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Animali fantastici e dove trovarli

Giovedì 17 Novembre 2016 14:24
Svampito e  anticonvenzionale anche per il mondo magico, Newt Scamander (il premio oscar Eddie Redmayne) è un “magizoologo” esperto di creature fantastiche. Vuole scrivere un saggio“Animali Fantastici e Dove trovarli” che sarà nel futuro un libro di testo per la scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts dove studierà il famoso Harry Potter.  J.K. Rowling la celebre scrittrice che con i suoi otto romanzi ha incantato due generazioni (dal 1997) firma una sceneggiatura del tutto inedita, per un progetto che farà da base ad una serie di 5 film. Approdato a New York nel 1926 Scamander, porta con sé una strana valigetta di pelle, all’interno le sue creature bussano, scalciano, fanno versi, smaniano dalla voglia di uscire. Lo Snaso, una sorta di morbido ornitorinco cicciotto, attratto come le gazze da tutto ciò che luccica riesce nella fuga e trascina dietro di sé una serie di mirabolanti conseguenze. Scamander attira l’attenzione del M.A.C.U.S.A. (il Magico Congresso  degli Stati Uniti D’America) e finisce sotto accusa, Tina (Katherine Waterston)  ex Auror (gli incaricati contro le Arti Oscure) vede nel seguire il caso una nuova occasione per riscattarsi e tornare nell’ordine. Intanto Percival Graves (Colin Farrell) spietato investigatore del mondo magico, trama nell’ombra per evitare una guerra tra umani e Babbani, ignari che esista la magia ma sempre più consapevoli che  possa esistere una qualche forza soprannaturale e maligna. Quello che manca alla pellicola diretta da David Yates, regista degli ultimi quattro film di Harry Potter, è la novità. Tutto sembra attingere dal calderone delle idee passate, il senso di déjà vu potrebbe essere voluto perché il mondo della Rowling si deve distinguere da quello degli altri film di genere. L’incredibile e appassionante varietà di creature, realizzate grazie all’aiuto della CGi mischia la giusta dose di tenerezza ad una sottotrama più cupa e, come sempre è accaduto nella saga, più matura e adulta. Al centro il tema della diversità, le inclinazioni non rispettare, le passioni represse e le attitudini castrate che generano mostri. Deliziosamente british, ricrea le atmosfere fumose degli anni ‘20, costumi e scenografie da teatro rendono qualsiasi  elemento di fantasia assolutamente credibile e fruibile per chi conosce bene questo mondo e chi invece ci si affaccia per la prima volta. 
 
Francesca Tulli

L'Inganno

Sabato 27 Maggio 2017 20:26
Un’innocente bambina passeggia nei boschi con il suo cestino in cerca di funghi freschi. Improvvisamente si imbatte in un uomo ferito. Siamo in piena Guerra di Secessione americana ed il soldato in cerca di cure è il caporale John McBurney (Colin Farrell, a Cannes anche con The Killing of a Sacred Deer di Yorgos Lanthimos). L’uomo trova così ristoro in una sontuosa tenuta sudista, dove un’insegnate di nome Martha (Nicole Kidman, lei è presente con ben 4 film in questa edizione del Festival) gestisce un’esclusiva scuola per il gentil sesso. Il gruppo di donne è variegato, ci sono adulte e giovincelle. Insieme offrono una calorosa assistenza al soldato nordista, in attesa della sua completa guarigione e della consegna all’esercito. Ma le attenzioni femminili alla lunga diventano pericolose. Sorgono rivalità inaspettate per accaparrarsi l’affascinate preda. Il desiderio sessuale sale con il passare dei giorni e il frutto proibito è proprio lì davanti, pronto per essere colto. Le situazioni si complicano e la tensione schizza alle stelle verso un finale torbido e dalle decise tinte horror.  
 
