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Toxic Jungle

Martedì 12 Luglio 2016 10:38
Miscelando vari generi, passando dal biopic immaginario al dramma argentino, Toxic Jungle del peruviano Gianfranco Quattrini è stato definito dal regista stesso una “storia di guarigione”. Alla morte del fratello Nicky, Diamond Santoro (Robertino Granados) si ritira dalla scena del Rock. Ora sulla via del tramonto con la vecchia compagna di Nicky, Pierina (Camila Perissè) che lo sprona a continuare a suonare, intraprende un viaggio per incontrare uno sciamano in grado di curarlo con la “buona medicina”, il rito con la Ayahuasca, la bevanda allucinogena in grado di liberarlo dal senso di inadempienza che lo opprime. Una  lunga traversata della giungla a bordo di un battello fatiscente, brutti affari con la mala locale, un ferito a bordo in cerca di una  clinica in mezzo al nulla, sono gli espedienti che portano il protagonista verso la tanto ambita meta.  Il regista, incontrato a Roma, ci ha delucidato sul perché raccontare la storia di due cantanti mai esistiti dicendoci che “voleva che i fratelli Santoro fossero una metafora e ogni persona, potesse relazionarsi con il protagonista, a prescindere da chi fosse.” Questo ha destato diverse perplessità sulla durata e lo scopo del film che sembra inizialmente essere un normale biopic, volto a farci conoscere la vita di due artisti, ma il vero obiettivo è un altro:  promuovere il rito della  Ayahuasca. Provato dal regista una decina di volte, a suo dire non si tratta di una droga, ma di un efficace metodo per liberarsi dal male, scherzando l’ha definita come “la riduzione di 8 anni di psicanalisi concentrati in un’unica volta.” E’ una miscela di piante, Ayahuasca significa letteralmente “anima della liana” è una mistura liquida che presa dopo una dieta di astensione da diverse abitudini (tra cui il sesso, e il mangiare carni specifiche) secondo un calendario rigido, garantisce l’espulsione di ogni male, molti la temono anche in Perù e in Argentina, altri fanno chilometri per provarla, partendo dal Canada. L’effetto iniziale consiste nel rivivere ogni brutta esperienza del passato, l’effetto benefico al termine è “espellere” tramite le funzioni corporee tutto questo male e sentirsi alleggeriti da ogni conto in sospeso con il passato. Lo sciamano che fa il rituale nel film è vero, giungendo ad un accordo di soli tre giorni di riprese, giurando che non ci sarebbe stata la pioggia (cosa che poi si è verificata), si è fatto riprendere mentre attua il rituale, scuote la bottiglia, canta e balla intorno al “paziente” e attua la purificazione. In italia questa usanza è poco conosciuta motivo per cui, il film è il frutto di una collaborazione italiana (Alba Produzioni s.r.l), argentina (Historias Cinematograficas) e peruviana (Planta Madre) ed è stato riconosciuto e sostenuto come film “d’interesse culturale” e sviluppato con il contributo di Istituto Luce Cinecittà. Al confine tra un documentario e un viaggio di redenzione offre molti spunti di approfondimento.
 
Francesca Tulli