Cantautore, compositore, regista, pittore. Franco Battiato nei suoi quasi cinquant’anni di carriera si è dimostrato in grado di mettere continuamente in discussione se stesso in una ricerca sperimentale che ha segnato la storia della musica italiana e non solo. Nel 1972 fu il primo musicista italiano a utilizzare il VCS3, un sintetizzatore analogico, di cui, all’epoca, vennero venduti solo due modelli. Uno a Battiato, l’altro ai Pink Floyd.
Secondo una teoria sulla reicarnazione, abbracciata dallo stesso Battiato, un uomo può vivere diverse vite. In Temporary Road si tenta di raccontarne una: quella dell’artista tout court che tutti conosciamo.
Quello che ne esce fuori è un ibrido abbastanza anonimo fra documentario e film concerto. A essere anonima non è certamente la voce di Battiato, ma la mano degli autori, il giornalista Giuseppe Pollicelli e il regista Marco Tanni. Le parole del cantante, il suo misticismo e la personalità prorompente sovrastano e annientano qualsiasi tentativo di istanza autoriale. L’invisibilità di Pollicelli e Tani, i quali si mettono da parte lasciando spazio esclusivamente alla figura di Battiato, si rifa, in parte, alla tradizione documetaristica di Wiseman, ma, in questo caso, genera un’opera trascurata e trascurabile, in cui le parole del cantante si confondono indistinguibili in un getto unico e continuo di verbosità irrefrenabile. I racconti della vita di Battiato sono privi di un vero file rouge o di un momento memorabile che cela una qualche epifania rivelatrice. Nonostante la presenza di tre montatori (Pollicelli, Tani e Alessandro Latrofa) manca una certa abilità di montaggio mirata a strutturare le argomentazioni del protagonista. Questa mancanza, oltre a svalutare le argomentazioni stesse, fa precipitare lo spettatore in un vortice inesorabile di noia, dal quale riesce a salvarsi solo grazie alla musica memorabile del maestro Battiato.
Temporary Road. (Una) vita di Franco Battiato, presentato prima fuori concorso nella sezione “Festa Mobile” del Torino Film Festival, poi durante la XIII edizione del RIFF (Rome Independent Film Festival), è un film acerbo, che non riesce a codificare in immagini l’enorme potenziale espressivo del suo protagonista. Così facendo tende ad assomigliare più a una semplice (e un po’ confusa) biografia televisiva. Niente da dire contro le biografie televisive, ma il cinema è un’altra cosa.
Angelo Santini