In principio Jumanji, nel film originale del 1995, con protagonista Robin Williams, era un gioco da tavolo. Era una grossa scatola di legno che conteneva un vero labirinto, le pedine tremavano ad ogni mossa e il tamburo scuoteva la realtà dei malcapitati giocatori costretti a finire il percorso, pena l’essere intrappolati nel gioco o la morte stessa. Nell’azzardato remake di Jake Kasdan Jumanji- Benvenuti nella Giugla, si manifesta sotto la forma di un videogioco “antico” (addirittura a cassette!) dove la modalità è sempre la stessa, dalla trappola si esce solo usando le proprie abilità e imparando a collaborare con gli altri. Spencer è un liceale nerd e sfigato, Fridge è il suo migliore amico cool che non lo fila più se non per copiare i suoi compiti in classe. Martha è la tipa strana e alternativa, Bethany è l’ochetta più bella della classe. Tutti finiscono in punizione per ragione diverse, costretti dal preside della scuola a spillare noiosi documenti. La curiosità li spinge ad accendere Jumanji, un videogame abbandonato dalla grafica 2D vintage e superata. Ognuno sceglie un personaggio (alcuni lo fanno con troppa leggerezza) con delle abilità specifiche e tutti vengono risucchiati dal gioco. Si ritrovano nella giungla, popolata da ippopotami assassini e motociclisti pazzi (Mad Max insegna) con le sembianze dei loro avatar. Spencer magrolino e intellettuale si ritrova (letteralmente) nel corpo di The Rock, Martha diventa una letale Femme Fatale (Karen Gillian), Fridge al contrario si ritrova chili di muscoli in meno e la sua altezza proporzionata al suo cervello (l’attore è Kevin Hart) alla stupida Bethany va peggio di tutti e le tocca l’aspetto di un esploratore cicciottello e codardo (Interpretato dal comico Jack Black). Tra le insidie che li aspettano un giovane Van Pelt (Bobby Cannavale) il cacciatore, il cattivo principale della storia, il boss finale. Gli stereotipi fungono alla morale: non è l’aspetto esteriore che conta, ma l’amicizia e il lavoro di squadra. Tutto fila liscio, l’avventura è una pallida imitazione dei classici di genere tra Indiana Jones (1981) e il primo film a cui fa riferimento. Manca però di quella “sospensione” che lasciava lo spettatore senza fiato, guardando i protagonisti aggrappati a misere speranze per uscirne vivi, una fortmula che il pubblico adolescente di questa generazione ha conosciuto con la quadri-logia di Hunger Games (2012-2014). La CGi e il green screen la fanno da padrone nella realizzazione delle tante esplosive sequenze d’azione ma la giungla è reale, il film è stato girato alle Hawaii. Adatto ad ogni età questo Remake non fa paura, non cerca l'effetto novità ed è puro, goliardico intrattenimento.
Stiamo attraversando un periodo storico culturale in cui è impossibile non accorgersi che la pop-cultura, ha preso piede su ogni campo. Passioni coltivate con sofferenza dai nostri bisnonni (perlopiù americani e giapponesi) a partire da gli anni ‘60, oggi espressione di vanto e simbolo di una generazione che ama definirsi “geek”. Una lunga strada su cui hanno viaggiato ogni tipo di media: dalla musica ai fumetti, dai telefilm ai videogiochi, fino alla realtà virtuale. Il cinema e la letteratura, hanno da sempre alimentato questo fuoco, portando nelle case di tutti, personaggi e storie che nella maggior parte dei casi non si possono non conoscere e sono impossibili da dimenticare. Steven Spielberg padre fondatore, della generazione, che sogna dinosauri e idoli d’oro, si è portato avanti e qualche anno (o forse mese!) prima che in ogni casa, come è stato per i telefoni cellulari, ci sia un visore VR (ora proprietà solo dei pionieri, disposti a spendere qualche centinaio di euro per stare al passo con le lotte di mercato delle grandi case produttrici) sceglie di adattare, con genuino stupore dell’autore stesso, Ernest Cline, il libro Ready Player One (2010) come veicolo per consacrare questa realtà e aprire gli occhi di ogni possibile fruitore. Siamo nel 2045, il giovane Wade (Tye Sheridan) vive come gran parte del resto del mondo, nello scheletro di un grattacielo, lo sfruttamento delle risorse globali ha arricchito pochi e impoverito molti. Uno scenario apocalittico. C’è una via di fuga: Oasis, la realtà virtuale. Il suo creatore e progettista Halliday (Mark Rylance) alla sua morte, ha disposto che il suo degno successore sarà la persona che attraverso indizi e “Easter egg”, riuscirà a trovare tre chiavi magiche