Ambientato durante la Guerra civile, The Hateful Eight, ottavo e ultimo lavoro di Quentin Tarantino, si mostra molto particolare nel suo genere, essendo un mix di generi, tanto che potremmo chiederci se, abbandonato l'aspetto di un western classico, in realtà non si debba parlare di thriller, commedia, film drammatico, claustrofobica pellicola ad alta tensione, film di Natale post Natale? Il vero problema non è quello di incasellare il tutto in precisi parametri cinematografici, bensì quello di ritrovare un senso più compiuto dietro le abbaglianti immagini.
Si parte così con un prodotto corale dove tutte le vecchie glorie del cinema di Tarantino tornano nel tentativo di riprendere da dove le avevamo lasciate, esattamente dove le avevamo lasciate. Proprio per questo sembra per certi versi di assistere ad un'autocelebrazione, dove non solo ritroviamo coloro ai quali eravamo abituati ma anche e soprattutto ambientazioni che non ci sono nuove in una storia che è tutto fuorché originale. Tutto comincia in una landa desolata nel più feroce degli scenari in cui un uomo possa trovarsi, una terra dove la natura è nemica e dove immense gelide vallate segnano la linea dell'orizzonte. L'ambientazione western era già stata affrontata nel precedente Django Unchained, ci ritroviamo quindi davanti ad un omaggio, ancora una volta, ai grandi maestri del passato ma in particolare, come dichiara Tarantino, a Sergio Leone, abbondando in citazioni e, soprattutto, in autocitazioni.
Ma oltre che a Leone, anche se in chiave leggermente dissonante, The Hateful Eight è chiaramente legato a La Cosa di John Carpenter, a sua volta pellicola ispiratrice de Le Iene. Da La Cosa, oltre che il protagonista Kurt Russell e il direttore della colonna sonora, Tarantino riprende le stesse ansiogene e innevate ambientazioni, per protagonisti che rinchiude dentro scricchiolanti pareti di un rifugio isolato, limitati fisicamente sotto il giogo della costante minaccia di un nemico invisibile ma tangibile al contempo, nella classica lotta alla sopravvivenza. Un luogo non luogo perduto in un tagliente gelo, in cui solo un rifugio può sembrare un porto sicuro, dove non vi è in realtà salvezza perchè tutti saranno l'uno contro l'altro per causa e indole, divisi in fazioni ma purtroppo esenti da colpi di scena. Un discorso preciso va intrapreso sulla scrittura alla base di questo lavoro, che inizialmente si presenta come un thriller grottesco con struttura teatrale, serratissimi dialoghi in un'unità di luogo e di tempo, nonostante i numerosi, ma non necessari, flashback a ripercorrere gli eventi da più angolazioni, come una sorta di Rashomon postmoderno in cui ognuno, o quasi, racconta la sua versione dei fatti. Si entra in un percorso accidentato posto ad evidenziare, ma finendo con il mortificare e appiattire, la bravura degli stessi interpreti. Ecco che si ripropongono i medesimi personaggi con le medesime formule interpretative attuate in passato, in questo non c'è novità né scelta coraggiosa per oltre tre ore che non valgono l'opera magnificente che si voleva portare a termine e, anche se non si può assolutamente dire che quello che ci scorre davanti è un brutto spettacolo, il cliché a volte può essere decisamente ridondante. Tarantino non ha la cifra di opere monumentali, come i grandi autori su cui forgia i suoi lavori, e ancora una volta la sceneggiatura citofonata dall'inizio alla fine, rende troppo prevedibile il tutto, strizzando continuamente l'occhio al grande pubblico, abbassando il target giocando sulla facile comprensibilità, alle mode old style del momento, all'esplosione patinata di colori e campi lunghi nell'abbondante postproduzione che invalida la presenza di una tecnica registica.
Definire The Hateful Eight un Le Iene in salsa western è un'affermazione troppo azzardata: non è presente nemmeno un vago ricordo dell'originalità prepotente di un lavoro che ha dato seguito a imitazioni per i 20 anni successivi. Parlando di copie di copie in una rete di infiniti rimandi artistici mediatici e pubblicitari, anche la colonna sonora inedita, creata dal Maestro Ennio Morricone, è una riproposizione. Diversi brani, erano stati composti proprio per La Cosa ma mai utilizzati all'epoca quindi riarrangiati e utilizzati ora, tutti tranne uno che è invece presente nel film di Carpenter.
Forse questo è un po' il passo più lungo della gamba, quello dal sentore di inadeguatezza, dall'indole di un quasi sequestro di persona, che ci attanaglia per un lungo lungo tempo in cui avremmo potuto anche scappare all'intervallo, o iniziare a vederlo da subito dopo, un po' a scelta.
Chiara Nucera