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22 Gen

Alida Valli. Gli occhi, il grido.

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A pochi mesi dal suo primo libro, Agnès Varda. Cinema senza tetto né legge, sempre pubblicato con Le Mani, il prolifico giornalista e critico Nicola Falcinella è tornato sugli scaffali con Alida Valli. Gli occhi, il grido, vera e propria epopea delle vicende personali e lavorative di una delle più grandi, amate e discusse attrici di sempre.

 

Alida Valli è normalmente considerata una delle attrici italiane con maggiore appeal internazionale, puoi spiegarci a cosa è dovuta questa fama?

Alida Valli è stata una delle attrici italiane che ha lavorato di più all’estero. Se è molto nota la sua partecipazione a “Il caso Paradine” di Hitchcock o “Il terzo uomo” di Reed è molto meno noto che ha continuato a lavorare fuori dall’Italia, soprattutto in Francia, Spagna e Sud America, per tutto l’arco della carriera. Non è un caso che il suo ultimo film, “Semana santa” del 2002, sia spagnolo.

 

Potresti tracciarci un profilo di Alida Valli e della sua lunga carriera cinematografica e teatrale?

Sicuramente la Valli fu un’attrice di grande bellezza e grande talento. Era fotogenica come poche. Fu un talento precoce, grazie anche a una maturità precoce. Attraversò anche tante vicende travagliate e tragiche, a livello personale e di carriera. Il padre, cui era molto legata, morì che era giovanissima, il suo fidanzato morì in guerra nel ’41, si è sposata e poi separata con due figli, è stata coinvolta nello scandalo Montesi e molte altre difficoltà. È caduta molte volte e sempre si è rialzata. La sua carriera è iniziata nel 1936 ed è durata fino al 2002, ha fatto 108 film per il cinema, una trentina per la tv e altrettanti spettacoli teatrali. Una carriera che ha pochi eguali.

 

Com’era, come donna e attrice, la Valli del periodo dei Telefoni Bianchi?

Era giovanissima. Era determina e pronta a cogliere le occasioni, anche perché aveva bisogno di lavorare e mantenersi, ma anche un po’ inconsapevole, almeno agli inizi, di ciò che accadeva. Solo nel ’39, e poi con la guerra, cominciò a capire davvero quel che era il fascismo. La sua fortuna fu di trovare il successo subito, al secondo film, “Il feroce Saladino”. Da lì la sua carriera prese il volo e divenne subito una stella. A 15 anni era scappata di casa, da Como, per andare a Roma e fare l’attrice.

 

Potresti tratteggiarci il suo rapporto con il fascismo e la vicenda relativa a Noi Vivi e Addio Kira?

La Valli è stata accusata più volte di legami con il fascismo che non sono mai stati provati. Quando andò a Roma a 15 anni fu ospitata per le prime settimane da un parente, il senatore Tolomei, che era fascista e forse la aiutò per il Centro Sperimentale. Altre cose non sono provate. Di certo il suo fidanzato Carlo Cugnasca era antifascista, “mi ha aperto gli occhi sul fascismo” ha detto lei più volte. Quando fu chiamata per operazioni di propaganda rifiutò e rifiutò di aderire al cinema della repubblica di Salò. È stata accusata di essere stata amante di Mussolini e dei figli, ma ha sempre negato di averlo incontrato e non ci sono riscontri. Quanto a “Noi vivi”, era un film di propaganda anti comunista che metteva alla berlina i vantaggi di cui beneficiavano i dirigenti bolscevichi. Il film uscì nel bel mezzo della guerra mondiale, in periodo di razionamenti, e gli italiani videro sullo schermo cose e ingiustizie molto simili a quelle che vivevano tutti i giorni con il fascismo. Il film si rivelò controproducente per il regime che lo ritirò dalle sale. Visto oggi è da rivalutare, ben girato e ben interpretato.

 

In termini di differenze di stile recitativo e di personalità, che raffronto è possibile fare tra la Valli e le altre grandi attrici italiane del periodo?

