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Assassinio a Venezia

Giovedì 14 Settembre 2023 17:05

C’è una frase pronunciata da Poirot poco prima della fine di Assassinio a Venezia che racchiude l’essenza del film, toccando nel profondo tutti gli spettatori. E’ un invito a non fuggire, a non rifiutare i propri fantasmi interiori, ma ad accettarli senza remore. Soltanto in questo modo l’essere umano riesce ad oltrepassare i momenti di paura e smarrimento, ritrovando la fiducia in sé stesso. Per una mente illuminata e razionale come quella di Hercule Poirot si tratta di una presa di posizione molto audace, quasi ascetica, capace di sintetizzare bene gli intenti di questo terzo capitolo dedicato all’investigatore più acuto di sempre, firmato ancora una volta dalla raffinatezza stilistica di Kenneth Branagh. Venezia, vigilia di Ognissanti, la città inizia a prepararsi per celebrare la macabra festa di Halloween. Poirot, ormai ritiratosi dalla scena investigativa, vive le sue giornate di pensionamento evitando ogni genere di contatto con il prossimo. Sebbene la sua presenza a Venezia sia motivo di grande curiosità e continue richieste d’aiuto, le pressioni esterne vengono tempestivamente contrastate dalla brutalità quanto mai fisica della sua fedele guardia del corpo (interpretata da un inedito Riccardo Scamarcio). Tutto sembra scorrere su binari imperturbabili, quando un giorno a casa di Poirot irrompe una vecchia amica Ariadne Oliver (interpretata da una strepitosissima Tina Fey), divenuta una celebre scrittrice di gialli, la quale tenta in ogni modo di convincere Poirot ad assistere ad una seduta spiritica che avverrà proprio quella sera stessa, nella funesta dimora di una vecchia gloria della lirica, Rowena Drake (Kelly Reilly). Nonostante la caparbia riluttanza, Hercule alla fine cederà il passo alla curiosità nonché alla volontà di smascherare qualche impostore. Ma durante la sessione avviene un tragico evento: una persona viene uccisa in modo macabro e sanguinoso. Soltanto l’infallibile intuito di Poirot potrà rimettere al loro posto i tasselli di un puzzle lugubre che trascinerà nelle nebbie della paura anche una mente razionale come la sua. Siamo piuttosto lontani dalle atmosfere sfarzose e un po’ pacchiane del precedente Assassinio sul Nilo, di cui forse ricordiamo ben poco se non un modesto tentativo d’indagine popolato da personaggi troppo epidermici e privi di fascino. Branagh ora decide di spiazzare tutti, raccontando una storia che originariamente ha ben poco a vedere con spiriti e terrore. Infatti, sebbene il film rientri nel genere investigativo con un’impronta horror molto radicata, il libro a cui si ispira invece, Poirot e la strage degli Innocenti scritto nel 1969,ricalca il classico schema del giallo senza alcun tipo di cenno all’universo del soprannaturale. Il regista quindi si ispira liberamente all’opera della Christie, realizzando volutamente un capitolo differente da tutti gli altri, capace di distinguersi non solo per il genere scelto, ma soprattutto per il fascino di una narrazione impeccabile e a più livelli. Partendo da quel sentimento angosciante che alberga chiaramente nell’animo di tutti i protagonisti della storia, ci si immerge in un ambiente oscuro, ambiguo e spettrale circondato dal violento fragore delle onde di un mare nero come il buio degli interni. La fotografia in questo senso restituisce un quadro perfetto di analogie cromatiche e spirituali: le fitte tenebre degli ambienti interni sembrano rincorrere uno ad uno i volti degli astanti, finendo spesso per abbracciarli fatalmente. L’entusiasmo di Branagh si percepisce da tanti piccoli dettagli appassionati, come alcuni magnifici esercizi di stile quali angolazioni distorte, fish-eye e quei claustrofobici piani inclinati dal basso e dall’alto volti ad intensificare l’effetto conturbante. Detto questo, siamo di fronte ad un film che va visto al cinema per godere appieno del suo impatto sia sul piano stilistico sia su quello più emozionale. Kenneth Branagh si riconferma un ottimo regista oltre che un brillante interprete, squisitamente legato ad un personaggio che indossa meglio di un cappotto e che difficilmente abbandonerà.

 

Giada Farrace