Scritto diretto e prodotto da Quentin Trantino “C’era una volta a...Hollywood” è il suo nono film. In cerca di fortuna, Rick Dalton (Leonardo di Caprio) compra una casa ad Hollywood, il suo cancello confina con la villa di Roman PolaĆski i e la sua novella sposa Sharon Tate (Margot Robbie), la sola vicinanza con il regista più amato in circolazione lo fa sentire meno fallito: l’attore non ha mai ottenuto un ruolo da protagonista (ad eccezion fatta di quello nella serie TV “Bounty Law”) dopo tanti provini sembra solo destinato al ruolo del cattivo, specializzato in Western di dubbia riuscita. Cliff Booth (Brad Pitt) la sua controfigura è un omaccione forzuto, che vive sotto un tetto pericolante con un cane che gli assomiglia, per temperamento e indole. Molte leggende girano su di lui, alcuni pensano che sia un assassino, altri si limitano a sfidarlo per saggiare la sua decantata invulnerabilità che fa impallidire perfino una leggenda come Bruce Lee. Sulle note di Mrs. Robinson e altri 31 selezionatissimi brani , lo scenario, modellato e ricostruito tra luoghi reali e mastodontici set, senza aggiunte di computer grafica, in cui questi due improbabili si muovono è una Hollywood verso il tramonto. I ricchi signori del cinema consumano il loro denaro tra feste e relazioni di comodo e sul ciglio della strada si affacciano legioni di hippie in cerca di cibo scaduto nella spazzatura. Chi conosce la storia (americana) sa che nel 1969, i seguaci di Charles Manson, al grido di “Morte ai maiali” uccisero Sharon Tate nella sua casa di Beverly Hills, all’ottavo mese di gravidanza. Quella fu la fine della favola di Hollywood (il “C’era una volta” del titolo lo suggerisce) la culla del cinema divenne lo sfondo di questo crimine, l’industria continuò nel bene e nel male ad esistere all’ombra di un tale macabro omicidio. Tarantino, con i suoi 161” minuti di pellicola (Kodak 35 millimetri in formato anamorfico) ci costringe a conoscere così tanto bene i suoi improbabili eroi da convincerci che siano esistiti veramente. Il regista durante la conferenza stampa con il cast a Roma, città che ama come gli Spaghetti Western (che omaggia ancora) ha ribadito che questo terzo film chiude un filone di ucronia, i primi due erano “Bastardi Senza Gloria” (2009) e “Django Unchained” (2012) spiegando: “Chiudo una trilogia. Non posso dire però che il cinema abbia il potere di cambiare la storia, ma certo può avere la sua influenza”.
Francesca Tulli