all’interno del suo massificato videogioco ottenendo come premio finale la sua fortunata compagnia. Wade, meglio conosciuto con le sembianze del suo alter ego arturiano Parzival, il suo amico Aech, e la bellissima Art3mis (Olivia Cooke) sono solo tre dei miliardi di giocatori che tentano l’ardua impresa, motivati dalla passione e dalla nobile intenzione di migliorare il proprio futuro, al contrario Nolan Sorrento (Ben Medelsohn) il capo della IOI (Innovative Online Industries) cerca di privatizzare Oasis, per il proprio tornaconto monetario. L’intera vicenda, viene narrata attraverso citazioni e riferimenti che coprono uno spettro impressionate di tempo, da scovare e riconoscere, così da coinvolgere lo stesso spettatore nella caccia al tesoro, sorprendetemene accessibile a tutti. Questa caratteristica non è unica: la saga di Matrix (1999) contava “più riferimenti di quanti se ne potessero trovare” secondo le registe, parodie animate dal demenziale South Park (in particolare le puntate di “Imagination Land” del 2007) e i due lungometraggi 3D dedicati ai mattoncini: The Lego Movie (2014) e Lego Batman-il film (2017) sono solo tre degli esempi in cui, la stessa formula era stata vincente. Spielberg però fa di più: porta il tutto ad un livello di credibilità superiore a suo gusto, dove la realtà non perde il suo spessore e il virtuale non viene condannato. Prende il nostro immaginario e lo riprogramma come un suo classico, contenente tutta la sua sapienza nel fare cinema. Il mondo è pronto a seguire il primo giocatore.
Recensione di Francesca Tulli
"Presuntuoso, strapezzente e cafone" così Han Solo venne descritto, dalla sua amata principessa Leia in “Star Wars Episodio V: L'Impero Colpisce Ancora" (1980). Orgoglioso ma dal grande cuore Han, è uno dei personaggi più amati della Saga. Oggi Ron Howard ripercorre la sua gioventù nel suo “Solo: A Star Wars Story”. Siamo nei bassifondi di Corellia, un pianeta povero, gli abitanti sopravvivono grazie al contrabbando: scambiano oggetti di valore per guadagnarsi da vivere. Due innamorati sognano un futuro migliore. Lei Qui'Ra (Emilia Clarke) è una ragazza spregiudicata, lui Han (Alden Ehrenreich) uno spericolato pilota. Vengono separati alla frontiera, Han finisce con l' Iscriversi all'accademia Imperiale dove conosce l'orrore della guerra. Saranno Tobias Beckett (Woody Harrelson) e la sua banda di pirati a tirarlo fuori dal fango. Han però non può sapere che dopo questo fortuito incontro, dovrà vedersela con l'organizzazione criminale Alba Cremisi retta dal dallo spietato Dryden Vos (Paul Bettany) e non potrà più fidarsi di nessuno. 'Solo' è il secondo spin-off dopo il memorabile “Rogue One” (2016). Nonostante non abbia gli stessi toni drammatici e lo stesso pathos, mantiene le stesse atmosfere, quelle tipiche di 41 anni fa. Gli scenari trasudano fumo e polvere, come in un western. La regia cerca di rievocare di continuo delle scene iconiche della vecchia trilogia, e omaggia finale de 'Il buono, il brutto, il cattivo' di Sergio Leone. Chi non ha familiarità con Star Wars, lo troverà un film godibile d’avventura al contempo i fans potranno riconoscere le citazioni sparpagliate qua e là e avranno, la soddisfazione di vedere come il protagonista abbia fatto la leggendaria "Rotta di Kessel in meno di 12 parsecs" e abbia messo le mani sul Millennium Falcon l'astronave di Lando Calrissian (interpretato qui da Donald Glover). La persistente colonna sonora è firmata da John Powell e vanta anche il tema principale composta dallo stesso John Williams. Una nota di merito va spesa per il dipartimento responsabile della creazione delle creature e degli alieni, che hanno plasmato con le tecniche tradizionali (pupazzi e anima-troni della vecchia scuola) e la CGi un mix perfetto. Il film ha avuto un cambio di regia (inizialmente affidata a Phil Lord e Chris Miller) per questo probabilmente ha una risoluzione frettolosa sul finale, ma non è privo di sorprese e colpi di scena. Il protagonista risente del confronto con l'equiparabile Harrison Ford, ma dà il suo massimo. Lontanissimo dal gusto di “Episodio VIII: Gli ultimi Jedi” (2017), è stato pensato per un pubblico di appassionati, non cerca la novità, ma da forma, alle scene soltanto immaginate nelle menti dei fans, che non avrebbero mai sognato di vedere le avventure solamente accennate dai racconti dei protagonisti prendere vita sullo schermo. Nostalgia e puro intrattenimento.