Anni Settanta. Durante l'epoca d'oro della Formula 1, esplode la leggendaria rivalità tra i due piloti più talentuosi del momento, Niki Lauda e James Hunt.
Lauda, rigoroso e calcolatore, ed Hunt, playboy sopra le righe, sfideranno loro stessi e la morte senza esclusione di colpi, fino all'incredibile dramma che avrebbe avuto luogo al Gran Prix di Germania nel 1976.
La regia di Ron Howard, cineasta fra i più attivi ad Hollywood ma, paradossalmente, anche quello che ha lasciato meno in termini contenutistici al cinema americano, si dimostra pressoché insignificante nei toni di una stucchevole retorica strappalacrime; le solenni musiche di Hans Zimmer - non più brillante come un tempo - ne sono la prova, il tutto è appesantito da un ammiccante e strategico montaggio serrato, infarcito di schematica faciloneria patinata, nel tentativo di donare a tutti i costi il pathos di cui risulta priva la narrazione.
A parte la chioma sbarazzina di Hemsworth/Hunt, il film contiene poco degli anni che racconta; vista la sterile caratterizzazione scenica, la storia potrebbe essere ambientata benissimo ai giorni nostri. Non basta nemmeno qualche canzonetta inserita sporadicamente a raccontarli, quei famosi anni Settanta.
Uno sguardo più approfondito va dato ai protagonisti, se Daniel Brühl (Lezioni di sogni, Intruders) riesce a immergersi perfettamente nella figura di Lauda, incarnandone il rigore e pragmatismo, Chris Hemsworth (Thor, The Avengers) in comune con Hunt sembra avere solo il fluente taglio di capelli; a confronto con la figura trasgressiva e rock del pilota, l'attore risulta solo un dandy con la pelle curata non soddisfacendo mai completamente l'inquietudine di fondo che contraddistingue il personaggio. Un ottimo Pierfrancesco Favino riesce a caratterizzare il personaggio del pilota Clay Regazzoni più di quanto lo sia nella sceneggiatura. Non si può dire altrettanto di Olivia Wilde e Alexandra Maria Lara, rispettivamente nel ruolo di Suzy Miller e Marlene Lauda, i grandi amori di James e Niki che, nonostante la centralità delle loro figure nella vita dei protagonisti, rimangono purtroppo assenti e marginali nella narrazione.
Il lavoro di trasposizione dello sceneggiatore e drammaturgo Peter Morgan (Frost/Nixon - Il duello, Hereafter) sembra spesso altalenante, anche se la storia dei due piloti rimane di per sé intensa e leggendaria.
Howard si dimostra anche in questo caso niente più di un regista-esecutore, che anche quando gli capita di avere fra le mani buoni script, si limita ad assemblare prodotti di un'intensità fasulla, senza anima né passione, se non quella che si ostina a inculcare sistematicamente nello spettatore attraverso mezzucci visti e rivisti e una procedura impostata come quella di una catena di montaggio.
Un film veloce, come le adrenaliniche corse rappresentate, ma che finisce lì, dopo la bandiera a scacchi del traguardo, rimanendo l'ennesimo biopic hollywoodiano un po' lacrimoso.
Angelo Santini