Pietà è un film duro, mai aggettivo più adatto per descrivere qualcosa. Poche parole, dialoghi minimali in perfetto stile orientale, dove l'interiorità, in questo caso inscindibile da una fredda azione, emerge nella densità di ritmi dilatati. Ciò che appare è un'ideale bolla ove un universo di orrore è rinchiuso, ma allo stesso tempo non è difficile pensare che tutto ciò sia facilmente attuale, realizzabile, non diverso, per nulla distante. I soldi a volte aiutano la vita, semplificandola, ma quando ogni cosa ruota attorno ad essi, sogni e speranze diventano sterili, facile esca di ricatto, tramite per la più cupa disperazione. Kim Ki-Duk mette in scena una tragedia, avendone tutti gli elementi necessari, con il suo postmoderno antieroe, così isolato, deviato, carnefice e vittima al tempo stesso della solitudine di un mondo crudele. Ne esce un film che segna e fa male, lancinante come una coltellata. Coi suoi personaggi terribilmente vissuti, negativi, non troppo lontani allo stile del fumetto di Frank Miller, ideologicamente vicini a Sin City. La sensazione che si avverte mentre le immagini ci scorrono sotto gli occhi è essenzialmente di freddo gelido, che ci attraversa la schiena assieme a tutta la desolazione e i paradossi che porta con sé un personaggio come Kang-Do, perfetto nella resa del suo protagonista. Uno strozzino che storpia la gente purché l'assicurazione risarcisca il debito contratto, figura travagliata e malinconica, disprezzabile, senza un appiglio, boia solo sulla faccia della terra, anestetizzato dai tormenti che procura, emissario di morte interamente pervaso dai propri demoni. Ma anche il più torbido dei peccatori ha una via di salvezza, una luce che lo guida e lo cambia, in questo caso è data da una figura materna, colpevole di averlo abbandonato da piccolo. Così nelle donne c'è il bene, la famosa pìetas citata nel titolo, quell'accoglienza ad ogni costo e sopra ogni cosa che talvolta diviene nemesi, purché si attui un percorso di redenzione estremo. Se c'è qualcosa che spicca è la troppa violenza, volutamente calcata nella reiterazione del dolore fisico ma soprattutto interiore. Si crea così una spirale di aberrazione che non fa altro che innescare una reazione inversa, divenendo a tratti uno spettacolo tragicomico per quanto eccessivo. Il continuo indugiare con l'occhio della macchina da presa su contenuti crudi oltre il limite, rende tutto molto vicino al gore, accomunando questo lavoro ad un film di genere, seppur sui generis perché filtrato da tante derive concettuali. Un risultato che ha in sé tutti i cliché per farne parlare. Non può Pietà non scioccare, non stupire, non rimanere impresso da non essere stato appositamente studiato a tavolino: effetto assicurato dato il guadagnato Leone d'Oro.