La vita sarà anche dura, ma il nostro mondo, ad un'occhiata veloce, con la sua accattivante società del consumo, sembra il paese dei balocchi: luci, benessere, divertimenti, lusso. Come farci un'idea obiettiva di questo posto quando si è ancora giovani e facilmente impressionabili? Questa contraddizione di fondo crea quel mental disorder che appare sullo schermo prima ancora che il film abbia inizio.
Trattasi di un Juno figlio delle ragazze madri dell'est europa e quindi della delusione comunista e della postconfusione capitalista.
Specialmente la generazione più giovane si è formata in un'ottica europea, sentendosi europea al di là delle appartenenze nazionali, e questo non per merito dei governi ma grazie all'effetto ryanair e erasmus. Ragazzi religiosamente ispirati da approcci alla vita edonistici e materialistici, in un mondo dove tutto sembra a portata di mano, il conto si pagherà a rate e con gli interessi per tutta la vita.
La regista sembra essersi immersa a lungo in apnea, come buona parte della nostra generazione del resto, in questo ambiente e conoscere bene ciò di cui parla. Questo è inevitabilmente un vantaggio che si riflette nella rappresentazione. C'è un vuoto incolmabile in queste esistenze, non si riesce a provare ammirazione mai, per nessuno dei personaggi, ma almeno i più giovani (questa parola non ha un significato anagrafico, ma comprende tutti coloro per cui non è arrivata la disillusione) si possono permettere di anestetizzarlo con una vita vissuta alla ricerca del piacere, attimo per attimo, bramando qualunque cosa faccia pulsare il sangue nelle vene, ricordandogli di essere vivi. Vuoti esistenziali che traboccano di vita. Tutto orbita intorno allo "stile", prerogativa irrinunciabile per i giovani, il nichilismo è tra noi e Antek, il figlio neonato di Natalia, la giovane mamma protagonista, può convertirsi in una sorta di accessorio di tendenza.
Tutto si compie paradossalmente nella più completa buona fede, anche i passaggi più agghiaccianti, come chiudere il piccolo in una borsa e questa, a sua volta, in un deposito della stazione, sono eseguiti senza la minima cattiveria da parte di Natalia.
La messa in scena e l'allestimento davanti macchina prendono il sopravvento. Le scene sono curate in maniera minuziosa, risultando veramente suggestive. Ricordano una Kira Muratova patinata ai tempi di David Lachapelle. Alcune di loro s'impressionano nella mente per la profonda componente estetica. Lei che porta il passeggino per la città in pattini, emblema della ribellione adolescenziale è favolosa, il gruppo di amici per la consegna dei regali nel bar, Natalia che prova un vestito chiacchierando con l'amica, straripano tutte di personalità e si potrebbe andare avanti rievocando buona parte del film. I colori sono accesissimi e parlano giovane, pop e lollipop. Perfino il gesso di Kuba è di un azzurro incantato che picchia con la realtà vissuta dai protagonisti. Una condizione sottolineata e accentuata anche da inquadrature lunghe, quasi piani sequenza, che spesso a fine scena subiscono tagli bruschi, sporchi e a nero, molto funzionali. Gli attori, quasi tutti esordienti sul grande schermo, sembrano interpretare se stessi senza bisogno di sforzarsi.
Per quanto riguarda la sceneggiatura rimangono un po' inspiegabili alcune scelte forti e ad effetto dei personaggi, ma, almeno nella prima metà, non fanno altro che evidenziare il vuoto protagonista e la sensazione che i personaggi danno di essere del tutto in balia degli eventi della vita. Si può parlare di intuizioni riuscite. Mentre nella seconda parte la parabola scade un po', viene esasperata, forse per quella avversione nei confronti del lieto fine, del tutto comprensibile del resto, radicata nel cinema indipendente che però qui porta ad un rocambolesco sad-end con la protagonista che sembra non aver imparato nulla dall'esperienza di vita raccontata e non essere cambiata.
