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Visualizza articoli per tag: final portrait

Final Portrait

Sabato 25 Febbraio 2017 22:00
Parigi, 1964. James Lord (Armie Hammer, The Social Network - 2010), giovane scrittore americano, viene invitato dall’amico Alberto Giacometti (Geoffrey Rush, Il discorso del Re - 2010), a posare per un ritratto. Lusingato dalla proposta dell’artista svizzero/italiano, accetta di buon grado. James, amante dell’arte, si presenta due giorni nel laboratorio del pittore, convinto che bastino per compiere l’opera. Ma non ha fatto i conti con l’animo tormentato dell’autore. Non bastano venti giorni per terminare il dipinto e James è costretto a posticipare il ritorno in patria. Durante queste settimane di continui rifacimenti della tela, lo scrittore vive tutte le contraddizioni che albergano nel cuore di Giacometti. Processi artistici che sono frutto di un pronunciato ascetismo e della ricerca maniacale di una realtà totale. Final Portrait racconta una piccola porzione di vita del grande artista Giacometti (non solo pittore, ma anche scultore). James si presta da Virgilio, accompagnando lo spettatore nei meandri dell’esistenzialismo e del surrealismo di questo indiscusso maestro. Tra le vie di Parigi, nei suoi bar, nei suoi bordelli e tra le mura grigie della casa dello scultore conosciamo anche le sue persone. Figure che incrementano, mitigano e soffocano il suo genio: l’amante Caroline (Clémence Poésy), l’indulgente fratello Diego (Tony Shalhoub) e la moglie Annette (Sylvie Testud).   
 
Final Portrait, in concorso al Festival di Berlino 2017, è scritto e diretto da Stanley Tucci (attore da anni sulla breccia, grazie alla sua spiccata versatilità). La pellicola si basa sul libro di memorie dello scrittore americano James Lord. Spiccatamene teatrale (lo studio di Giacometti è il palcoscenico dove si svolge buona parte dell’opera), Final Portrait è una sorta di biopic, con luci ed ombre. 
 
Le luci, inversamente proporzionali, le troviamo nello studio del grande artista. Lì risiede tutto il concetto e l’arte di Giacometti: nella riuscita scenografia di James Merifield (Le regole del Caos – 2014, Mortdecai – 2015). Il respiro del film, che rispecchia nel totale il maestro, esce grazie al design scelto per descrivere il suo ambiente di lavoro. I muri grigi, le grandi finestre sporcate di pioggia, le tele impolverate, i pennelli ferrigni e l’argento del denaro disseminato a caso, rendono tutto così viscerale e sono in perfetta simbiosi con l’onnipresente sigaretta tra le labbra dello scultore e le sue originali figure allungate. Un grigio perenne e claustrofobico, che inghiotte l’anima e brucia dentro. Nel suo laboratorio troviamo Giacometti, il suo modus operandi tumultuoso, caotico e a tratti disastroso.
 
Le ombre sono evidenti nella sceneggiatura e soprattutto nella regia. Tucci dimostra tecnica, ma poco estro. La sua è una direzione spenta, che si ostina ad inquadrare intimamente senza realmente estrarre dai personaggi. Non troviamo l’uomo Giacometti e solo a sprazzi l’artista. Si perché, il regista si limita ad etichettare e non ad esaltare, candendo nello stereotipo dell’artista bevitore e donnaiolo. L’arte di Alberto Giacometti è molto di più e qui esce solo in parte.            
 
Un film spaccato in due. Quel senso di incompiuto, in realtà non è legato al dipinto di James, ma piuttosto al film, che lascia lo spettatore privo della meraviglia, gridando così all’occasione sprecata. Final portrait non dipinge un quadro memorabile su quella grande tela che è la pellicola cinematografica. Non basta un immenso Geoffrey Rush per salvare la pellicola, dove sono presenti tangibili e visibili imperfezioni. L’attore australiano è come sempre immenso, un genio attoriale ruvido e burbero, che strappa meritati sorrisi e consensi.
 
 
David Siena