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Lo chiamavano Jeeg Robot

Domenica 13 Dicembre 2015 00:51
Un film di Gabriele Mainetti con Claudio Santamaria, Luca Marinelli, Ilenia Pastorelli, Stefano Ambrogi, Maurizio Tesei. 
Dribuito da Lucky Red in sala dal 18 Febbraio.

David 2016: Tutti i Vincitori

Martedì 19 Aprile 2016 10:34
Si è svolta ieri, presso gli studi De Paolis in via Tiburtina a Roma, la cerimonia di premiazione della 60esima edizione dei David di Donatello, il premio indetto dall'Accademia del Cinema Italiano. 
A condurre la serata, andata in onda sui canali Sky e in chiaro su TV8, Alessandro Cattelan con interventi anche di Francesco Castelnuovo e Gianni Canova. A presentare i premi stelle del calibro di Paola Cortellesi, Dante Ferretti, Stefano Accorsi, Christian De Sica, Nicola Piovani, Anna Foglietta, Valeria Golino, Francesco Pannofino, Vittorio Storaro, Michele Placido, Toni Servillo.
A vincere il premio come miglior film Perfetti Sconosciuti, premiato anche per la miglior sceneggiatura. Miglior regista a Matteo Garrone per Il Racconto dei Racconti, che ha ottenuto anche altri sei riconoscimenti tecnici. La vera star della serata è stata però Lo Chiamavano Jeeg Robot, vincitore di sette premi (tra le 16 nomination che aveva ricevuto) tra cui miglior attore, migliore attrice, miglior attore non protagonista, miglior produttore e miglior regista esordiente entrambi a Gabriele Mainetti e di un premio collaterale, il Mercedes-Benz Future Awards. Grande delusione invece per Non Essere Cattivo, l'opera postuma di Claudio Caligari che si aggiudica, inspiegabilmente, solo il premio miglior fonico di presa diretta per il lavoro di Angelo Bonanni. Assegnati fuori dalla serata di gala i premi come miglior film straniero a Il Ponte delle Spie e miglior film europeo a Son of Saul. 
 
 
Di seguito l'elenco completo dei premiati 
 
Miglior Film: Perfetti Sconosciuti di Paolo Genovese
Miglior Sceneggiatura: Rolando Ravello, Paola Mammini, Filippo Bologna, Paolo Genovese, Paolo Costella per Perfetti Sconosciuti
Miglior Attore Protagonista: Claudio Santamaria per Lo Chiamavano Jeeg Robot
Miglior Attore Non Protagonista: Luca Marinelli per Lo Chiamavano Jeeg Robot
Miglior Attrice Protagonista: Ilenia Pastorelli per Lo Chiamavano Jeeg Robot
Miglior Attrice Non protagonista: Antonia Truppo per Lo Chiamavano Jeeg Robot
Miglior Regista Esordiente: Gabriele Mainetti per Lo Chiamavano Jeeg Robot
Miglior Produttore: Gabriele Mainetti per Lo Chiamavano Jeeg Robot
Miglior Cortometraggio: Alessandro Capitani per Bellissima
Miglior Montatore: Federico Conforti e Andrea Maguolo per Lo Chiamavano Jeeg Robot
Miglior Autore della Fotografia: Peter Suschitzky per Il Racconto dei Racconti 
Migliori Effetti Digitali : Makinarium per Il Racconto dei Racconti 
Miglior Fonico di Presa Diretta: Angelo Bonanni per Non Essere Cattivo 
Miglior Regista: Matteo Garrone per Il Racconto dei Racconti 
Miglior documentario di lungometraggio: S Is For Stanley di Alex Infascelli
Miglior Film dell'Unione Europea: Il Figlio di Saul di Laszlo Nemes
Miglior Film Straniero: Il Ponte delle Spie di Steven Spielberg
Miglior Costumista: Massimo Cantini Parrini per Il Racconto dei Racconti
Miglior Truccatore: Gino Tamagnini, Leonardo Cruciano, Valter Casotto, Luigi D'Andrea per Il Racconto dei Racconti
Miglior Musicista: David Lang per Youth
Miglior Canzone Originale: Simple Song #3 di Sumi Jo e David Lang per Youth
Miglior Acconciatore: Francesco Pegoretti per Il Racconto dei Racconti
Miglior Scenografo: Alessia Anfuso e Dimitri Capuani per Il Racconto dei Racconti
Premio David Giovani: La Corrispondenza di Giuseppe Tornatore
Mercedes Benz Future Award: Lo Chiamavano Jeeg Robot
 