E’ una delle prime attrici a uscire dal Centro sperimentali e a nascere artisticamente al cinema. Per questo sa sfruttare così bene il primo piano. Oltre ad avere un viso bellissimo e uno sguardo che non si dimentica, seppe usare come poche all’epoca il primo piano. Rispetto alle altre dive dei telefoni bianchi, come Assia Noris o Maria Denis, era molto più brava. Era però diversa da Anna Magnani o le attrici che emergono nel Neorealismo, non a caso si trova un po’ fuori da quel movimento e parte per l’America. Questo anche perché, nonostante avesse solo 25 anni, la Valli alla fine della guerra si ritrova invecchiata, è sulla breccia da molto, è associata al cinema d’evasione dell’epoca fascista. Anche se lei non c’entrava nulla, la sua immagine è intaccata.

 

La Valli sarebbe stata ancora più avvantaggiata professionalmente se avesse dato maggiore adito alla carriera americana?

Non penso che avrebbe tratto vantaggio da una prosecuzione della carriera americana. David Selznick, che la chiamò a Hollywood, sbagliò strategia: non si lancia una star facendole fare come primo ruolo l'assassina peccaminosa come è la signora Paradine, specialmente nel mondo di fine anni '40. Tanto che dopo quel film la cedette "in prestito" ad altri produttori e non credette abbastanza in lei. Quindi si può dire che la strada della Valli verso la grande Hollywood ebbe subito uno stop importante. Dall'altra lei si scoprì presto allergica al sistema di pubbliche relazioni su cui è basata l'industria del cinema, i tanti impegni per party e promozione. Per questo, ma anche per ragioni personali (si era allontanata dal marito e aveva ritrovato Piero Piccioni al quale fu legata per un periodo), pagò un'ingente penale e tornò in Italia. Forse giocò anche il desiderio di mettersi alla prova in un cinema che, come disse, "mentre ero in America era diventato il primo nel mondo". E credo che un ruolo così suo come la contessa Serpieri di "Senso" difficilmente l'avrebbe trovato a Hollywood.

 

La lavorazione de Il Caso Paradine di Alfred Hitchcock fu tranquilla? Si può dire che la Valli era il tipo di attrice prediletta dal regista, sullo stile di una Tippi Hedren o, più banalmente, Grace Kelly?

La Valli arrivò a Los Angeles che la lavorazione del film era già iniziata. Nel risultano particolari problemi durante le riprese. E dopo il film l’attrice e il marito Oscar De Mejo frequentarono in più occasioni casa Hitchcock. Nel libro intervista con Francois Truffaut, il regista inglese confessa invece qualche perplessità sull’attrice. Avrebbe voluto come prima scelta Greta Garbo e poi Ingrid Bergman. La Valli era un tipo di attrice diversa dalla donna algida tanto amata sullo schermo da Hitchcock, però a mio parere nel film funziona ed è valorizzata da Hitchcock. Quel che non funziona è la trama del film, non del tutto convincente.

 

Ne Il terzo uomo, il carisma di Orson Welles finisce per dominare tutta la pellicola, tanto che molti, ancora oggi, credono che sia stato Welles a dirigere il film. Com’era, dentro e fuori dal set, il rapporto tra l’uomo e la Valli?

Welles dominò il film, improvvisò anche dei monologhi come quello celebre degli orologi a cucù. Quanto al rapporto con la Valli, ci sono varie versioni. Nel film hanno una sola scena insieme e non si vedono nella stessa inquadratura. Lei lo definì “geniale e bellissimo”, però è probabile che siano stati poco sul set insieme. Welles a quel tempo era innamorato di Lea Padovani ed era in giro per l’Europa a cercare i soldi per terminare “Othello”. È invece provato il flirt dell’attrice con il regista e forse anche con Joseph Cotten, con il quale restò amica per tutta la vita.

 

Per molti, l’interpretazione più grande della Valli è in Senso di Luchino Visconti, sei d’accordo con questa affermazione? Puoi raccontarci qualcosa dell’esperienza del film?