Il nuovo lavoro di Sofia Coppola, in concorso a Cannes 70, è il remake de “La notte brava del soldato Jonathan” del 1971, di Don Siegel con Clint Eastwood. La regista figlia d’arte ne cura anche la sceneggiatura, liberamente ispirata al romanzo A Painted Devil di Thomas P. Cullinan. 
La vera mattatrice di The Beguiled è la regia, premiata con la prestigiosa Palma dalla giuria del Festival. Conduzione artistica con pregi e difetti. Piace per il suo formalismo e per i suoi primi piani compiaciuti. E’ una regia tanto complice quanto soddisfatta. Sofia Coppola, nella costante del suo mondo femminile, cambia gradualmente genere, da film di guerra sentimentale si passa all’horror gotico, sublimando in una sentita suspense. Orgogliosamente mostra le sue protagoniste in un’emblematica inquadratura finale (sembrano in vetrina per sfoggiare il loro abito migliore). Femminismo massimizzato, del quale però non manca di mettere in risalto le contraddizioni: tanto caste quanto impure, donne misericordiose e devote al Signore, ma allo stesso tempo vampire pronte a castrare il maschio.
La regista americana mantiene una facciata morale impeccabile, dietro alla quale vige una repressione sessuale malata. Desiderio troppo a lungo messo a tacere. Le intenzioni covano nella psiche e si tramutano in pura violenza. 
 
In questa perdita corale dell’innocenza, il punto direzionale sfavorevole fa capolino nel momento in cui la regista smette di ammiccare e di essere ambigua. Fin quando rimangono sirene ammagliatrici (prima parte), uno speziato interesse nasce nello spettatore, al contrario quando le troppe parole riempiono lo schermo (seconda parte), il coinvolgimento diminuisce e lo scontato prende il sopravvento. Ed è il motivo per il quale The Beguiled vale tre stelle, rafforzato anche da un finale un po’ sbrigativo.
 
Il film è arricchito da una meravigliosa fotografia crepuscolare che esalta la messa in scena, anch’essa studiata nel minino dettaglio, che aiuta e celebra i personaggi nel proprio contesto narrativo. Parterre de Roi composto, oltre ai sopracitati Farrell e Kidman, da Elle Fanning (lo scorso anno qui con The Neon Demon di Refn) e Kirsten Dunst (vincitrice come miglior attrice nel 2011 con Melancholia). Complessivamente ben amalgamato ed in grado di dare quel quid in più alla pellicola nel momento in cui le situazioni avvengono troppo in superficie.
 
Anche se con delle sbavature, The Beguiled ci restituisce lo sguardo di Sofia, dopo i discutibili The Bling Ring e Somewhere. Nelle sue donne, nel bene o nel male, troviamo qualcosa di contemporaneo, descritto con profondità. Donne che celano le loro intenzioni e che la fanno in barba al malcapitato uomo di turno.
 
David Siena
 
 
 
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Soltanto un occhio penetrante è in grado di dipingere un quadro dettagliato e suggestivo. Perdersi nell'osservazione di esso può coincidere con l'immedesimazione più aderente.
The beguiled - L’inganno, sembra evocare una situazione pittorica, che nei primi atti da evanescente, acquista gradualmente intensità fino a lasciare col fiato sospeso. A quattro anni di distanza da Bling Ring, Sofia Coppola realizza un film intenso, ben fatto e estremamente curato , stilisticamente lontano dall'ultimo lavoro. La vicenda prende parte in un tranquillo collegio femminile del Sud durante la Guerra civile Americana. La vita delle sei ragazze nel collegio scorre in modo ordinario e costante, ovattata dalle crudeltà della Guerra. Ad occuparsi di loro la direttrice del collegio Miss Martha, donna acuta e pratica, la cui presenza è affiancata dalla più giovane Edwina Dabney, insegnante di francese. Quando un mercenario nordista viene trovato ferito da una delle ragazze, l’equilibrio della mite esistenza nel collegio verrà radicalmente sovvertito. Egli diverrà oggetto di sorpresa e timori, fino a determinare un brusco cambiamento nei rapporti delle fanciulle e delle istitutrici. Presentato allo scorso Festival di Cannes, L’inganno, è un film diretto abilmente, in grado di assumere molteplici aspetti, conducendo lo spettatore in una direzione dai tratti prevedibili, ma non banali. Un ritratto femminile molto asciutto capace di analizzare con grande precisione lo sviluppo e il climax del rappporto tra i due sessi. Sofia Coppola dirige un film elegante e autentico,  contraddistinto da quella perfetta combinazione tra leggerezza ed efferratezza. 
 