Chiara Nucera
Produzione e regia si incontrano in un connubio di straordinario successo
 
Definito il programma della Masterclass to Producers, una tre giorni di alta formazione tesa a descrivere come generare rapporti virtuosi e di successo tra autore e produttore.
Con lo scopo di incoraggiare la partecipazione, AGPCI ha deciso di unificare la quota per tutti i partecipanti per un ammontare di € 280.
Qualora il partecipante coinvolge l’amico/collega, AGPCI offre l’opportunità di far partecipare entrambi al costo di € 250.
 
 
MARTEDI 24 MAGGIO 2016
 
09.30 - 10.30
L’IDEA. DALLA COMPLESSITA’ ALLA SINTESI
di Franca De Angelis - WGI
In un pitch ciò che deve arrivare all’interlocutore è l’idea che costituisce il cuore del progetto. L’idea non è uno slogan, una formula standard o un effetto speciale. L’idea non si trova altrove, nasce dentro: è quel particolare seme concettuale affidato allo scrittore del soggetto e della sceneggiatura che comprende al suo interno tutto il successivo sviluppo del progetto e il luogo di innesto per l’ulteriore contributo creativo di moltissime figure professionali che lo realizzeranno e l’arricchiranno. Il seme di un oleandro, non è quello di un girasole: anche se appaiono molto simili sono diversi e contengono futuri diversi. Così l’idea di un film non è quella di un corto e quella di una serie tv non è quella di un documentario. L’idea deve essere specifica e unica come la spirale ellittica del DNA, che tutto contiene e da tutto è diversa.
 
10.30 - 12.00
LA NARRAZIONE DIVENTA PREVIEW
di Gabriele Mainetti, Nicola Guaglianone
Un caso di scuola, il successo di quest’anno: Lo chiamavano Jeeg Robot. Come si presenta un progetto che è stato concepito con un mood innovativo? Con quali strumenti si riesce a comunicare all’interlocutore l’identità del prodotto finito? Quando e quanto utilizzare la cast list per solleticare l’immaginario e come far procedere la trama per far percepire il coinvolgimento emotivo del pubblico? Va lasciato in sospeso il finale?
 
12.00 - 12.30                                                                                              
BREAK
 
12.30 - 13.30
IL MOOD BOARD E LA GRAFICA COME MAPPA PER VEDERE LA DIREZIONE DEL FILM
di Daniele Moretti
Arricchire d’immagini la presentazione di un progetto è di fondamentale importanza, perché permette all’interlocutore di entrare nel progetto visivo e al team creativo di dimostrare il proprio livello di avanzamento e di controllo dell’idea. Foto o disegni di costumi, ambienti, arredamenti sono la base per costruire il mood board del film. Altrettanta cura va messa nella trasformazione del titolo in uno specifico logo del prodotto che lo collochi immediatamente in un genere o in un mercato di riferimento.                                                                                                                                           
13.00 - 14.30                                                                                              
BREAK
 
14.30 - 16.00
IL GENERE CINEMATOGRAFICO, UNA POTENTE ARMA PER CONQUISTARE I MERCATI INTERNAZIONALI
di Matteo Garrone
Scegliere di scrivere un progetto di genere significa non solo poter spaziare tra numerose tipologie collaudate, ma anche individuare con precisione un target di pubblico oltre che l’identità dei competitor, i modelli  di riferimento e le vie privilegiate di accesso a mercati e festival. E’ noto che il genere apre al prodotto le porte del mondo internazionale.
                                                                                                                         
