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Visualizza articoli per tag: Martin McDonagh

Tre manifesti a Ebbing, Missouri

Giovedì 11 Gennaio 2018 12:17
Pensate ad un orologio, alla sua complessa perfezione. Ogni minuscolo o gigantesco ingranaggio posizionato a regola d’arte, in maniera da far girare l’intero meccanismo senza nessuna sbavatura. Non esita, guarda solo avanti. E’ l’emblema del realismo che non fa sconti a nessuno. Durante una vita intera, le lancette (persone) si sfiorano, si sovrappongono, si allontanano per poi rincontrarsi e pensarla allo stesso modo. Tutto questo prende vita nel capolavoro dal titolo: Three Billboards Outside Ebbing, Missouri. Presentato in concorso all’ultimo Festival di Venezia, il film scritto e diretto da Martin McDonagh (In Bruges, 7 psicopatici), si porta casa il premio per la miglior sceneggiatura. Un cinema feroce ed appassionante, senza esclusione di colpi. Uno dei lavori più riusciti del 2017. 
Se un errore clamoroso, come quello della busta del miglior film agli ultimi discussi premi Oscar, dovesse malauguratamente ricapitare, speriamo che sia a favore di quest’opera completa, che con la sua sfrontatezza rapisce. Capace di navigare tra i generi con assoluto equilibrio, strizzando l’occhio addirittura agli anarchici stilemi western.  
Mildred Hayes (Frances McDormand) è stanca di aspettare giustizia. La figlia è stata brutalmente stuprata ed assassinata. La polizia, dopo mesi di indagini a vuoto, è a un punto morto. La reazione della madre arriva come un treno in corsa, provocando un clamore senza precedenti. Sagace come la più astuta delle volpi, affitta tre cartelloni pubblicitari appena fuori la cittadina di Ebbing in Missouri. Nessuno al mondo gli proibisce di sfogare la sua rabbia a caratteri cubitali: “Ancora nessun arresto?”, “Come mai, sceriffo Willoughby?”. I media si mobilitano e l’onda d’urto copre di vergogna le forze dell’ordine locali. L’apprezzato capo della polizia di Ebbing (Woody Harrelson) cerca di aprire un dialogo proficuo con Mildred, ma l’ingresso nella vicenda dello stolto vicesceriffo Dixon (Sam Rockwell) scatena esponenzialmente l’ira della madre. Ha inizio così una battaglia, che può essere paragonata ad una zuffa da saloon. Dove nulla è risparmiato e l’incompetenza di certi personaggi non può più essere tollerata.
Three Billboards Outside Ebbing, Missouri è fresco di onorificenze. Vincitore di 4 Golden Globes nelle categorie più prestigiose: Miglior film drammatico dell’anno, attrice protagonista (Frances McDormand), attore non protagonista (Sam Rockwell) e miglior sceneggiatura. Premi che aprono la strada per altri premi, giusta consacrazione per un film che non nasconde nulla, anzi, la sua bellezza sta nel viaggiare fuori dai limiti e sorprendentemente riuscire a reggere il tutto.
Vi troverete a chiedervi se state assistendo ad una black comedy. Questo termine. affibbiato con troppa facilità al film di McDonagh, è riduttivo e non rende giustizia alla vera essenza di Three Billboards. Pellicola tanto drammatica quanto commedia, ma la sua ironia non è solo graffiante. C’è un velo di malinconia che copre le vite dei personaggi: verità nelle situazioni, grande realismo e qualcosa di più. Un acceso conflitto tra le parti che cercano entrambe il Bene. Nessuno dei due schieramenti è veramente il male. Si scontrano rabbiosamente nella ricerca di speranza, guardando verso un mondo migliore. Nessuno dei due ha torto o ragione. Vengono messi in scena così i paradossi dell’esistenza. Allora come schierarsi? Non c’è un vero giusto, c’è solo la forza di lottare per operare al meglio. 
Diretto con una freschezza e dinamicità senza paragoni, Three Billboards è un film potente. Ha uno sviluppo da film teatrale (come il suo autore), ma è cinema vero e originale. 
Pubblicità anima del commercio e qui anima scalpitante del film, che tutto smuove: le coscienze con i sensi di colpa che ne conseguono. Si aprono scenari ed ancora scenari. Sorprese e incubi, che sono parte di questo mondo.
I dialoghi sono memorabili, come gli energici cambi di registro. La coinvolgente narrazione è basata sulle scelte che fanno i personaggi. Mordacità, decisione, sfrontatezza, sicurezza, ignoranza, amore, consapevolezza e dolore sui volti e nelle anime dei protagonisti sono un pot-pourri di sentimenti e sensazioni, che elevano la drammaturgia a qualcosa di mai visto prima.
Prove attoriali eccellenti, su tutti Frances McDormand (donna della classe operaia con un carattere alla John Wayne) e Sam Rockwell (il suo Dixon è villano al punto giusto e inquadra alla perfezione l’americano medio). Personaggi ricchi e completi. Eroi ed antieroi. Estremamente umani.
In uscita nelle sale cinematografiche proprio in questi giorni, il film di McDonagh, come già sviscerato, non è solo un fermo immagine delle problematiche ataviche che tormentano il sud degli Stati Uniti; anzi, per certi versi sembra quasi fregarsene di tutto questo. E ’un film lontano da inutili moralismi, che ha forti similitudini con il profondo Manchester by the sea (Oscar miglior sceneggiatura originale 2017). Una pellicola gestita con rigore. Assolutamente da non perdere. Si fa ricordare anche per la strepitosa colonna sonora, in salsa yankee, di Carter Burwell (Carol).
 
