Presentato in anteprima mondiale alla Quinzaine des réalisateurs e ripresentato in occasione della 73esima Mostra del Cinema di Venezia, l’ultimo lavoro di Pablo Larrain è un film atipico, forse difficile da inquadrare, ma artisticamente geniale; lavora con diverse forme d’arte realizzando un’opera armoniosa, che rapisce ed emoziona.
Cile, fine degli anni quaranta. Il poeta, ma anche uomo di politica Pablo Neruda (Luis Gnecco), viene ricercato dalla polizia dopo che il governo di Videla (Alfredo Castro) ha cambiato radicalmente i propri ideali. Lo stato, che fino ad allora era di tendenza comunista, è passato repentinamente a destra. Neruda, convinto sostenitore del popolo, non ha barattato i suoi ideali. E’ diventato così l’uomo a cui dare la caccia, nemico del partito in carica. Il poliziotto Peluchonneau (Gael Garcia Bernal) è l’incaricato di catturarlo.
Come si è già potuto capire dalla sinossi, non siamo di fronte ad un classico biopic. Potrebbe altresì sembrare un film politico, ma anche questa strada non è da percorrere. Forse stretta analisi della poesia nerudiana? Proprio no.
È un film che racconta semplicemente la storia del Cile e lo fa attraverso i personaggi sopra menzionati. Le sue città e le persone che le pongono: l’aristocrazia del potere, gli intellettuali, le povere famiglie, i bordelli, fino ad arrivare ai piccoli agglomerati delle praterie e alla propria natura e vegetazione, che ci fa scoprire la sua inaspettata anima western, donata alla pellicola in un surreale finale.
Cineasta innovativo, osannato dalla critica per i suoi ottimi lavori, che spaziano da Tony Manero a No, I giorni dell’arcobaleno, Pablo Larrain dirige il suo Neruda con mano morbida e mai pesante. Visionarietà spiccata, che viene fuori celando la figura del Premio Nobel per la Letteratura in inquadrature ingannevoli. Quando ci accorgiamo della sua presenza sembra di guardare un quadro prendere vita. Omaggio all’arte, che da un significato all’esistenza.
Attraverso la glorificazione della narrazione, novella nella novella, scopriamo quanto il narratore della storia, il commissario Peluchonneau debba la sua esistenza proprio all’artista Neruda. Identificazione dell’inseguitore, al quale viene data una vita. Nasce così un rapporto tra i due che va oltre il realismo, diventa qualcosa di surreale, che si ripete all’infinito. Come l’arte stessa: senza tempo ne luogo. Celluloide, che diventa la tela dell’artista sulla quale imprimere il proprio volere e donare all’opera stessa: un nome, una vita propria e una libertà eterna.
Enorme lavoro fatto in fase di stesura della sceneggiatura da parte di Guillermo Calderón, scrittore che aveva già collaborato con Larrain per il Club. Le molteplici e complicate sfaccettature dello script non appesantiscono, anzi, lo spettatore si lascia condurre dall’andamento dello spettacolo verso un comodo e caldo approdo riparatore. Racconto sanificatore che ricorda le ballad del cantastorie Bruce Springsteen e della sua Ghost of Tom Joad. Armonica che ristora i cuori della povera gente oppressa dalla polizia.
Un film da non perdere, fotografato su toni scuri nella prima parte, dove vige un clima di oppressione e persecuzione. Svolgimento del testo in luoghi chiusi ed artificiali. La strada verso le libertà risplende poi di luce naturale, in spazi luminosi dai sapori country contornati dalla purezza della neve. Insomma un lavoro magistrale questo Neruda, speriamo di vederlo presto distribuito in Italia.
David Siena