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Thor: Ragnarok

Martedì 24 Ottobre 2017 11:45
Scordatevi della terra. In principio, dalle profonde viscere del sottosuolo, Thor figlio di Odino (Chris Hemsworth) si trova a dover fronteggiare Surtur, il demone del fuoco. La città di Asgard retta come un faro di speranza per i nove regni, vive le sue ore più liete e spensierate, sotto il pacifico e sconsiderato regno del fratellastro di Thor, Loki (Tom Hiddleston) il dio degli inganni, che con un sortilegio, aveva preso possesso del trono, fingendosi  il legittimo Re. Hela la dea della Morte (Cate Blanchett) rinvigorita e vendicativa, appellandosi ad un diritto inoppugnabile, reclama la città dorata, attraversa il Ponte dell’Arcobaleno, e prepara il suo sanguinario assedio. Questo è lo scenario in cui il giovane regista neozelandese Taika Waititi si muove, rimestando come fosse plastilina colorata, l’universo Marvel “Movieverse” finora conosciuto. Distrutto dalla critica, ben prima di fare il suo ingresso nelle sale, questo terzo film del franchise, si presenta lontano delle basse aspettative, create dal secondo capitolo Thor: The Dark World (2013) che aveva sofferto (a mio avviso) di un castrante taglio del girato, insabbiato negli anni. Prendendo spunto dal primo film di Kenneth Branagh, Thor (2011) allacciandosi agli ultimi film della continuity MCU, in particolare ad Avengers: Age Of Ultron (2015) è la sintesi di un intercorso di fumetti che va dalle assurde storie del ‘62, ad una chiara ispirazione al ciclo de “La Potente Thor” in stampa in questi ultimi due anni, passando obbligatoriamente per il Ragnarok cartaceo del 2004. I riferimenti di stile sembrano essere molti, ed espliciti rispetto a quanto fatto nei blockbuster degli ultimi dieci anni. Dichiara apertamente di essere un film fatto da appassionati, per gli appassionati. I colori predominanti nella scenografia sono infatti quelli usati da Jack Kirby e Walt Simonson, pennellate di blu e rosso sature di luci e flash psichedelici. I set reali ricordano le ride di un parco a tema e non soffrono l’inevitabile implementazione digitale. La colonna sonora solenne ma infusa di elettronica di Mark Mothersbaugh (un paladino dei Nerds) funziona e si arricchisce dove, come fosse una formula magica a comando viene ‘evocato’ il brando Immigrant Song dei Led Zeppelin (1970) che solo 8 anni dopo dalla creazione del fumetto portante avrà accompagnato la lettura di molti. La comicità sfacciata è tanta e consapevole, frutto anche di una collaborazione del cast che ha “improvvisato” a questo proposito il regista ha dichiarato: “Volevo nuove voci e un differente approccio alla storia, questo lavoro si fa con gli attori, con la riscrittura del copione sul momento.” Un azzardo costato la furia del pubblico esigente (Lo stesso che tante volte, osanna “I Guardiani Della Galassia” 2014 per l’ironia di fondo) che a gusto personale può essere più o meno apprezzato. Merita in questo processo una menzione speciale Jeff Goldblum nei panni del ‘Gran Maestro’. Gradito più da un pubblico di appassionati e da chi ha seguito i protagonisti fino a qui, porta verso un commovente e inaspettato epilogo, come si confà ad buon albo a fumetti.
 
Francesca Tulli