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Tale of tales - Il racconto dei racconti

Lunedì 25 Maggio 2015 23:37
Uno dei registi italiani più apprezzati degli ultimi vent'anni opta per un film dal respiro più internazionale (e quindi americano)  “che nasce prima di tutto con l'ambizione di essere un film per il pubblico poi per i festival” confessa lo stesso Garrone riferendosi alla candidatura a Cannes. 
Adatta tre delle fiabe de Lo Cunto dei Cunti, raccolta scritta da Giambattista Basile in lingua napoletana tra il 1634 e il 1636, diventata in seguito ispirazione per scrittori come Andersen, Perrault e i fratelli Grimm. 
Per farlo ricorre a un cast internazionale e a un budget di quasi 12 milioni di euro, ma l'ambizione annichilisce in parte quella ricercatezza estetica che ha caratterizzato lo stile del regista. 
 
A Garrone, si sa, è sempre piaciuto improvvisare sul set; la sceneggiatura era un canovaccio steso renoiriamente, che finiva per modellarsi nel corso delle riprese attorno alle caratteristiche fisiche e umorali degli  attori. Lui stesso, personalmente dietro la macchina da presa in tutti i suoi film, da Terra di mezzo a Reality, stava addosso ai suoi personaggi/persone per carpirne le inconsapevoli variazioni emotive, attento a non congelare forzatamente il fluire della vita esterna. Inoltre, ha sempre cercato di girare i suoi film in sequenza, lungo il filo cronologico del racconto, proprio per costatarne sulla pelle degli attori gli sviluppi drammaturgici. Insomma, un modo di fare e pensare il cinema che ha caratterizzato il genio di Garrone che gli è valso il premio speciale della giuria di  Cannes nel 2008 per Gomorra. Il budget mastodontico di Tale of the tales però ha finito paradossalmente per castrarlo; la sceneggiatura blindata e il frequente uso di green screen per gli effetti digitali gli hanno impedito di controllare le sue immagini come, da buon pittore, è sempre stato abituato a fare. 
Ma Garrone non è un regista qualunque pronto a genuflettersi di fronte al Dio Mercato. Imprigionato in una messa in scena suggestiva, ma senz'altro più standardizzata, Garrone prova ad imporre la propria autenticità e a far sentire ancora l'eco lontano della sua voce. Lo fa scegliendo di adattare il più antico e ricco fra tutti i libri di fiabe popolari, caratterizzato da quella forte componente partenopea molto familiare al regista. Il valore simbolico dei racconti selezionati incontra due dei piani tematici più cari a Garrone, le leggi del desiderio de L'imbalsamtore e la mutazione di anime e corpi; la vecchia che si fa scarnificare per tornare giovane e bella ricorda molto la figura scheletrica di Sonia in Primo Amore. Ma se nei suoi film precedenti era sempre partito dalla realtà contemporanea poi trasfigurata nell'azione fantastica, qui fa l'esatto contrario, partendo dai racconti magici che porta in una dimensione più concreta. La libertà espressiva repressa la ritrova nella ricerca di luoghi reali, che però sembrano ricostruiti in studio, mentre quelli ricostruiti in studio tendono all'iper-realismo, grazie anche alla mano dello scenografo Dimitri Capuano. 
 
Garrone rinuncia ai suoi cavalli di battaglia, non trova più il film facendolo, ma confeziona un buon prodotto adatto a un pubblico di diverse generazioni.
 
Angelo Santini