Sono d’accordo che sia la sua più grande interpretazione. Non per togliere qualcosa alle altre, ma perché in “Senso” la Valli diede tutto. Credo che sia uno dei più grandi film della storia del cinema e lo è anche grazie alla sua partecipazione così aderente al personaggio della contessa Serpieri. Alida capì che si trovava davanti all’occasione della vita e riuscì a rendere alla perfezione quella donna che per amore tradisce tutto quello in cui crede e inizia una parabola autodistruttiva senza ritorno. Una donna che non si risparmia e carica di contraddizioni. Le riprese del film durarono molti mesi, la Valli si rovinò anche una corda vocale per fare e rifare l’urlo per strada dopo aver compiuto la delazione verso il tenente Mahler.

 

La Valli ha lavorato con tantissimi grandi e meno grandi. Quali suoi film consiglieresti a neofiti e appassionati, citando magari anche lavori “minori” da riscoprire?

Ci sono film che andrebbero riscoperti e che non sono per nulla minori. Su tutti “L’inverno ti farà tornare” di Henry Colpi che vinse la Palma d’oro a Cannes nel ’61 e che oggi è praticamente sconosciuto e le copie introvabili. Degli stessi anni è “Ophelia” uno dei film di Claude Chabrol meno noti, una rivisitazione dell’Amleto quasi attualizzata e molto riuscita. “Noi vivi / Addio Kira!” è sicuramente un film importante e da vedere è “Eugenia Grandet” di Soldati, una delle sue interpretazioni più belle. Tra i film più recenti amo molto “La prima notte di quiete” di Zurlini, “Ce cher Victor” sorprendente commedia francese di Robin Davis del ’75. E dell’ultimo periodo “Zitti e mosca” di Alessandro Benvenuti, un film secondo me sottovalutato.

 

La partecipazione della Valli come madre di Benigni in Berlinguer ti voglio bene è la conferma della capacità dell’attrice di potersi calare in qualunque ruolo, senza aver paura di “svilire” la propria immagine: la madre di Cioni Mario/Benigni è sboccata, nostalgica, violenta, schietta… Come venne accolta da pubblico e critica questa interpretazione?

Bisogna fare una premessa. Il ruolo fu offerto prima a Valentina Cortese, che lo rifiutò sdegnata. La Valli lesse la sceneggiatura, ne fu molto divertita e accettò con entusiasmo. Questo per dare l’idea del personaggio, che, forse per l’aspetto fisico, forse per il passato, era considerata altera, mentre era ironica e pronta a mettersi in gioco. Il film con Benigni, così come “Suspiria”, la fece conoscere a un pubblico nuovo, giovane, che non se la sarebbe mai immaginata nei film del passato.

 

Proprio partendo dal film della domanda precedente, e citando anche horror come L’Anticristo, La casa dell’esorcismo e Suspiria, si può dire che la Valli è sempre riuscita ad essere cinematograficamente al passo con i tempi e con i generi che cambiavano ed evolvevano?

Più che stare al passo con i generi, la Valli ha sempre vissuto il momento. In più era spesso in difficoltà economicamente e doveva lavorare molto e accettare tutto quello che le proponevano. Per questa ragione nella sua filmografia ci sono anche titoli molto minori, che in quasi tutti i casi sono almeno nobilitati dalla sua presenza.

 

Gli ultimi anni sono stati parchi di film davvero importanti ma con diversi spettacoli teatrali di nome: pensi che la Valli riuscisse a trovarsi sia nel cinema che nel teatro o che ne preferisse uno in particolare?

La Valli ha iniziato a fare teatro solo nel ’56, quando già era una star del cinema da quasi vent’anni. Ha cominciato ad amare il palcoscenico piano piano, tanto che poi ha dichiarato essere il suo secondo amore. Ha fatto grandi spettacoli teatrali, con Chereau e con altri, e di vari generi, dal repertorio classico alla sperimentazione. I puristi del teatro non le hanno mai perdonato il fatto che non fosse nata a teatro e la sua dizione non perfetta.

 

Per finire, dopo questo libro, puoi dirci se hai già qualche nuovo progetto in cantiere?

Per ora nessun progetto concreto. Dipenderà dalle occasioni che si presentano o si possono creare. Scrivere un libro richiede moltissimo lavoro e non dà molti benefici al conto in banca…

 

Francesco Massaccesi

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