David Siena
 
 
 
 
 
 

Torna dopo “Tre manifesti a Ebbing, Missouri” (2017) Martin McDonagh in concorso al Lido. E porta con sé i suoi due attori feticcio: Colin Farrell e Brendan Gleeson, visti nel suo meraviglioso “In Bruges”. E come sempre confeziona un’opera solida, preziosa e vicina alla perfezione. Come il migliore degli orologi non perde tempo in fronzoli ed ogni rintocco delle quasi 2 ore di film è un piacere per lo spettatore; che vive empaticamente le sorti dei protagonisti, in un saliscendi tra dramma ed ironia. Premiato qui a Venezia con la Coppa Volpi al Miglior attore a Colin Farrell e con la miglior sceneggiatura proprio a Martin McDonagh. Non ci sarebbe stato premio più azzeccato. Prodotto dalla Searchlight Pictures, casa Disney, l’uscita italiana è prevista il 2 Febbraio 2023.

 

Irlanda anni 20, isola al largo della costa occidentale. Padraic (Farrell) e Colm (Gleeson) sono migliori amici. Un giorno Colm decide improvvisamente di rompere l’amicizia. Questo avrà conseguenze disastrose non solo nella vita di Padraic, ma anche per l’intera piccola comunità. L’isolano non si rassegna all’idea della perdita senza senso di Colm e cerca in ogni modo di scuoterlo e farlo ragionare. Padraic cerca aiuto nella sorella Siobhan (Kerry Condon) e nel figlio del capo della polizia Dominic (Barry Keoghan). Quest’ultimo personaggio decisamente svampito; vive in un mondo tutto suo. Colm è ferreo sulle proprie convinzioni e non ha intenzione di fare un passo indietro, anzi, rincara la dose. Se Padraic continua ad importunarlo è deciso a prendere drastiche decisioni al limite della follia. Tutto questo disagio si istaura nell’intera comunità, che non è abituata ad un clima belligerante.

 

McDonagh si conferma un ottimo regista, ma soprattutto un eccellente sceneggiatore. Lo script è favoloso. Disegna con precisione millimetrica i protagonisti. Tutti, compresi I baristi del pub del paese. Tra spiriti che prevedono gli accadimenti ed animali nel focus dell’azione, esplode una strana guerra imprevista, non voluta. Siamo di fronte ad un possente racconto allegorico e morale sulla sconsideratezza delle guerre. Battaglie di massa senza senso, quelle che incorniciano il paese irlandese nel pieno delle proprie incoerenze. Ma qui soprattutto personali, dettate da sfizi e da intime pochezze. Colpi di orgoglio umano ingiustificati e pericolosi, non solo per gli interessati, ma anche per i posteri.

La messa in scena lascia veramente stupefatti. Un argomento come la guerra scritto con garbo e finezza. Si incastra tutto alla perfezione. L’argomento in superficie dell’amicizia negata è solo uno specchio per allodole, che nel profondo sottotesto esplode come l’inizio di una guerra sanguinosa, rancorosa e distruttiva. Insita, ahinoi, nell’animo umano. E poi, diciamolo a voce alta, nel film non si vede un fucile.

McDonagh può veramente essere considerato uno dei migliori esponenti drammaturgici dei nostri tempi. La

regia è compatta, in grado di non perdere mai il focus del film. A tratti Teatrale e spettrale.

 

Ruba l’occhio la fotografia di Ben Davis, collaboratore stretto di Martin McDonagh. Paesaggi incontaminati immortalati in splendidi campi lunghi e medi. Verdi prati e svettanti scogliere, che danno respiro al film. Il tutto in netta opposizione con lo stato cupo e depresso dei protagonisti. La natura può solo assistere inerme alla nostra distruzione.

 

The Banshees of Inisherin è una partita a scacchi giocata da due personaggi, metaforicamente con il mondo intero in mano, che decidono il destino di tutti. Non vi sembra clamorosamente attuale? Un lungometraggio da non perdere. Colpo di fulmine.

 

David Siena