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Ritual - una storia psicomagica

Domenica 18 Maggio 2014 11:57

Opera d’esordio dei registi Giulia Brazzale e Luca Immesi, Ritual – Una storia psicomagica è un thriller psicologico liberamente tratto da La danza della realtà di Alejandro Jodorowsky. 

Più che un omaggio al grande drammaturgo-poeta-regista cileno, il film appare come un buon tentativo di portare sul grande schermo un tema controverso come la psicomagia, una terapia dell’inconscio ideata e perfezionata dallo stesso Jodorowsky. Ispiratagli dalle pratiche utilizzate da una guaritrice messicana, la psicomagia è considerata dal suo creatore una forma d’arte; secondo il suo pensiero, “la finalità dell’arte è curare, poiché se non cura non è vera arte”. Alla luce di ciò, il fatto che il grande maestro non solo abbia approvato la sceneggiatura di Ritual, prestandosi per un cameo, ma abbia inoltre definito il film come “terapeutico”, può giustamente rendere gli autori soddisfatti del proprio risultato.

In effetti, il film non presenta il pensiero jodorowskiano in forma intellettuale, ma lo incarna nella sua essenza: l’atmosfera onirica ma non surreale, la ricchezza simbolica, la vicenda stessa – che segue un filo narrativo ben preciso – cercano la loro via attraverso la mente dello spettatore eludendo le censure della parte cosciente e mirando all’inconscio, il luogo in cui è il simbolo stesso ad agire e a permettere il superamento dei traumi del passato. “Un atto possiede un carattere più decisivo di qualsiasi parola” è uno dei principi della psicomagia, nella quale il terapeuta prescrive al paziente un atto rituale, un’azione da compiere ben precisa, spesso paradossale ed assurda, a forte contenuto emozionale e simbolico, in grado di far giungere il messaggio alla sua parte irrazionale determinando una vera rottura con gli schemi disfunzionali che lo tengono prigioniero.
E sicuramente di schemi si tratta, protratti fino ad uno stadio avanzato di nevrosi, per la fragile protagonista,  Lia (Désirée Giorgetti), invischiata in una storia passionale in cui subisce la dominazione psicologica del compagno Viktor (Ivan Franek), di personalità borderline. Costretta da lui ad abortire, dapprima tenta il suicidio, poi finalmente decide di lasciare il compagno per fare ritorno al casale di origine nella campagna veneta, dove vive la zia Agata (Anna Bonasso), vedova del guaritore cileno Fernando (Alejandro Jodorowsky) e a sua volta guaritrice del villaggio grazie alle conoscenze di psicomagia apprese dal marito. Il viaggio nell’inconscio della protagonista si popola qui di figure simboliche che evocano in lei le emozioni dell’infanzia riportandola a quegli aspetti del folclore magico che le sono rimasti dentro: filastrocche, leggende, riti della tradizione – aspetti legati a momenti anche traumatici del passato e che ora si legano alle nuove ferite dell’anima aprendo la via alla guarigione.
Il fondamento narrativo del film risiede nell’opposizione polare tra i due mondi: la città degli interni asettici, della vita adulta e razionale, dei drammi interiori, della schiavitù nevrotica; la campagna carica del calore della natura, pervasa dalla magia infantile dei Salbanei ma anche dalla paura atavica personificata nell’Anguana (Patrizia Laquidara), che può finalmente essere affrontata.
E come in ogni contrapposizione lo scontro finale arriva, inevitabile, segnato dall’irruzione al casale di Viktor, il bambino non cresciuto che rifiuta i sogni e reagisce con la violenza dell’ego e della cieca razionalità al tentativo di Agata di compiere la liberazione psicomagica della nipote. Una chiusa che lascia forse spazio al dubbio riguardo a una forma terapeutica che, come Jodorowsky afferma parlando di sé, “non si situa nel terreno scientifico”; quantomeno, rimane aperto l’interrogativo sulla reale capacità dell’uomo moderno di abbandonarsi con fiducia all’azione di una pratica simbolica che trova la sua efficacia nel superamento di ogni logica, in quella “comune credenza nel magico – per citare i due giovani registi – che un tempo serviva a spiegare gli eterni problemi del vivere e di cui oggi, forse più che mai, sentiamo ancora il bisogno”.
 
Tiziano Mattei