 
Giada Farrace
 

Torna dopo “Tre manifesti a Ebbing, Missouri” (2017) Martin McDonagh in concorso al Lido. E porta con sé i suoi due attori feticcio: Colin Farrell e Brendan Gleeson, visti nel suo meraviglioso “In Bruges”. E come sempre confeziona un’opera solida, preziosa e vicina alla perfezione. Come il migliore degli orologi non perde tempo in fronzoli ed ogni rintocco delle quasi 2 ore di film è un piacere per lo spettatore; che vive empaticamente le sorti dei protagonisti, in un saliscendi tra dramma ed ironia. Premiato qui a Venezia con la Coppa Volpi al Miglior attore a Colin Farrell e con la miglior sceneggiatura proprio a Martin McDonagh. Non ci sarebbe stato premio più azzeccato. Prodotto dalla Searchlight Pictures, casa Disney, l’uscita italiana è prevista il 2 Febbraio 2023.

 

Irlanda anni 20, isola al largo della costa occidentale. Padraic (Farrell) e Colm (Gleeson) sono migliori amici. Un giorno Colm decide improvvisamente di rompere l’amicizia. Questo avrà conseguenze disastrose non solo nella vita di Padraic, ma anche per l’intera piccola comunità. L’isolano non si rassegna all’idea della perdita senza senso di Colm e cerca in ogni modo di scuoterlo e farlo ragionare. Padraic cerca aiuto nella sorella Siobhan (Kerry Condon) e nel figlio del capo della polizia Dominic (Barry Keoghan). Quest’ultimo personaggio decisamente svampito; vive in un mondo tutto suo. Colm è ferreo sulle proprie convinzioni e non ha intenzione di fare un passo indietro, anzi, rincara la dose. Se Padraic continua ad importunarlo è deciso a prendere drastiche decisioni al limite della follia. Tutto questo disagio si istaura nell’intera comunità, che non è abituata ad un clima belligerante.

 

McDonagh si conferma un ottimo regista, ma soprattutto un eccellente sceneggiatore. Lo script è favoloso. Disegna con precisione millimetrica i protagonisti. Tutti, compresi I baristi del pub del paese. Tra spiriti che prevedono gli accadimenti ed animali nel focus dell’azione, esplode una strana guerra imprevista, non voluta. Siamo di fronte ad un possente racconto allegorico e morale sulla sconsideratezza delle guerre. Battaglie di massa senza senso, quelle che incorniciano il paese irlandese nel pieno delle proprie incoerenze. Ma qui soprattutto personali, dettate da sfizi e da intime pochezze. Colpi di orgoglio umano ingiustificati e pericolosi, non solo per gli interessati, ma anche per i posteri.

La messa in scena lascia veramente stupefatti. Un argomento come la guerra scritto con garbo e finezza. Si incastra tutto alla perfezione. L’argomento in superficie dell’amicizia negata è solo uno specchio per allodole, che nel profondo sottotesto esplode come l’inizio di una guerra sanguinosa, rancorosa e distruttiva. Insita, ahinoi, nell’animo umano. E poi, diciamolo a voce alta, nel film non si vede un fucile.

McDonagh può veramente essere considerato uno dei migliori esponenti drammaturgici dei nostri tempi. La

regia è compatta, in grado di non perdere mai il focus del film. A tratti Teatrale e spettrale.

 

Ruba l’occhio la fotografia di Ben Davis, collaboratore stretto di Martin McDonagh. Paesaggi incontaminati immortalati in splendidi campi lunghi e medi. Verdi prati e svettanti scogliere, che danno respiro al film. Il tutto in netta opposizione con lo stato cupo e depresso dei protagonisti. La natura può solo assistere inerme alla nostra distruzione.

 

The Banshees of Inisherin è una partita a scacchi giocata da due personaggi, metaforicamente con il mondo intero in mano, che decidono il destino di tutti. Non vi sembra clamorosamente attuale? Un lungometraggio da non perdere. Colpo di fulmine.

 

David Siena