Rimane saldamente ancorato al suo cinema delicato e politicamente corretto, Tom Hooper (Les Miserables – 2012), e per l’ennesima volta non sbaglia. The Danish Girl colpisce al cuore parlando di amore universale e di come si possa trovare se stessi in fondo alla propria anima.
La pellicola tratta la storia di una coppia danese di inizio novecento, entrambe affermati pittori e dediti alle belli arti. Gerda Wegener (Alicia Vikander, Ex Machina - 2015) ed il marito Einar Wegener (Eddie Redmayne, fresco di premio Oscar come Miglior Attore protagonista per La Teoria del tutto – 2014) vivono in una Copenhagen patinata e per bene. La loro relazione è salda ed affiatata, ma quando per pura casualità la sposa chiede al marito di posare per un suo dipinto che ritrae una ballerina, in Einar scatta qualcosa di anomalo. Un desiderio che è presente nella sua mente fin dall’infanzia. Una voglia irrefrenabile di uscire dalla sua mascolinità per entrare in quel universo femminile tanto agognato. Tormento interiore che ha trovato l’uscita dal labirinto grazie alla bellezza dell’arte.
The Danish Girl è liberamente tratto dal libro omonimo di David Ebershoff pubblicato nel 2000, che racconta la vita della prima transgender della storia attraverso i suoi diari segreti. La trasformazione da uomo a donna di un artista affermato, che ad un certo punto della sua vita ha deciso di diventare Lili Elbe.
Il regista Tom Hooper, premio Oscar per Il Discorso del Re (2010), a livello umanistico punta sull’amore e meno sulle forti problematiche legate all’integrazione nella società dell’epoca. Dirige con intimismo due personaggi uniti dalla passione per la vita e per se stessi, che vivono l’amore all’unisono. La sua tecnica di regia è ineccepibile. Inquadrature artistiche che sembrano quadri parlanti. Uso degli spazi e delle profondità che mettono in risalto ed aiutano la narrazione a fluire con dinamicità, portandoci nelle stanze e nei salotti aristocratici, mai appesantendoci. Merito è dovuto anche alla fedele ricostruzione storica ed alla sua compattezza. Menzione d’obbligo è per l’uso della fotografia (Danny Cohen, cinematographer dei due precedenti film del regista). Le geometrie sono esaltate dall’uso perfetto delle luci.
Uscendo dai tecnicismi, che erano d’obbligo menzionare, parliamo dei meriti di un film che osa nell’interpretazione dell’amore ed un po’ meno sul dolore e sulle frustrazioni, che un argomento del genere implica. Per capirci, il disagio interno ed il dualismo faticoso da accettare tra la materialità del corpo ed il proprio essere immateriale. E’ l’unica mancanza in The Danish Girl, dove della critica pungente potrebbe trovare dei difetti, imputandogli una visione classica e corretta da film acchiappa Oscar. La drammaturgia si avvale di due interpretazioni sopra la norma: Eddie Redmayne prenota la Coppa Volpi al Festival di Venezia edizione 72 come migliore attore, o magari attrice? Sembra veramente il caso di dubitare sulla categoria, perché la sua Lili emerge in superficie. E’ una donna che si rivela e scopre la sua femminilità. Si realizza con lo spazio creato dall’arte. Identità forte e coraggiosa come lo è nella realtà una transgender. Non vi è il minimo dubbio che si innamori di se stessa, pronta per vivere una vita autentica. Corroborata dal partner, una Alicia Vikander in stato di grazia. Da lei traspare la sofferenza, ma anche la tenacia nel supportare il suo unico vero amore. Un affetto senza distinzione di sesso, oltre le barriere fisiche, reso imprescindibile dall’amore per la bellezza intrinseca nei sui quadri. L’espressione massima di se espressa su tela aiuta Lili a sbocciare. Il potere curativo dell’arte, non è corretto dire che ci può solo salvare, indubbiamente porta in trionfo l’anima rimasta per troppo tempo legata alle convenzioni e falsi moralismi.
Assolutamente da non perdere The Danish Girl, in Italia uscirà nel mese di Febbraio 2016, al quale nel finale gli abboniamo qualche manierismo di troppo, che scaturisce in momenti di commozione. Sinceramente, se valutiamo il messaggio unico della pellicola, non dovremmo piangere, ma alzare gli occhi al cielo facendo esplodere la gioia.
David Siena