Fuoritraccia

Newsletter

Messaggio
  • EU e-Privacy Directive

    This website uses cookies to manage authentication, navigation, and other functions. By using our website, you agree that we can place these types of cookies on your device.

    View e-Privacy Directive Documents

Home » Recensioni » Visualizza articoli per tag: roberto faenza
A+ R A-
Visualizza articoli per tag: roberto faenza

Senza chiedere permesso

Venerdì 20 Febbraio 2015 21:27
Fabio Traversa (interprete dei primi film di Nanni Moretti nonché l’indimenticabile Fabris in Compagni di scuola di Verdone) è un attore e autore teatrale che vive con la moglie Tiziana Lucattini, compagna nell’amore e nell’arte. Uomo pacato e generoso, Fabio affronta un viaggio onirico; “fa cose e vede gente” in un perenne stato di deja-vù che lo accompagna nella quotidiana fatalità della vita stessa. 
La giovanissima Iolanda La Carrubba, documentarista e operatrice culturale, mette in scena una commedia onirico-fantastica, che vede la collaborazione di un nutrito gruppo di amici, dal regista Aureliano Amedei (20 sigarette, Il leone di Orvieto) al giornalista Fulvio Grimaldi, da Alessandro Benvenuti a una folta schiera di poeti e artisti. Il titolo è Senza chiedere permesso, da non confondere con l’omonimo documentario sugli operai della Fiat Mirafiori, proiettato recentemente a Torino, né con il saggio sulla controinformazione militante scritto da Roberto Faenza del ’73.
 
La Carrubba già nel suo precedente Zapping indagava su come l’avvento di internet abbia cambiato l’approccio all’arte. In Senza chiedere permesso, presentato in anteprima romana alla Centrale Preneste teatro, in occasione della manifestazione Nostalgie di un presente/futuro, ignora, più o meno consapevolmente, i fondamenti rudimentali del linguaggio cinematografico per abbracciare altri codici, segretamente legati all’espressione pubblicitaria. Tuttavia l’accostamento fra dimensione onirica e flusso televisivo fatica a trovare una strada credibile e le intenzioni di regia confluiscono in una forma fastidiosamente amatoriale, dove la messa in scena dell’onirico finisce per equivalere a una messa in scena “alla cazzo di cane” (dalle riprese sovraesposte all’abuso di dissolvenze al montaggio). 
 
L'ignorare i canoni estetici attraverso un uso “sporco” dei nuovi mezzi di ripresa digitale (più pratici e maneggevoli) accumuna in parte il film al saggio di Faenza, vero e proprio manuale per il cineasta militante all’alba del videotape. Ma nel film di Iolanda La Carrubba non c’è militanza. Il suo non è un film che parla di politica, ma ambisce ingenuamente a essere un film girato in modo politico (tanto per citare Godard). 
Non importa molto se questo pressapochismo estetico sia il risultato di una scelta autoriale consapevole o meno, perché diventa insostenibile già dopo i primi dieci minuti di film e giustificarlo con la scusa del “zero budget” sembrerebbe anche un po’ pretestuoso. La Carrubba non mette veramente a frutto le potenzialità metalinguistiche del mezzo digitale e le citazioni colte da Keaton a Méliès nascono come muoiono. 
Non bastano passione e devozione dei due interpreti per salvare una storia che non si capisce bene dove voglia andar a parare.
 
Se l’obiettivo perseguito dalla regista era quello di destabilizzare il pubblico, ci è riuscita. Resta da vedere se questa destabilizzazione sia in linea con le intenzioni autoriali o la conseguenza di una noia generale per un film che vuole essere troppo ma che in fin dei conti sembrerebbe sortire l'effetto contrario. 
 
Angelo Santini

Hill of Vision

Venerdì 10 Giugno 2022 13:13

Dagli stracci alla ricerca: l' incredibile vicenda umana che vede protagonista lo scienziato di origini italiane Mario Capecchi premio Nobel per la medicina nel 2007.
Il film di Roberto Faenza è un inno al coraggio, alla determinazione, alla resilienza e alla speranza nel futuro a prescindere dalle condizioni di partenza. La pellicola si sofferma su un arco temporale ristretto:  le peripezie, i dolori e le sofferenze patite da questo bambino (interpretato in modo egregio da Lorenzo Ciamei) dai quattro agli undici anni nel periodo buio del nazifascismo in Italia. Figlio di Lucy una donna americana (Laura Haddock) costretta a separarsi da lui per salvarlo nascondendolo in montagna prima di essere catturata e deportata in un campo di concentramento e di Luciano (Francesco Montanari), italiano fascista e violento.
Il distacco lacerante dalla madre prima e il ripudio del padre poi, passando per una lunga serie di vicende dolorose,  fino all'insperato ricongiungimento materno dal quale avrà inizio una nuova vita. L' America lo accoglierà anch'essa al pari di una madre nella comunità quacchera Hill of Vision, dove vivono gli zii materni, determinanti per instradarlo sulla via dello studio e dell'impegno. Anche questi primi anni in una nuova patria non saranno semplici perché necessiteranno di adattamento, apprendimento di nuove regole, usi, costumi oltre ad un nuovo idioma e ancora ad un distacco che vede la madre dover ricorrere a cure per superare il trauma della deportazione.  La scena finale poetica che vede Mario reintegrato a scuola dopo un'espulsione, seduto all'ultimo banco (umile e dignitoso) ma abbracciato dalla madre che gli siede accanto, rappresenta il simbolo della rinascita che può essere vissuta da chiunque, quando si ha la volontà di lavorare su se stessi e si cerca di creare un mondo a misura di anime gentili e non più solo di cani arrabbiati. Il film anche se un po' troppo didascalico e con un montaggio che crea un ritmo altalenante fra parti più scorrevoli e parti decisamente meno incisive, ha il pregio di porre in luce una vicenda personale fuori dal comune. Un plauso anche alla scenografia con dettagli puntuali circa la ricostruzione degli ambienti che fanno da sfondo alle vicende (Francesco Frigeri) e ai costumi  (il premio Oscar Milena Canonero) rappresentativi e aderenti al contesto.  Un film che mette in luce la straordinaria vita di un uomo e regala fiducia e ottimismo in un periodo complesso come quello odierno.

Virna Castiglioni