In una città fantasma del vecchio west, “sospesa tra la polvere del deserto e i fantasmi del passato” si svolgono le vicende di due efferati fuorilegge, Black Burt (Stefano Jacurti), in arte e al lavoro “il Poeta”, e Butcher Joe (Simone Pieroni) alias “il Macellaio”. I banditi, in fuga verso il Messico, si imbattono in una serie di figure macchiettistiche, involontariamente grottesche e in situazioni prive di continuità drammaturgica. In un ingarbugliato (e un po’ noiosetto) sviluppo narrativo, vediamo come le atrocità compiute in passato dal Poeta/Black Burt lo inducano a ravvedersi. Indignato “dall’assenza di istituzioni” in quelle terre dimenticate pure da Dio, Black Burt fa un esame di coscienza e vende alle autorità locali il suo compare Butcher Joe in nome della legge e di un’improvvisa riscoperta civile, in un finale che puzza un po’ di moralismo spicciolo.
I registi Stefano Jacurti ed Emiliano Ferrera non nascondono la loro passione morbosa per il cinema western. Nel 2007 realizzano Inferno bianco, western-horror innevato, girato sul Gran Sasso come immaginario Oregon; il film vince il primo premio ACEC al Tentacoli Film Festival, ricevendo, a quanto pare, una lettera di riconoscimento da Pupi Avanti. Durante la conferenza stampa di Se il mondo intorno crepa – If the world dies, Jacurti & Ferrera citano, tra i registi che li hanno maggiormente influenzati, John Ford, Sergio Leone, Sam Peckinpah, ma, guardando anche distrattamente la loro ultima fatica, i due autori/attori dimostrano di aver assorbito quell’estetica/etica western senza veramente capirci un tubo.
Infatti, l’impressione che si ha guardando il film è quella di un gruppo di bamboccioni un po’ cresciuti che giocano a fare i banditi del far west con le pistole di plastica.
Il film emana dilettantismo da tutti i pori: recitazione scialba, musiche di sottofondo di Klaus Veri che appaiono dal nulla e spariscono nel nulla, un montaggio senza soluzione di continuità che compromette irreparabilmente lo scorrere della narrazione. I due autori realizzano infatti un omaggio approssimativo all’estetica western, curandosi poco dell’etica; i costumi, le unghie sporche e i denti marci dei banditi, il rumore artificioso degli spari, le sconfinate vallate abruzzesi in cui è girato il film (più a east che a west)creano una certa atmosfera, che però non riesce a fare i conti con la vera storia del western (spaghetti, dirty o crepuscolare che sia) e ne rimane solo una riproduzione meramente scimmiottata. Il prodotto finale somiglia piuttosto a uno di quegli sketch della Premiata Ditta, che non fanno ridere nessuno, ambientati nelle diverse epoche storiche (ce ne sarà stato sicuramente uno ambientato nel vecchio west!).
Il tentativo è quello di una metafora universale del senso di vuoto morale generalizzato che caratterizza la società contemporanea, corrotta fino al midollo, ma il parallelismo risulta debole e a tratti qualunquista.
Il film purtroppo è carente sia della lucida credibilità di un “prodotto serio e vendibile”, sia del consapevole e goliardico disimpegno di un b-movie.
Quello che ne esce fuori è un lavoro trascurato e trascurabile, sia nella forma (riciclo approssimativo degli stereotipi di genere) che si decide di dare alla materia in questione, sia nella stessa materia a cui si decide di dare una forma.
Angelo Santini