Diabolik ha “mille volti” ma sono maschere, non è “un eroe”. È il protagonista affascinante di una serie a fumetti progressista che portò alla nascita del genere “fumetto nero italiano” creato nel 1962 da due donne, Angela e Luciana Giussani, due sorelle milanesi che ne scrissero più di 800 storie.
Sono stati i registi Marco e Antonio Manetti a trovare il favore e l’aiuto nella stesura del soggetto di Mario Gomboli, attuale detentore dei diritti della casa editrice Astorina, per la riduzione cinematografica, dichiarando fin dal principio di voler scrivere non “un film su Diabolik” ma il “film di Diabolik” con tutti i suoi difetti, con tutte le sue sporcature, un ladro che senza “rubare ai ricchi per dare ai poveri” si fa beffa della legge e la fa sempre franca. Siamo negli anni Sessanta a Clerville (le strade di Bologna in questo caso fanno da location), l’ispettore Ginko (Valerio Mastandrea) insegue una Jaguar E-Type nella notte. Di Diabolik (Luca Marinelli) vediamo solo gli occhi, le mani al volante, fugge dall’inseguimento con l’ennesimo trucco di prestigio. La legge è sua acerrima nemica, ha un nascondiglio dietro ad una montagna di cartapesta, si annida nella casa della facoltosa Elisabeth (Serena Rossi), sua ignara amante, usando lo pseudonimo di Walter Dorian. Una vedova, la bellissima Eva Kant (Miriam Leone), torna dall’Africa a Clerville con la sua cospicua eredità. Tesori inestimabili tra cui un diamante rosa, Diabolik deve rubarlo.
Eva è scaltra, conosce gli uomini, si trascina dietro di sé il viceministro Caron (Alessandro Roja), un uomo grezzo che le fa la corte, ma il suo cuore è più complicato. Quando Diabolik si intrufola nella sua stanza d’albergo, la bracca con un coltello e la guarda negli occhi, quello sguardo basterà ad entrambi per accorgersi della loro somiglianza. Tra i due nasce un grande reciproco amore. È nel fumetto numero 3 (1963) che fa la sua prima comparsa Eva Kant, una “Catwoman” nostrana, figlia dell’amore per la filosofia delle autrici (il cognome Kant è un riferimento a Immanuel Kant), il suo ruolo è centrale, mette quasi in ombra il suo partner, che a favore di sceneggiatura in questo film viene interpretato da tanti attori, quelli di cui ruba l’identità. Diabolik con le sue maschere in silicone riesce a simulare altre persone, caratteristica particolare, resa possibile grazie al lavoro di composting di Diego Arciero. Gli effetti speciali di questo film sono tradizionali, ricordano quelli del cinema di Bava (Mario Bava nel 1968 adattò egli stesso il fumetto nel suo film Danger: Diabolik), c’è del posticcio nell'utilizzo di materiali “teatrali” ma che rende tutto assolutamente verosimile. Anche i costumi di Ginevra de Carolis, sono perfetti considerando quanto è difficile rendere credibile un personaggio che esce dai tombini di notte con una tuta nera aderente su tutto il corpo. Le musiche sono di Aldo de Scalzi e Pivio con l’aggiunta di un brano inedito di Manuel Agnelli (“La profondità degli abissi”). Gli attori protagonisti ci hanno rivelato (alla conferenza stampa di Roma) di essersi documentati senza farsi influenzare troppo dalle controparti cartacee, rendendo i personaggi propri, così che Valerio Mastandrea si è convinto che il commissario Ginko “non vuole” davvero prendere Diabolik, perché a detta anche del protagonista Luca Marinelli, entrambi non esisterebbero senza l’altro. È una caccia all'uomo che non termina mai, un classico senza tempo che potrebbe risultare anacronistico per certi versi ma mantiene una purezza di base che può attirare anche un pubblico giovane. Il film si divide involontariamente in due “casi” da risolvere, dà a tratti l’impressione di vedere due episodi di una serie televisiva (inizialmente infatti si era pensato di farlo) tuttavia, nonostante questo porti ad un ritmo altalenante, si riesce a trovare una chiusura, con un classico scontro finale. Ha il pregio di essere negli ultimi dieci anni una dignitosa trasposizione di un fumetto italiano, che si trascina dietro una tradizione che (restando nei confini dell'Europa) non ha niente di meno di quella dei BD francesi e, come un diamante prezioso, ha bisogno di splendere ancora.
Francesca Tulli