16.00 - 16.30                                                                                              
BREAK
                                                                                                                         
16.30 - 18.00
EFFETTI VISIVI E STORY BORD: UNO STRUMENTO A FAVORE DELLA STORIA E DELLA PRODUZIONE
di Giuseppe Squillaci
Il pericolo più grande per la circolazione delle idee e dei progetti è l’autocensura. Molte storie si bloccano solo perché prevedono scene visivamente complesse e apparentemente costose. Ma sono timori sorpassati. Se si conoscono i segreti delle nuove tecnologie, che consentono ormai di mettere in scena l’impossibile, si può pensare di sviluppare la narrazione senza restrizioni dovute al budget e alla fattibilità.
 
MERCOLEDI 25 MAGGIO 2016
 
09.30 - 10.30
SCRIVERE IL DOSSIER DEL FILM: CONTENUTI EDITORIALI
di Massimo Galimberti
L’idea è il seme e contiene il tutto, l’abbiamo detto. Ma di quel tutto bisogna saper definire e mettere in luce i “selling points” in modo che risultino appetibili al primo colpo d’occhio. E’ di tutta evidenza, ma di non facilissima applicazione, che gli interlocutori sono diversi e bisogna saper cambiare la forma e i contenuti da mettere in risalto: c’è differenza nel presentare un progetto ai mercati o ai Festival o ai bandi per accedere ai Fondi Pubblici.
 
10.30 - 12.00
DIRECTOR’S STATEMENT
di Matteo Rovere
Il rapporto lavorativo e artistico tra produttore e regista è fondamentale. Bisogna procedere in una direzione comune, anche nella relazione con i finanziatori, per condividere con chiarezza una serie di elementi decisivi che partono dalla tipologia di film, con esempi concreti e presenti nel mercato italiano e internazionale, passando per l'intento narrativo, la visione estetica, l'impostazione delle riprese, fino al cast tecnico. I prodotti più riusciti vedono spesso una chiara condivisione tra regia, produzione e parte finanziaria.      
                                                                                                                
12.00 - 12.30
BREAK
 
12.30 - 13.30
SHORT CAST WISH LIST, PENSARE AD UN VOLTO ACCANTO AL RACCONTO
di Beatrice Kruger
Essere in grado di offrire oltre che l’idea o sceneggiatura anche la visione sulla scelta degli attori che si vorrebbero coinvolgere, se pur ipoteticamente, permette all’interlocutore che sta esaminando il progetto di comprendere più profondamente la visione del team creativo e il proprio approccio artistico.        
                                                                                                                
13.30 - 15.00                                                                                              
BREAK
 
15.00 - 16.00
VEDERE IL FILM PRIMA DI GIRARLO
di Sara Manini
Sempre più spesso, soprattutto nei mercati internazionali, si realizzano – a supporto della presentazione orale – dei pitch trailer o teaser. Si tratta di piccoli spot video, che assemblano e utilizzano, con un diverso montaggio, scene di altri film già prodotti, che possono evocare per assonanza tematica o visiva il prodotto nuovo che si intende realizzare. Sono presentazioni che non richiedono in generale un apposito girato. Talvolta però si opta anche per quello.
                                                                                                                
16.00 - 16.30                                                                                              
BREAK
 
16.30 - 18.00
COME LEGGERE UNA SCENEGGIATURA
di Fosca Gallesio
La sceneggiatura è un testo tecnico e come tale risulta – al primo impatto – un elemento chiuso e non aperto come un’opera letteraria. La sceneggiatura non è al servizio del lettore, non divaga per fare piacere: impone atmosfere, descrive ambienti e scenografie, programma gli elementi per la messa in scena, descrive i movimenti dei personaggi e stabilisce le parole che gli attori dovranno pronunciare. La sceneggiatura, più è tecnicamente ben fatta, più prelude a un film complesso e affascinante e più corre rischi evidenti di incomprensione o addirittura di rigetto. Chi deve leggere per lavoro una sceneggiatura deve impararne il linguaggio: è il primo passo per un’evoluzione del mercato delle idee anche in Italia.
                                                                                                                