Ciò, francamente, data la storia a cui si è assistito con piacere, sembra un po' inaccettabile.
Kami Fares
“The girl from the wardrobe” rappresenta l’esordio alla regia di un autore a cui l’etichetta “indie” non potrebbe calzare meglio. Capace di concepire e costruire una storia difficilmente decodificabile tramite le categorie dei generi classici, Bodo Kox compie un’operazione cinematografica inusuale ed affascinante, che lo porta ad aggiudicarsi il primo premio del RIFF 2014 nella categoria Feature Film Competition. Intrecciando le vite dei fratelli Jacek e Tomek, visceralmente legati l’uno all’altro, con quella di Magda, silenziosa ed enigmatica ragazza della porta accanto, il lungometraggio costruisce un racconto a tre in cui emergono nuove forme di socialità entro gli sterili rapporti umani che intuiamo dispiegarsi intorno a loro
La XXII° edizione del RIFF Awards - Rome Independent Film Festival, si svolgerà a Roma dal 16 al 24 novembre 2023 a impazzo zero con oltre 80 opere contemporanee in concorso tra anteprime Europee e Mondiali.
In anteprima italiana: 4 Lungometraggi internazionali, 6 lungometraggi italiani, 12 Documentari, 50 Cortometraggi (25 italiani - 25 internazionali), 8 Video animati.
Tra i film di finzione in concorso: Andrà tutto bene di Alessio Gonnella, Ciuré di Giampiero Pumo, L’Anima in Pace di Ciro Formisano, L’altra luna di Carlo Chiaramonte (Italia/Bosnia ed Erzegovina). Tales Of Babylon di Pelayo de Lario (UK). White Paradise di Guillaume Renusson (Francia). Kemba di Kelley Kali (USA). Rosie di Gail Maurice (CA).
Dieci i documentari in concorso: Primo - Sempre Grezzo di Guido Maria Coscino, /Ma·tri·mò·nio/ di Gaia Siria Meloni. Dinos Dark Room di Corrado Rizza, L’interruttore di Antonio Catanese, Malavita di Paolo Colangeli, Tutto è qui di Silvia Luciani, Light Falls Vertical di Efthymia Zymvragaki (Spagna, Germania, Italia, Olanda). Documerica, Self-Portrait of A Nation on The Brink di Pierre-Francois Didek (France). Timekeeper di Kristina Paustian (Germania, Italia, Russia). Planet B di Pieter Van Ecke (Belgio).
Tra gli eventi del Festival: Il Focus: A Sense of Place il Documentario Antologico formato da Wim Wenders (Germany, France, Iran) con la regia di 6 registi. Un programma creato da Afsun Moshiry in collaborazione con la fondazione Wim Wenders.
La giuria di quest’edizione è composta da professionisti del settore: gli attori Manuela Mandracchia e Antonio Folletto, l’aiuto regista Alberto Mangiante, Luca Mezzaroma, Executive Producer di Lotus Production, il musicista Massimo di Rocco, il direttore casting Davide Zurolo, Viba Diba, architetto e Product Manager, Pegah Moshir Pour, Social Media Marketing, Ruben Maria Soriquez (attore).
Tra le location oltre al Nuovo Cinema Aquila, che rimane il luogo principale del festival, c’è il Cinema Troisi che ospiterà alcune serate evento; il programma sarà arricchito da alcune masterclass, laboratori e pitch, che si terranno in sala e alla Biblioteca di Roma Mameli e alla Biblioteca di Roma Collina della Pace.
Il Festival, a cura dell’Associazione Culturale RIFF, è realizzato con il contributo e il patrocinio della Direzione Generale Cinema - Ministero della Cultura, dell’Assessorato alla Cultura e Politiche Giovanili della Regione Lazio. Il progetto, promosso da Roma Capitale - Assessorato alla Cultura, è vincitore dell'Avviso Pubblico biennale “Culture in Movimento 2023 - 2024” curato dal Dipartimento Attività Culturali e realizzato in collaborazione con SIAE