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01 Nov

Spider Baby Or, The Maddest Story Ever Told

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Tanti effetti digitali e spesso poche idee. Non si può dire che tutto il cinema fantastico attuale, soprattutto quello horror, sia riassumibile in queste poche parole, ma probabilmente si può dire che il genere abbia vissuto tempi migliori, come lo testimoniano i tanti, troppi, remake che hanno invaso le sale negli ultimi anni. Una death valley di ispirazioni che riflette un orizzonte culturale apatico, in cui tutto sembra essere stato già detto e in cui regna un immaginario piatto, maldestramente camuffato con una tridimensionalità spesso posticcia. Ecco la ragione per cui, andando a scavare nel cinema del passato, diventa improvvisamente più facile trovare delle piccole pepite dove tanti anni fa si pensava di riuscire a trovare solo sassi. Quello che state per leggere è un omaggio a un vecchio film, del quale solo recentemente è stata realizzata una versione in dvd per l'Italia, che merita di essere recuperato.

 
Un libro. Un sedicente “Dizionario delle malattie rare e bizzarre”. Così veniamo a conoscenza della terribile “Merrye Syndrome”, che causerebbe una progressiva regressione fino a una condizione precedente alla nascita. Una sorta di bestialità “pre-umana”, caratterizzata da violenza feroce e cannibalismo. Il nome di questa involuzione deriva da quello dell'unica famiglia nella quale sia stata mai riscontrata: quella dei Merrye. Una premessa abbastanza macabra per un film horror. Tuttavia, molto meno ingenua di quanto possa sembrare: un caso di autentica crisi schizofrenica analoga è riportato in un libro del celebre psichiatra Ronald David Laing, The politics of experience [La politica dell'esperienza], scritto nel 1967, tre anni dopo la realizzazione di Spider Baby. E un soggetto  curiosamente simile lo ritroveremo poi nel capolavoro di Ken Russell del 1980, Altered States [Stati di Allucinazione], che sembra unire la “sindrome dei Merrye” con alcuni elementi del lavoro di Laing (psicosi, espansione della coscienza, sperimentazione psichedelica) e con gli studi sulla deprivazione sensoriale condotti da John Cunnigham Lilly. Singolari interconnessioni (involontarie) per quello che, in fondo, rimane un “semplice” exploitation movie dal budget quasi inesistente, girato in sette giorni e uscito sul grande schermo solo quattro anni dopo, nel 1968, a causa del fallimento del suo produttore. I toni da commedia nera, del resto, sono chiari fin dai fantastici titoli animati di testa, cantati dallo stesso  protagonista Lon Chaney Jr. (non sarebbe sufficiente solo questo per vedere il film?), sulla falsariga di Monster Mash, tormentone pop-horror del 1962. Ma sarebbe ingiusto liquidare in questo modo una pellicola che, a ben vedere, offre parecchi spunti di riflessione.
La storia è incentrata su un tòpos molto diffuso nell'iconografia horror: la famiglia degenerata, alveare di follia psicotica e violenza incontrollabile. L'abbiamo vista in tante salse: dalla versione televisiva più innocua della Addams Family  e dei Munsters, passando per film come The bad seed [Il giglio nero, 1956, consigliato], Mumsy, Nanny, Sonny & Girly [1970, anche questo caldamente consigliato], fino a The hills have eyes [Le colline hanno gli occhi, classicone del 1977] o American Gothic [La casa degli orrori - American Gothic, 1988], ma la lista completa sarebbe lunga.
E la famiglia Merrye, nell'originale “Merrye family”, giocando sull'assonanza con un'espressione che si potrebbe tradurre con “allegra famigliola”, di allegro ha ben poco: due giovani sorelle psicopatiche e assassine, una delle quali, Virginia, va in giro camminando come un ragno a caccia di insetti. E di uomini. In più, un terzo fratello di poco più grande, affetto da totale demenza, completamente incapace di esprimersi se non a gesti e latrati. Una sorta di bambinone che si comporta come un animale, la cui eccitazione sessuale può scatenare improvvise reazioni bestiali. Ma la casa, se si ha il coraggio e l'incoscienza di esplorarla, nasconde segreti ancora più inquietanti. Come inquietanti sono le analogie che si possono cogliere fra uno degli omicidi perpetrati nel film dalla “Merrye family” e l'omicidio autentico  dei coniugi LaBianca, realizzato solo un anno più tardi dall'uscita nelle sale di Spider Baby da  un'altra cosiddetta “family”: quella di Charles Manson. Uno dei peggiori incubi della borghesia USA appena risvegliata dalla rivoluzione lisergica. Sembra chiudersi così il cerchio che lega curiosamente il film a Laing,  Lilly e Russell: follia omicida, regressione psicologica e abuso di LSD. Senza contare che “creepy crawling” non è solo un'espressione che si adatta bene a descrivere i movimenti di un ragno, o di una ragazzina che si comporta come tale, ma è anche il modo con cui gli appartenenti al gruppo di Manson chiamavano le loro incursioni notturne nelle ville delle famiglie perbene di Los Angeles. 
Non mancano poi importanti rimandi cinematografici. Il film paga un immancabile tributo a Psycho e sembra proprio essere una fonte di ispirazione per The Texas chainsaw massacre [Non aprite quella porta, 1974], insieme ai fatti di cronaca del famigerato Ed Gein, che a sua volta è stato fonte di ispirazione anche per Psycho. Ancora una volta, tutto sembra tornare. È in questo capolavoro di Tobe Hooper che si raggiunge uno dei livelli più sublimi della famiglia malata e assassina (no, non avevo dimenticato di citarlo nella lista, aspettavo solo il momento giusto), sicuramente una delle più amate dai fan dell'horror.
Il film è scritto e diretto da  Jack Hill, autore anche di famosi blaxploitation come Coffy e Foxy Brown. Hill, fra l'altro, è stato compagno di classe alla UCLA di un certo Francis Ford Coppola. Ah, ed entrambi sono stati apprendisti di Roger Corman. Una garanzia. 
Una scorpacciata di gufi, tarantole, orecchie mozzate, personaggi con improbabili baffi alla Hitler, follie, deformità e tante connessioni per assidui cinefili e aspiranti psiconauti. Un classico a cui non si può resistere. Come è impossibile resistere all'invito di Virginia: “would you like to play spider with me?”.
 
Marco Pisano

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