GIOVEDI 26 MAGGIO 2016
 
09.30 - 10.30
LA DITTATURA DEL FORMATO
di Massimo Gaudioso
Il tempo è una delle variabili più importanti di una narrazione filmica e dunque anche di un pitch. Un lungometraggio, un corto, una serie tv o una webseries richiedono tipologie di narrazione diverse, riprese diverse, toni diversi, mercati e pubblici diversi. E relativi differenti pitch. Ogni formato tende a privilegiare alcune funzioni interne del prodotto a discapito di altre. Dove conta di più la scrittura e dove la struttura, dove l'ambientazione e in che modo l'attore? Come confezionare un microprodotto dai 50" ai 3'? Quali differenti competenze mi vengono richieste?
                                                                                             
10.30 - 12.00
INVIO DEI MATERIALI E IL RECALL
di Marina Marzotto
Quali sono le modalità più consone e professionali per dare seguito ad un pitch?  Come bisogna relazionarsi per avere un feedback? Se abbiamo fatto tutto bene dovremmo poter avere ancora materiale da fornire e un gancio per una prossima conversazione. I materiali sono preziosi e non vanno dati a chiunque e non prima di un incontro.  
                                                                                                                
12.00 - 12.30                                                                                              
BREAK
 
12.30 - 13.30
TECNICHE DI COMUNICAZIONE: SAPER COME E QUANDO COMUNICARE
di Cristiana Caimmi
Quando serve un’uscita stampa? In fase di preparazione o girato cosa si deve richiedere o preparare? Come attivare una strategia di comunicazione che viaggi insieme alla realizzazione del film?
                                                                                                                
13.30 - 14.30                                                                                              
BREAK
 
14.30 - 17.30
PITCH IN PLENARIA – LABORATORIO
di Lino Damiani
Presentazione del proprio progetto e coaching sulle tecniche di comunicazione e pitch.        
 
 
Tutti gli accreditati infatti avranno l’opportunità di presentare i loro progetti nel MARKET PITCH AGPCI, incontri one to one con i Produttori AGPCI e avranno un accesso riservato al VIP CORNER AGPCI durante la prossima festa di Fabrique du Cinéma, un privee esclusivo riservato ad Accreditati e Produttori AGPCI.
 
Per ogni altra informazione, potete far riferimento ai seguenti contatti:
- Tel. 06/88473362
- Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.
 
La Masterclass to Producers si terrà dal 24 al 26 maggio, presso la sede LUISS Business School | School of Management - Viale Pola, 12 - 00198 Roma.
 
La MASTERCLASS TO PRODUCER è patrocinata dalla DIREZIONE GENERALE CINEMA del MIBACT, dall’AGIS - Associazione Generale Italiana dello Spettacolo e dalla LARA - Associazione Agenti di Artisti, organizzata da AGPCI in collaborazione con WGI-Writers Guild Italia, in partnership con LUISS Business School – School of Management e in media partnership con Fabrique du Cinéma.

