitt) la sua controfigura è un omaccione forzuto, che vive sotto un tetto pericolante con un cane che gli assomiglia, per temperamento e indole. Molte leggende girano su di lui, alcuni pensano che sia un assassino, altri si limitano a sfidarlo per saggiare la sua decantata invulnerabilità che fa impallidire perfino una leggenda come Bruce Lee. Sulle note di Mrs. Robinson  e altri 31 selezionatissimi brani , lo scenario, modellato e ricostruito tra luoghi reali e mastodontici set, senza aggiunte di computer grafica, in cui questi due improbabili si muovono è una Hollywood verso il tramonto. I ricchi signori del cinema consumano il loro denaro tra feste e relazioni di comodo e sul ciglio della strada si affacciano legioni di hippie in cerca di cibo scaduto nella spazzatura. Chi conosce la storia (americana) sa che nel 1969, i seguaci di Charles Manson, al grido di “Morte ai maiali” uccisero Sharon Tate nella sua casa di Beverly Hills, all’ottavo mese di gravidanza. Quella fu la fine della favola di Hollywood (il “C’era una volta” del titolo lo suggerisce) la culla del cinema divenne lo sfondo di questo crimine, l’industria continuò nel bene e nel male ad esistere all’ombra di un tale macabro omicidio. Tarantino, con i suoi 161” minuti di pellicola (Kodak 35 millimetri in formato anamorfico) ci costringe a conoscere così tanto bene i suoi improbabili eroi da convincerci che siano esistiti veramente. Il regista durante la conferenza stampa con il cast a Roma, città che ama come gli Spaghetti Western (che omaggia ancora) ha ribadito che questo terzo film chiude un filone di ucronia, i primi due erano “Bastardi Senza Gloria” (2009) e “Django Unchained” (2012) spiegando: “Chiudo una trilogia. Non posso dire però che il cinema abbia il potere di cambiare la storia, ma certo può avere la sua influenza”.

 

Francesca Tulli