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Visualizza articoli per tag: raffaele picchio

Morituris

Sabato 29 Dicembre 2012 21:19

Morituris (dativo di morituri: “per/a coloro che stanno per morire”) rappresenta, forse, uno dei primi mattoncini della ri-costruzione dell’horror movie italiano, lacerato dai limiti economici e da una concorrenza spietata a livello internazionale, a cui spesso soccombe.

Prima ancora della sinossi e delle tematiche affrontate, il punto forte del primo lungometraggio di Raffele Picchio è la qualità di realizzazione, che riguarda tanto la sceneggiatura come la tecnica di regia, toccando anche il comparto degli effetti speciali.

La sceneggiatura, opera del critico cinematografico Gianluigi Perrone, qui alle prima esperienza di elaborazione di uno script, è ben calibrata e riesce a tenere insieme elementi e suggestioni variegate ben cuciti all’interno di un progetto nichilista ed estremo. Il male, infatti, è qualcosa che permea la natura umana informando di sé ogni relazione e situazione. Ed è un male gratuito, immotivato, irrazionale, che non risparmia niente e nessuno annullando qualsiasi posizione valoriale ma anche i classici ruoli di vittima e carnefice. Se all’inizio è la violenza sui corpi femminili a prendere il sopravvento – all’interno di quello che a tutti gli effetti può apparire come un torture porn – gradualmente assistiamo ad un cambiamento di struttura che non capovolge la relazione fra vittime e carnefici ma ingloba tutti i personaggi dentro ad unico universo in cui si ritrovano ad essere ugualmente vittime di violenze atroci da cui nessuno di loro avrà scampo.

La violenza si aggancia, nell’intreccio, alla vendetta, che è qui qualcosa di ancestrale, tale da riportare in vita quei gladiatori che nel 73 a.C., guidati da Spartaco, affrontarono l’esercito romano ed uscirono mentalmente provati da quell’esperienza iniziando una serie di rapimenti e assassini, e che, nelle oscurità di un paesaggio boschivo tanto bucolico quanto terrificante, tornano per sfogare la loro rabbia su un gruppo di ragazzi e ragazze “innocenti”. Va detto che questo spunto di storia antica, che si riallaccia nelle intenzioni degli autori al ben più noto evento di storia italiana contemporanea quale il massacro del Circeo (con citazioni che lasciamo allo spettatore il piacere di trovare), rappresenta solo un elemento utilizzato per costruire un horror movie non eccessivamente attento alla verità storica – non dobbiamo dimenticare che si tratta di un film di genere, volto all’intrattenimento - ma dove la violenza, elemento trainante di qualsiasi racconto horror, è fine a se stessa. Tant’è vero che la ferocia dei gladiatori riesumati si volge contro tutti, senza sublimarsi in una sorta di spedizione punitiva nei confronti degli uomini sadici e violenti.

Dalla sceneggiatura alla resa filmica con mezzi tecnici d’avanguardia - il film è girato con una Red One Digital Camera - e con una meritevole attenzione ai dettagli: i gladiatori tornano alla vita vestiti di elmi ed armature sapientemente costruiti (merito di Tiziano Martella e dei ragazzi della Lewis Carrol) ed assumono tutta la loro carica di terrore grazie alla fotografia e agli effetti speciali di Sergio Stivaletti.

Non mancano alcuni limiti evidenti sia nella costruzione dei dialoghi iniziali che oscillano fra il piano ironico e la banalità estrema, senza raggiungere nessuna forza stilistica, sia nelle scene nella location boschiva, assolutamente poco illuminate, tanto da rendere difficile la visione di alcuni momenti topici. Difetti che in un’opera prima sono ampiamente contemplati e che, ad ogni modo, non disturberanno troppo gli amanti del genere.

Probabilmente leggere l’impianto narrativo del film come una denuncia ad una società onnivora e perversa dove la salvezza non è contemplata in nessuna forma e dove il male conduce solo ad un male ancora più efferato, è un lavoro di ermeneutica non sorretto da nessuna prova. Eppure, sebbene in assenza di morale o di qualsivoglia messaggio di redenzione, sembra palesarsi, fra le righe, la presa di coscienza di una virulenta malattia sociale in cui la legge del più forte è ancora l’unica a sopravvivere. Le urla straziate delle protagoniste stanno lì a ricordarcelo.

 

Elisa Fiorucci  

 

vedi http://www.fuoritraccia.eu/recensioni/item/299-versipellis