Lo chiamavano Jeeg Robot

Giovedì 25 Febbraio 2016 15:55
Dopo essere sfuggito ad un inseguimento, Enzo Ceccotti (Claudio Santamaria) finisce nelle acque del Tevere e ingerisce una sostanza radioattiva che gli donerà dei superpoteri. Enzo accoglie questo dono come una benedizione per la sua carriera da delinquente ma tutto cambierà nell'incontro con Alessia (Ilenia Pastorelli) che in lui vedrà il mitico Hiroshi Shiba, l'eroe dei cartoni animati giapponesi Jeeg Robot d'acciaio. 
Questa in breve è  la storia di Lo chiamavano Jeeg Robot, il film che dopo 6 anni di ricerca budget e lavorazione, ha visto la luce per mano di Gabriele Mainetti e della sua Goon Films.
Quella dei cartoni animati e dei supereroi si può dire sia da sempre una fissa di Mainetti che già aveva affrontato le tematiche in opere precedenti e che negli anni passati si era fatto conoscere sia come attore che per i corti,  tra cui spicca “Tiger Boy” (2012) Nastro d'argento 2013.  Questo è il primo lungo del regista romano, che gli è valso il contributo ministeriale per l'Opera Prima. 
Un lavoro che sembra riuscitissimo nell'assicurare tutti i cliché più accattivanti del momento in un mix del tutto originale: la moda degli anni Ottanta, i supereroi, il glam riportato alla ribalta dei media dalla morte recentissima (nemmeno a farlo apposta) di uno dei re indiscussi David Bowie, ispiratore tra l'altro del personaggio dello Zingaro (Luca Marinelli), malvivente atipico con velleità artistiche. In uno scenario metropolitano, con derive alla Rocky Horror, si sviluppa una vicenda di droga e mala, dove abbondano le lotte tra camorra e criminalità di borgata, per una Tor Bella Monaca apocalittica, in un western postmoderno dove buoni e cattivi si mischiano senza terra di confine. Ognuno ha in sé una duplice natura: ogni personaggio spinto dalla voglia di arrivare o solo dal desiderio di sopravvivenza, dall'essere famosi o sparire tra le crepe di una stanza, dalla brama di una meta ambita sbiadita o patinata, stridente in forti contrasti antitetici. Nessuna lacuna in questo film perfettamente ordinato nella sua lucida follia, dalla valida sceneggiatura di Nicola Guaglianone e Menotti. Era da tempo immemore che il cinema italiano non partoriva un prodotto così ben fatto, una vera boccata d'aria per un settore che stava emettendo gli ultimi rantoli, da cui Mainetti è riuscito ad emergere creando il suo giovane Frankenstein.  
Si libera così, in un colpo solo, di tutto il vecchiume di un'arte rimasta tale ormai nel ricordo,  giogo della spocchia a colpi di machete di chi ci ha fatto due palle, trovando unica giustificazione alla banalità il nascondersi dietro l'appellativo di “autore”. Questo invece non è un film d'autore, non lo vuole essere o forse sotto sotto sì, ma in fondo chi se ne frega perché qualsiasi sia l'intento, che comunque sembra dalle dichiarazioni del regista abbastanza giocoso, è il risultato che conta. 
Oltre che sulla destrezza di Mainetti, va spezzata certamente una lancia a favore degli interpreti, tutti azzeccati e abili, anche nei ruoli minori. Marinelli ha messo a segno negli ultimi mesi due film meravigliosi, con il precedente “Non Essere Cattivo”, opera postuma di Claudio Caligari, due sole interpretazioni che bastano a far pensare che sia nato un nuovo mostro. Due ruoli molto distanti ma al contempo simili tra loro, dichiarando di  essersi ispirato per lo Zingaro ad Hannibal Lecter, del resto si parla sempre di mostro che emerge, qui “sparato a cannone” come le sue canzoni con tutti gli sgargianti toni del glam pop, cimentandosi oltre che in una strepitosa interpretazione di Un'emozione da poco, rifatta sull'impronta di una sedicenne Anna Oxa (a Sanremo 78' dove riviveva uno Ziggy Stardust nostrano), con Nada, la Bertè e la Nannini. Anche Santamaria ritrova la sua forma smagliante, proponendosi come uno degli ultimi relegato ai margini, un depresso cronico solo e asociale che si ciba di budini e film porno e che, nonostante i 20 chili in più, da orso buono nichilista e ladruncolo di periferia subirà un'evoluzione personale. Si potrebbe continuare ancora per molto con tutti gli spunti di valutazione che offre un simile lavoro, ma è meglio non indugiare oltre rimandando alla visione al cinema, azzittendoci sui titoli di testa. In questo caso, l'unica cosa sensata da fare. 
 
