Fuoritraccia

Newsletter

Messaggio
  • EU e-Privacy Directive

    This website uses cookies to manage authentication, navigation, and other functions. By using our website, you agree that we can place these types of cookies on your device.

    View e-Privacy Directive Documents

Home » Recensioni » Visualizza articoli per tag: restless
A+ R A-
Visualizza articoli per tag: restless

RESTLESS di Gus Van Sant

Lunedì 24 Ottobre 2011 21:10

E’ possibile accettare la morte quando si è giovani e belli? ...e non solo. E’ possibile accettare la vita quando, giovani e belli, si proviene dalla morte, si è rimasti soli e si va incontro di certo a un altro lutto?

Sembrerebbe di sì. O almeno a Hollywood qualcuno ci è riuscito: mister Gus Van Sant, uno dei più sensibili fra i registi americani ha provato a prendere in mano questa storia di Bryce Dallas Howard (la figlia di Ron) a farla sua, artisticamente e stilisticamente destando la nostra ammirazione dopo quella suscitata al Certain Regard dell’ultimo Festival di Cannes.

Le vite dei due protagonisti si incrociano in un momento fatidico: lui, Enoch viene da un contatto ravvicinato con la morte e ancora deve riuscire a vivere veramente, frequenta solo fantasmi e funerali; lei, Annabel la vita la sta per lasciare per colpa di un male incurabile che le lascia solo i giorni contati. La patata in mano a Van Sant era particolarmente bollente: il più famoso film su questo argomento “Love story” quando uscì (e forse ancora oggi) spaccò a metà critica e pubblico. C’erano quelli che uscivano dalla sala commossi e con gli occhi gonfi e quelli che rifiutavano sdegnosamente il “ricatto emotivo” di una simile storia. In “Restless” (titolo italiano da dimenticare, tanto per cambiare ... “L’amore che resta”) invece molte situazioni apparentemente drammatiche in mano al regista di Louisville acquisiscono una dimensione scherzosa, irriverente verso il destino, una totale libertà intellettuale rispetto ai luoghi comuni sull’argomento. Come è d’altronde vero che il peso del dramma lo sosteniamo tutto fin dall’inizio, viviamo perfettamente le vite interrotte dei due ragazzi senza che Van Sant debba usare nessun trucco psicologico. Un po come succedeva nei film della nouvelle vague caratterizzati si da un certo anarchismo intellettuale ma anche da un profondo romanticismo: il dramma è li, dietro l’angolo ma noi voliamo alto insieme ai pensieri e ai gesti dei protagonisti per tutto il film. Nello specifico impossibile non ripensare a “Jules et Jim” di Truffaut (la passeggiata in bicicletta) o a “A’ bout de souffle” di Godard (i capelli corti, biondi di Annabel stile Jean Seberg con Belmondo pre-destinato a morte prematura)

"Restless" è segnato dalle situazioni banali, quelle piccole cose che accadono giorno per giorno e che li per li non sappiamo sottolineare, alle quali non diamo alcun peso. Ma che poi escono fuori con il tempo, quando si ricordano persone care ormai lontane o legami affettivi ormai finiti nel passato. E’ il potere della memoria. Ebbene GVS riesce a dare corpo unico a un insieme di piccole scene romantiche, divertenti, tristi, naturali e a fare di queste il fulcro del film. Il lavoro “fotografico” sui due ragazzi ricorda moltissimo gli altri film di GVS che non ha caso secondo me e non da questo film sa raccontare meglio di chiunque altro le nuovissime generazioni americane, le loro vite apparentemente distaccate dalla realtà ma che hanno un mare in tempesta nelle viscere. Basti pensare a “Elephant” o a “My own private Idaho” oppure “Paranoid Park” o “Will Hunting”. Il regista americano affonda si lo sguardo ma non si sofferma più di tanto sulle loro espressioni, li riprende di lato per non invaderli in pieno, lo fa in modo quasi quasi casuale, sulle loro guance segnate da couperose o sulla loro fronte ricca di acne giovanile. Per questo non ha bisogno di mostrarli alle prese con i consueti “totem” generazionali quali iPhone, computer, cellulari, videogames. Non ce n’è bisogno. GVS li racconta intimamente ma senza mai scalfirli o violentarli: è veramente di una classe superiore.

Questo modo così lieve di raccontare una storia destinata a finire, mi ha rimandato con la mente ai film di Michel Gondry e in particolare a “The eternal sunshine of the spotless mind” anche se lì i protagonisti erano giovani già cresciuti e c’era una “morte” solo virtuale. Sarà forse per quella scena che poi è diventata la locandina di entrambi i film: i due ragazzi stesi in mezzo alla strada presi dall’alto con le sagome auto-segnate in gesso per “Restless” e la scena simile nel film di Gondry con Jim Carrey e Kate Winslet distesi per terra ripresi con il dolly che li riprende in un deserto di ghiaccio. Poesia del racconto cinematografico.

I due ragazzi giovanissimi Annabel ed Enoch sono interpretati senza enfasi dai giovani Mia Wasikowska e dal figlio di Dennis Hopper, Henry alla sua prima prova. Non sapendo nulla del cast di questo film, alla prima scena con Enoch ho avuto un sussulto sulla sedia riconoscendo in lui il giovane bulletto di “Gioventù bruciata” e mi sono detto fra me e me “ma guarda che sfrontato questo ragazzino che fa il verso al grande Dennis e a James Dean” poi ai titoli di coda ho capito...

Chiudo con un cenno di merito alla sala 3 del Fiamma, dove ho assistito alla proiezione di "Restless". La scelta sulla carta era poco incoraggiante, delle tre sale romane nelle quali è stato programmato il film (scandaloso che un titolo del genere non sia stato distribuito ne in versione originale ne in una sala grande) ho scartato a priori la sala 3 del Doria, e la sala 3 del Greenwich per manifesta incompatibilità con un cinema degno di tale nome. Non avendo alternative ho avuto dal carissimo amico cinéphile Lorenzo Bottini il benestare per la 3 del Fiamma dove non ero mai stato: beh non ci crederete... ma molto meglio di una sfilza di sale uno e due sparse per Roma. Schermo e audio come dio comanda, poltrone comodissime e ben distanziate, solo un leggero rumore del proiettore che naturalmente essendo a ridosso dell’ultima fila si fa sentire.

Quindi buone vibrazioni... grazie al Fiamma e grazie soprattutto a Gus Van Sant.

Marco Castrichella