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Visualizza articoli per tag: pgr

Fedele alla linea

Venerdì 26 Luglio 2013 14:07

Giovanni Lindo Ferretti mi risulta simpatico dalla prima volta che lo vidi. Eravamo a metà anni 80 e così mi apparve in tv: cresta punk e canto sgraziato, ondeggiante tra i volteggi di Annarella e i deliri di Fatur. Una bomba. Da allora ne ho seguito il percorso artistico e umano: la fine dei CCCP, il grosso successo di pubblico e critica coi CSI, la “misteriosa” e insanabile separazione da Massimo Zamboni (l’amico, il collega, il socio, il complice di una vita), il nuovo percorso musicale e umano coi PGR, la svolta mistico religiosa e il suo esilio montanaro. Poi devo confessare di averlo perso di vista. Adesso me lo ritrovo davanti in questo documentario a firma Germano Maccioni, che cerca di delinearne un ritratto sia umano che artistico, “per restituire la complessità di un personaggio che ancora oggi scatena sentimenti e opinioni contrastanti”, come egli stesso sostiene. Il lavoro è assolutamente impeccabile dal punto di vista tecnico: splendida fotografia (le scene montane restituiscono dei colori davvero unici), un buon lavoro di archivio (alcune chicche video faranno felici i fans della prima ora), bellissime inquadrature (soprattutto nella parte finale dedicata ai cavalli). Alcuni momenti sono davvero gustosi: l’incredibile aneddoto del piccolo Ferretti allo Zecchino D’Oro, il sorriso col quale il protagonista affronta l’argomento riguardante la sua salute, i video di alcune straordinarie esibizioni dei CCCP, fantastici stralci del viaggio in Mongolia, l’amore che traspare quando si parla dei suoi purosangue. Però a questa ottima estetica di fondo non mi pare corrisponda un'analisi che vada davvero a scavare nel profondo dell’artista, o perlomeno, tenti di coglierne qualche sfumatura ancora inesplorata. Non vengono affrontati alcuni nodi cruciali del suo percorso artistico: perché i CCCP si sciolsero? Quali le cause del suo straziante “divorzio” da Zamboni? Ferretti pare voler evitare alcuni discorsi: si parla molto della sua infanzia e dei CCCP, ma si affrontano con molta fretta i CSI, si trascurano quasi totalmente i PGR, per poi dare molto spazio alla nuova formazione musicale del cantante. Insomma a una splendida “forma” non corrisponde una altrettanta corposa “sostanza”; a una estetica impeccabile non segue il necessario e annunciato pathos. Sulla tanto discussa svolta religiosa di Ferretti è forse il caso di fare la necessaria chiarezza: osservandone sia il percorso umano che il percorso artistico, la componente mistica è stata sempre fortemente presente. Addirittura in tempi non sospetti, il terzo disco dei CCCP (band che faceva fortemente leva sul punk, sull’oltraggio e sulla provocazione) proponeva preghiere a Maria e lettere al Papa. La tanto chiacchierata “conversione” è semplicemente un punto di arrivo di un viaggio che se esteticamente è potuto apparire anticonformista, è stato invece sempre perennemente ancorato ai sani valori che il piccolo Giovanni Lindo aveva imparato da bambino: cattolicesimo e comunismo. In questa ottica, è fondamentale il racconto della riconciliazione con la madre, forse la prima persona ad aver compreso questo fatto, e ad aver visto negli occhi di un punk una fortissima fiamma di spiritualità, decisamente rivolta verso una cristianità intransigente. E se Ferretti è definibile controcorrente, non è per i suoi trascorsi furiosamente punkettoni (in fondo cavalcava la moda del periodo), ma appunto per questa sua scelta di esilio montanaro, tra natura e preghiera. Ma proprio quando finalmente il film pare voler affrontare questi discorsi più “ardui” (vedi l’imbarazzante scena in cui Ferretti cerca di spiegare il suo concetto di Dio, chiaramente non riuscendovi), la macchina filmica frena bruscamente e appaiono in scena i tanto attesi destrieri. Da qui in poi è tutto uno spot al nuovo progetto dell’artista: la messa in scena di un teatro “barbarico” di uomini, cavalli, e montagne. Alla fine Ferretti risulta essere davvero molto simile ai suoi adorati animali: esseri dallo sguardo all’apparenza incredibilmente profondo ma incapaci di lasciar trasparire davvero le più intime emozioni.

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