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Visualizza articoli per tag: jared leto

Blade Runner 2049

Giovedì 05 Ottobre 2017 15:40
Denis Villeneuve, dopo Arrival, firma il suo secondo lavoro di fantascienza, opera che nasce come sequel del primo Blade Runner, l'originale del 1982. Conscio della spinosa impresa alla quale è chiamato, Villeneuve ci tiene in un certo modo ad affrancarsi precisando, in un messaggio per il pubblico prima della visione, di non giudicare il film sulla scorta di preconcetti quanto di immergerci nell'esperienza cercando di lasciar cadere il maggior numero di filtri possibile.
Ed è così che sembra più utile approcciarsi a questo tipo di operazione, perché è scontato dire che cimentarsi nell'impresa di reinterpretare uno dei capisaldi della storia del cinema è qualcosa di assai arduo e si rischia di perdere in partenza.
Purtroppo il confronto scatta automatico ma il target considerato sembra anche quello delle più moderne generazioni di spettatori che non hanno avuto l'occasione di vedere il precedente o di leggere il romanzo di Philip K. Dick. 
Anche se muniti delle migliori intenzioni, l'opera non ne esce bene risultando abbastanza asettica, incasellandosi perfettamente sulla lunghezza d'onda di un qualsiasi film poco riuscito di supereroi tutto effetti grafici, sfarzose scenografie e molto poco cuore. Il tempo, estremamente lungo, della visione è spezzato da scene molto cariche e dense di immagini, luci, suoni, colori. Villeneuve, supportato dalla fotografia di Roger Deakins e avvalendosi anche di un immenso lavoro di scenografia, dà il meglio di sè sul registro visivo caratterizzandolo con i suoi specifici codici. Superficialmente toccante, in paesaggi sconfinati, desertici, postapocalittici, rimbalzanti da crude e scarne distese di sabbia con cieli seppiati postatomici a interni sfarzosi di metropoli, ormai distrutte e deprivate di un'anima che si agita stretta in automi dominanti e controllori, censori, usurpatori. 
Le ambientazioni e tutto ciò che le concerne è reso alla perfezione pescando un po' qui un po' là da tutta la fantascienza che il cinema rievoca da quell'originale dei primi anni ottanta nei quasi quattro decenni successivi. I richiami alla Bigelow di Strange Days, al Besson del Quinto Elemento, alle metropoli asfittiche e brulicanti di Wong Kar-Wai si sprecano, il revival ad un "vintage" anni novanta è forse uno degli elementi più presenti. 
La memoria storica, di una crisi lancinante che ha condotto tutto allo sfascio, è affidata su tutte ad una frase di uno stanco Deckard mentre si sofferma sul ricordo di quando l'opulenza distraeva da ciò che intorno crollava. Ma è tutto sempre lì presente, dietro l'angolo, in una simil Las Vegas vittima degli eventi, in un ologramma di Elvis che si staglia magnificamente al centro della scena, quasi in un dialogo a tre con Ford e Gosling. 
Villeneuve  nonostante il megaimpianto sembra aver perso il suo taglio, aver chiuso il cuore che palpitava forte in La donna che canta (2010) in un cassetto, ritrovandolo solo in memorie ammiccanti per la sua generazione, maldestramente fondendo mode del momento in un Jared Leto guru de noantri che, insopportabile, cita frasi della Bibbia e massime zen a casaccio, come se non ci fosse un domani. Un pastone di incroci di teorie, filosofie, letterature, stili, mode, grandi dogmi di ieri oggi e domani, giusto per accontentare un po' tutti, imprimendo comunque un gran senso di vacuità in cui lo stesso Gosling, scelto per guidarci nell'intera vicenda, con la sua monoespressione risulta a tratti anche un po' ridicolo.  
 
Chiara Nucera

House of Gucci

Martedì 14 Dicembre 2021 23:01

Una giovane coppia spensierata viene fotografata a Milano, sullo sfondo di una pandemia mondiale, a Piazza Duomo nel 2020. Sono l’attore Adam Driver e la diva del pop Lady Gaga, si abbuffano di panzerotti e li guarda tutto il mondo. Alcuni (giornalisti imbecilli) pensano perfino ad un vero scoop, ma stanno solo girando un film di Ridley Scott. La vicenda dietro a questa foto è ben più grande: è la storia della moda, la storia di una famiglia attraversata da una disgrazia, la storia di un amore da favola finito nel sangue, la cronaca degli ultimi fasti dei Gucci. Patrizia Reggiani (Lady Gaga) è una segretaria, lavora per la ditta di trasporti di suo padre e come una novella Cenerentola, ad una festa scambia il “principe azzurro” per il barman. Trova un pretesto per parlarci. Lui è Maurizio Gucci (Adam Driver) e la conquista senza averne la percezione: bacia mano, timidezza, galanteria educazione, la ragazza in ben che meno pende dalle sue labbra e sfrutta l’occasione per ballare con lui. Lei trasale a sentire il cognome che porta, si fa sedurre dalla sua gentilezza e intravede due cose: un matrimonio felice e la via per il successo. La favola finisce a mezzanotte, lui sparisce dopo un saluto veloce. Lei con una mossa da “stalker” lo accalappia all’uscita della biblioteca, gli estorce un appuntamento, lo ottiene e tra i due sboccia l’amore. La vita di entrambi viene messa sotto sopra, sotto il severo sguardo del padre di lui Rodolfo Gucci (Jeremy Irons) che, una volta incontrata la fidanzata del figlio, senza riuscire a persuaderlo, lo disereda. Il giovane sceglie una vita di fatica, pur di sposare Patrizia e dopo le nozze tutto procede a meraviglia fino alla comparsa nella loro vita dello zio, Aldo Gucci (Al Pacino) e del cugino Paolo (Jared Leto). Patrizia intravede una svolta che può davvero renderla ricca, incalzata da una cartomante (Salma Hayek), stravolge la vita del marito e della sua intera dinastia. Fin dal principio ci rendiamo conto che le intenzioni del regista non erano quelle di riportare fedelmente un fatto di cronaca nel dettaglio, lo avrebbe altresì fatto con precisione e accuratezza storica, bensì accostare i fatti più salienti della vicenda alla sua interpretazione dei personaggi, Patrizia diventa affascinante ma perfida, Maurizio l’uomo perfetto nonostante sia infedele, Paolo repellente e grottesco (un irriconoscibile Jared Leto), Aldo e Rodolfo,  a metà tra due aristocratici d’altri tempi e i boss di una raffinata organizzazione criminale. Il bel paese si respira nelle location: la Valle d’Aosta, Roma, Milano, i protagonisti nella versione originale si sforzano di omaggiare la lingua con battute volutamente in italiano. Alla base della scrittura c’è il romanzo di Sara Gay Forden, The House of Gucci (2020). La colonna sonora ci propone una ventina di grandi successi. Passiamo da “La ragazza col maglione” (Pino Donaggio) e “Sono Bugiarda” (Caterina Caselli) per poi toccare anche “Ashes to Ahses” di David Bowie. Il film ha avuto una gestazione difficile, dal 2006 allo scorso anno, soffre delle limitazioni dovute alle difficoltà di girare nel 2020 ma mantiene la promessa di raccontare una pagina della storia della moda italiana e alimentare la leggenda dietro ad un cognome tanto blasonato quanto “maledetto”.

Francesca Tulli