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Visualizza articoli per tag: drammatico

Fremont

Giovedì 27 Giugno 2024 15:16
Donya è sola in nuovo Stato, quell’America che le ha concesso il visto per espatriare dall’Afghanistan grazie al suo lavoro di traduttrice prestato presso le sue basi militari.  "Fremont" è il nome della località che ospita la comunità afghana più nutrita in territorio californiano. Conosciuta anche con il nome di “Little Kabul” è un microcosmo chiuso che poco si integra con il resto del Paese. Donya invece esce da quell’angolo di mondo per recarsi tutti giorni al lavoro. Fa l’operaia presso un’azienda cinese che produce e confeziona i celeberrimi biscotti della fortuna. Lega molto con una collega e cerca una soluzione ad un problema di insonnia che sta diventando sempre più serio e cronico prendendo il posto di un vicino con un appuntamento già fissato da uno psicoterapeuta. "Fremont" è un film che già dall’uso sapiente del bianco e nero ci trasporta in un’altra dimensione. Lo fa con estremo garbo e delicatezza e ci impone più di una riflessione.  Piano piano conosciamo questa giovane donna così fragile ma nel contempo forte come l’acciaio determinata a costruire una personale felicità senza necessariamente correre dietro ad una generica forma condivisa. Si muove fra due mondi. Quello della comunità afghana che la guarda con sospetto per il suo lavoro prestato per l’esercito americano e la conseguente fuga dopo l’arrivo dei talebani ad occupare ancora la sua terra e quello della fabbrica. Proprio grazie alla sua nuova occupazione ha un’occasione per dare una svolta al suo destino che sembra già segnato in modo indelebile, compresso tra una vita solitaria e i turni lavorativi ripetitivi e monotoni. La possibilità che giunge inaspettata di diventare scrittrice di quei biglietti della fortuna che sono contenuti all’interno dei biscotti sarà il bivio che farà prendere alla sua vita una piega diversa ma decisamente migliore di quello che si prefigurava.
 Gli interpreti sono bravissimi a lavorare in sottrazione, a muoversi solo quanto basta, a calibrare ogni gesto e a parlare soprattutto attraverso gesti e sguardi. A farci capire cosa sta per succedere attraverso quello che osservano ma prevalentemente per come e quanto lo osservano. La regia è attenta a catturare attraverso primi piani intensi ogni minima espressione. Una costruzione perfetta di azioni e reazioni che ci conducono con i giusti tempi verso un nuovo inaspettato snodo narrativo per un finale aperto che racchiude in sè tutta la dolcezza della speranza.
 
Virna Castiglioni

The Bikeriders

Mercoledì 19 Giugno 2024 07:37
Il racconto scaturisce dalla viva voce di una delle protagoniste e ci trasporta all'interno di una banda di motociclisti. Il regista, assurgendo un punto di vista privilegiato come la groupie che segue la rockstar di riferimento e sa ogni più recondito segreto dell'artista, attraverso le parole di Kathy, facciamo la conoscenza di un gruppo affiatato di giovani nell’America degli anni 60. Hanno tutti il culto delle due ruote e hanno voglia di vivere ad alta velocità inseguendo la libertà che può dare la corsa in sella con il vento tra i capelli. Indossano tutti un giubbotto di pelle come scudo di protezione ad indicare la famiglia a cui appartengono e alla quale si giura fedeltà eterna.
 Cinema “on the road” dall’impianto classicheggiante il film si fregia di un cast di alto livello che ci coinvolge nelle scorribande, ci mostra il lato intimo dei vari componenti e ci racconta l’ascesa e il declino fino al disfacimento di chi aveva creduto al motto di "tutti per uno e uno per tutti" ma che soprattutto credeva che l’affiliazione potesse durare per sempre.
 Tratto dall’omonimo libro reportage fotografico di Danny Lyon, il film è una lunga intervista alla moglie (Kathy) del componente più carismatico della banda (Benny). Lyon ha esplorato in prima persona le storie e i personaggi del Chicago Outlaws Motorcycle Club, un gruppo di motociclisti dediti ad azioni criminose di cui lo stesso Lyon fece parte dal 1963 al '67, esercitando la figura di fotografo reporter con ampi spazi di manovra essendo stato per un periodo anche un membro effettivo. Nella finzione il gruppo di motocicli porta il nome di fantasia Vandals cucito sulle giacche di pelle e sui giacchini di jeans che sono la loro seconda pelle ed esplora le dinamiche che si instaurano tra i componenti. Il film insiste soprattutto su un triangolo (di un amore diverso da quello carnale) che coinvolge il leader fondatore del gruppo (Johnny) e il suo giovane adepto più carismatico (Benny) e la moglie di quest’ultimo (Kathy). Quando dalla passione per le due ruote si passa alla violenza fino a commettere omicidi ci sarà un bivio e una scelta che metterà in crisi l’amicizia ma spezzerà anche il sogno nel quale ci si era buttati a capofitto agli albori della storia. Metafora dell’America di quegli anni piena di contraddizioni ma dal fascino irresistibile come la vita di gruppo con i motori rappresenta per tutti i giovani del mondo alle prese con i sogni e le speranze di vivere una vita piena e memorabile.
 L’efficace fotografia di Adam Stone accompagna le imprese e le gesta di questo gruppo di bikers e le confessioni della donna in un’altalena di flash-back ben assemblati che non appesantiscono la narrazione riuscendo a mantenerla fluida e ricostruiscono fedelmente uno spaccato di vita in cui molti nostalgici si rispecchieranno. Un film che si immette nel solco lasciato da altre pietre miliari della cinematografia di genere da “Easy Rider” a “Il selvaggio” tornando a parlare di anni americani turbolenti e di un fenomeno che ha connotato gli anni Sessanta e lasciato uno strascico per le generazioni successive.  Un film che ha una sottotraccia nostalgico- malinconica come tutte le storie che si sono ammantate di miti e leggende e sono pervenute a noi per rimanere glorie epiche.
 Uno dei punti di forza del film è decisamente quello di aver scelto come narratrice principale una donna che ha nel bene e nel male deciso le sorti del gruppo per la sua influenza esercitata nei confronti di uno dei componenti più importanti della banda.
 Un plauso, infine, va indirizzato al reparto di costumi e acconciature del film per la meticolosa ricostruzione dell’epoca di ambientazione. Vedendo come sono vestiti e pettinati i personaggi siamo catapultati indietro nel tempo e ci sembra di rivivere quei meravigliosi anni densi di creatività e di follia contraddistinti dalla voglia di cambiare il mondo trasformandolo anche dal punto di vista estetico.
 
Virna Castiglioni