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The girl from the wardrobe

Lunedì 05 Maggio 2014 19:45

“The girl from the wardrobe” rappresenta l’esordio alla regia di un autore a cui l’etichetta “indie” non potrebbe calzare meglio. Capace di concepire e costruire una storia difficilmente decodificabile tramite le categorie dei generi classici, Bodo Kox compie un’operazione cinematografica inusuale ed affascinante, che lo porta ad aggiudicarsi il primo premio del RIFF 2014 nella categoria Feature Film Competition. Intrecciando le vite dei fratelli Jacek e Tomek, visceralmente legati l’uno all’altro, con quella di Magda, silenziosa ed enigmatica ragazza della porta accanto, il lungometraggio costruisce un racconto a tre in cui emergono nuove forme di socialità entro gli sterili rapporti umani che intuiamo dispiegarsi intorno a loro

L’apparente asocialità di Magda, il suo completo disinteresse nei confronti del mondo esterno, le permettono infatti di stabilire un dialogo sotterraneo con Tomek, a cui la sindrome di Savant ha tolto la possibilità di comunicare nelle forme socialmente conosciute. Se per le occasionali amanti di Jacek il fratello rappresenta un fardello insostenibile, per Magda, al contrario, i suoi silenzi e le sue modalità d’interazione sono le premesse della possibilità di una relazione in cui la comunicazione trascende la parola e si sublima in puro gesto. I loro dialoghi procedono per sguardi rapidi, musica, disegni, attraverso l’intermediazione sempre attenta di Tomek, la cui stanchezza nel ruolo di fratello-infermiere non trapela mai (non si percepisce, non c’è),nemmeno quando Jacek batte ripetutamente la testa sulla porta per essere accompagnato sul tetto disturbando il suo lavoro. Forse perché la solidità del loro legame, la lealtà che si dimostrano ogni giorno l’un l’altro non può essere scalfita né dall’incomprensione degli altri né dalla malattia stessa.
Ma se fosse solo questo “The girl from the wardrobe” non si discosterebbe dalle forme di un racconto umanista che, seppur ben fatto, indugia sulla rappresentazione della differenza come virtù da preservare. C’è, invece, nel film una totale dismissione del discorso buonista e della linearità concettuale ed, al contrario, un’apertura verso qualcosa di altro, difficilmente restituibile con le parole, ma efficacemente raggiunto dalle immagini - visionarie, distopiche, finanche surreali – e dall’ironia. “Adoro sciogliere i temi seri con dello humor”, commenta il regista, a riprova della particolare angolazione da cui riprende le scene, che nulla ha dell’ironia della commedia brillante mainstream: è più aspro, più cupo , eppure vitale. E ben si completa con le allucinazioni di Magda, auto-rinchiusa in una sorta di universo parallelo costruito dalle droghe di cui fa uso entro i limiti claustrofobici di un armadio. Quelle allucinazioni permettono la sperimentazione di mondi in cui il verde e il giallo sostituiscono il grigio e il marrone della realtà e di un benessere che non sembra possibile entro la finitezza del contesto tangibile. Ma anche l’esperienza di una modalità di vita “in ascolto”, in cui la serenità si raggiunge con la sospensione del moto. 
Il registro scelto - ce lo svela l’autore- è quello della rappresentazione del proprio punto di vista sul mondo tramite alter ego: Magda, nel suo rifiuto di una socialità comune non è altro che il suo alter ego nei momenti in cui è più forte la spinta verso l’esclusione dal gioco della vita, mentre Tomek rappresenta quella parte giocosa e burlona dell’identità dell’autore che prende normalmente corpo nelle pieghe della quotidianità. Del resto, seppur consapevole dell’irriducibile solitudine del soggetto, è proprio l’autore ad affermare di non aver voluto fare il classico film polacco triste, introducendo, quindi, l’elemento visionario ed una pervasiva ironia che ci vuole dire, banalmente quanto non valga la pena prendersi troppo sul serio
Regista, attore e sceneggiatore, Bodo Kox si fa apprezzare per uno stile personale e mai esageratamente intimistico, accompagnato da una giusta dose di assurdo, in un debutto cinematografico che lo consacra come uno dei più importanti e creativi autori indipendenti dell’underground polacco.
 
Elisa Fiorucci