 
Chiara Nucera

Freaks Out

Giovedì 28 Ottobre 2021 21:43
“È un mondo psicotico, quello in cui viviamo. I pazzi sono al potere.” Lo scriveva Philp K. Dick nel 1962, quando non immaginava che nel futuro qualche decade più avanti uno “scellerato” regista italiano, Gabriele Mainetti, assieme al suo storico amico e sceneggiatore Nicola Guaglianone, avrebbero preso alla lettera le sue parole, scrivendo una romana versione de 
“La svastica sul Sole” (seppur non dichiaratamente) dove i protagonisti sono quattro “X-Men” nostrani. Al contrario dei Mutanti protagonisti dei fumetti Marvel, però questi “sfigati” fenomeni da baraccone, sono ben lungi dall’essere l’archetipo degli eroi. Il Circo Mezzapiotta, intrattiene un pubblico di grandi e piccini, proponendo delle singolari attrazioni: Cencio l’albino (Pietro Castellitto) comanda gli insetti (tranne le api che per motivazioni personali “non gli stanno simpatiche”), Mario il clown (Giancarlo Martini) controlla i metalli (si potrebbe definire ironicamente l’anello mancante nel processo involutivo tra Magneto e il Ragionier Fantozzi) e Fulvio il forzuto (Claudio Santamaria), un uomo scimmia polemico e attaccato al “danaro”. La luce del gruppo è la giovane Matilde (Aurora Giovinazzo) una sperduta “Dorothy” (come viene definita nel film stesso) troppo lontana da Oz e dalla sua casa nel Kansas, controlla l’elettricità, creando intorno a sé un vortice di polvere di fata, fatto di lampadine rotte e polvere. La compagnia si scioglie metaforicamente sotto le bombe dei Nazisti, quando il capo e figura paterna per i protagonisti, l’ebreo Israel (Giorgio Tirabassi), esce dall’anonimato per cercare fortuna in America, lasciando il gruppo con la prospettiva di tornare ma venendo poi catturato e deportato. La ragazza, così, prosegue il suo viaggio da sola convinta di essere stata abbandonata e finisce per unirsi alla sacca di resistenza Partigiana del Gobbo (Max Mazzotta), in mezzo ai boschi – i richiami ai “Bastardi senza Gloria” di Tarantino, qui si sprecano -.
Gli altri tre proseguono alla ricerca di un nuovo ingaggio, trovandolo nel grottesco circo gestito da Herr Franz (Franz Rogowski), un esaltato freak nato con sei dita, coperto dal fratello gerarca che nell’ombra escogita piani segreti e malvagi. Tra i fumi delle allucinazioni prodotte dall’etere Franz ha delle visioni del futuro e come nel sopracitato libro di Dick vede i filmati della disfatta nazifascista attraverso una tecnologia ancora da scoprire. Si convince che i freaks siano la chiave per evitarla e si mette alla ricerca di uomini speciali che possano servire la sua causa, uomini che, senza saperlo, stanno camminando nella sua stessa direzione, finendo proprio nella tana del lupo. 
Il film, di produzione Italo-belga, vanta un comparto di effetti visivi notevole. I costumi e gli scenari evocano le giuste atmosfere circensi, complice il patrimonio artistico di Roma, quello naturale di Viterbo e dell’Aspromonte. Nell’esagerazione generale emergono i difetti legati alla stesura della sceneggiatura (il romanesco può stancare e spinto all’inverosimile scadere nel ridicolo) e l’esasperazione di alcune prove attoriali. L’ottima introduzione, così come la coerenza del finale, vengono smorzate purtroppo nella parte centrale dalla lunghezza eccessiva del film (140 minuti complessivi). Presentato alla 78esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, è una proposta nuova ma sicuramente meno rivoluzionaria, nonostante l’immane lavoro, di “Lo chiamavano Jeeg Robot” (2015) ma altrettanto citazionista e curiosa, a fronte di un budget enorme per l’Italia, si parla infatti di 12 milioni di euro ufficiali che diventerebbero quasi il triplo secondo fonti non ufficiali.
 
Francesca Tulli