C’era un piccolo film fra quelli presentati a Venezia 69 nella sezione ‘Orizzonti’. Tanto piccolo da stupire per bellezza e originalità, come una perla rara. Il lavoro del regista Di Costanzo, proveniente dal serbatoio sempre più ricco di idee che è quello del Cinema-Documentario, è stato semplice ed essenziale ovvero come raccontare il disagio dei giovanissimi in una terra sottomessa in larga parte alla malavita. Stiamo parlando di Napoli e di camorra ovviamente. La prima scelta vincente è stata il linguaggio, una scelta di recitazione di stampo “teatrale”, sullo sfondo di un vecchio e cadente collegio abbandonato che diventa la ‘prigione’ dei due ragazzi Salvatore e Veronica. Il primo costretto a controllare la seconda per una giornata, una sola giornata delle loro vite rubate da sempre e per sempre al gioco e alla fantasia. Un intervallo dunque, proprio quello del titolo, nel quale bene o male la vera natura dei due adolescenti ha il sopravvento sul brutto, sullo squallido, sulla violenza. Seconda scelta vincente è stata quella di puntare sulla spontaneità emanata dai due giovani attori al loro primo ruolo, due ragazzi di strada per una recitazione fra il saggio scolastico e la dialettica realista, quasi disarmante tipica di questa età e di queste zone. Salvatore recita con il fisico, con gli occhi, è timido e conciso ma non perde un passaggio, la vita se la deve già guadagnare e sa dove mettere i piedi e soprattutto a chi non pestarli. Veronica invece è sfrontata, orgogliosa di una bellezza acerba che non esiste, deve ancora arrivare e quando parla è una lama di coltello, con quella cadenza ‘eduardiana’ capace di ridimensionare l’importanza di ogni cosa.E infine altro grande pregio del film è il fatto, a mio giudizio decisivo, di riuscire in un contesto così duro a non mostrare nessuna arma, forse un cacciavite utile per spaccare il ghiaccio per le granatine, nessuna pistola, non una violenza, al massimo uno schiaffo sul volto di Salvatore, non una goccia di sangue se non quella di un ginocchio sbucciato. C’è si, una presenza forte della violenza, ma che si odora soltanto, non viene mai messa in scena. La violenza trasuda, grazie alla fotografia magistrale di Luca Bigazzi, dai muri del vecchio edificio e dal giardino-giungla che lo circonda. Un labirinto dove sono chiusi Salvatore-Teseo e Veronica-Arianna che anche quando riescono ad uscire fisicamente si ritrovano in un giardino anch’esso labirinto inestricabile. E quando Veronica troverà l’uscita la paura di perdere o meglio di far accadere qualcosa di brutto a Salvatore, la porterà indietro sui suoi passi a difendere la propria innocenza e quella del suo carceriere. C’era un piccolo film, dicevo all’inizio del commento, ma alla fine “L’intervallo” è il film che in tutta la Mostra veneziana ha ottenuto più riconoscimenti. Premi minori, certo, ma ne ha ottenuti addirittura sette!! Molti di più del Leone d’Oro “Pieta” o degli attesissimi nuovi film di P.T. Anderson e T. Malick. E’ bello elencarli e ricordarli tutti e sette anche se sono certo che i riconoscimenti di Venezia per “L’intervallo” non sono finiti qui: Premio Fipresci (della Federazione internazionale dei critici cinematografici), Lanterna Magica (dei Cinecircoli Giovanili Socioculturali in collaborazione con il Comitato per la cinematografia dei ragazzi); Pasinetti, del Sindacato Nazionale Giornalisti Cinematografici; Fedic (Federazione Italiana dei Cineclub); CICT-Unesco Enrico Fulchignoni; l'Aif-Forfilmfest e l'Uk-Italy Creative Industries Award-Best Innovative Budget.
Altrettanto bello è citare il monologo di apertura che meglio e più forte di qualsiasi mio racconto può dare l’idea perfetta di questa storia:
“Succede che gli uccelli che vivono in gabbia,
anche se gli apri la porta non fuggono.
I cardellini, a volte, dalla rabbia si scagliano contro le sbarre.
Ma pure loro, se gli apri la griglia non scappano.
Se ne stanno lì, in un angolo, a guardare Forse sono tentati di volare via, ma non trovano il coraggio.
Mio padre mi ha spiegato che tra gli uccelli piccoli
il pettirosso è quello più coraggioso,
non ha paura di niente.
A volte lo senti che canta di notte, per sfidare il buio.
Anche l’usignolo canta di notte, ma solo quand’è in amore.
Allora può succedere che anche un orecchio esperto
scambia un canto di sfida per un canto d’amore…"
Marco Castrichella