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ALICE E' POST MODERNA

Venerdì 03 Febbraio 2012 17:38 Pubblicato in Concorsi

Scade il: 30/04/2012

Al MAshRome Film Fest mash up sul tema: le intuizioni di Lewis Carroll come chiave di lettura della modernità. Alice, il Bianconiglio, la regina di cuori, il gatto del Cheshire, il Cappellaio matto e tutte gli altri protagonisti della favola sono gli avatar che possono guidarci nel viaggio di esplorazione della nostra società oggi così connessa ma così fragile. La sfida che viene proposta è  raccontare le molte facce di quest’epoca sospesa, lasciandosi ispirare dai personaggi della favola “Alice nel Paese delle Meraviglie”, rivisitando le decine e decine di opere audiovisive su Alice (film, fumetti, videogiochi, videoclip, canzoni), destrutturandole, ricomponendole, aggiungendovi immagini e suoni. Il concorso è promosso dal MAshRome Film Fest e Cineama.it. Per partecipare bisogna realizzare un video remix/mash up di massimo 30 minuti che segua e interpreti il tema proposto raccontando storie, sogni e incubi della società postmoderna. La giuria formata da Marco Minghetti, cineama.it e MAshRome Film Fest selezionerà le tre opere finaliste che concorreranno al premio finale assegnato dal pubblico in sala.

Info: www.mashrome.org

VIEW AWARDS

Venerdì 03 Febbraio 2012 17:33 Pubblicato in Concorsi

Scade il: 15/09/2012

È possibile inviare i propri lavori per il VIEW AWARD 2012, festival dell’animazione digitale, organizzato dalla VIEW Conference, che si svolgerà dal 19 al 21 ottobre 2012. Come è stato per gli ultimi anni, VIEW includerà lavori sia di studenti sia di professionisti, aprendosi anche a nuovi temi e nuovi soggetti. Per partecipare bisogna inviare un cortometraggio con animazioni 3D o con effetti visivi, realizzato tra il 2011 e il 2012, insieme all’entry form da compilare nel sito. Le categorie sono: Miglior Cortometraggio; Miglior Design di un Ambiente; Miglior Personaggio e Migliori Effetti Visivi, Dedicato alla miglior sequenza di effetti visivi digitali usati in un’animazione di computer grafica o in un cortometraggio live-action, i VFX possono essere realizzati con qualunque software di grafica 3D e compositing. Le opere verranno giudicate sulla base di criteri di eccellenza tecnica, originalità, creatività, e coerenza con la struttura narrativa del cortometraggio. Il primo premio sarà di 2.000 euro.

Info: www.viewfest.it

SHAME

Martedì 24 Gennaio 2012 13:34 Pubblicato in Recensioni

Attesissimo da settembre, dall'ultimo Festival di Venezia, arrivato in sala e finalmente visto ieri sera il secondo film del giovane regista inglese Steve McQueen del quale forse non si sa molto ma del quale sicuramente resta impossibile dimenticarne il nome.
Impossibile da dimenticare anche il titolo del film e finalmente un applauso alla BIM che lo ha distribuito senza aggiungere, tradurre o manipolare nulla. Un titolo che racchiude come vedremo l'essenza del film. Secondo plauso agli amici del Nuovo Sacher che hanno aumentato a due i giorni di proiezione in versione originale del film e questa per i puristi del Cinema è gioia vera, inoltre lunedì e martedì sono anche a mio avviso i due giorni più belli per frequentare le sale.
Detto questo tornerei alla presentazione dell'autore di "Shame", il giovane englishman di origine africana dal nome e cognome così hollywoodiani. Steve McQueen si era presentato quattro anni fa vincendo la Caméra d'Or per la migliore opera prima al 61° Festival di Cannes con "Hunger" ispirato alle ultime settimane di vita di Bobby Sands, interpretato dal tedesco Michael Fassbender all'epoca ancora poco conosciuto e che anche in "Shame" è protagonista assoluto della storia e della scena.
"Shame" è totalmente ambientato a New York e narra la via senza ritorno di Brandon, un uomo totalmente in preda all'idea e alla pratica del sesso. La sua "malattia" del sesso è vissuta in maniera insaziabile con prostitute, donne e uomini occasionali, riviste, siti hard o addirittura in momenti inaspettati da solo sotto la doccia o andando a urinare durante una pausa di lavoro. Chi aprirà la valvola alla pressione della macchina-Brandon sarà l'arrivo in città della sorellina Sissey, una fragile, dolcemente ingrassata Carey Mulligan che ha molti aspetti in comune con l'Irene di "Drive".
Come "Hunger" anche "Shame" è ambientato in uno spazio temporale estremamente ridotto e ha una connotazione fortemente "British" a cominciare dalla fotografia e dalla non-necessità di esplicare tutto con la sceneggiatura. Ecco. Ho appena fatto riferimento a uno degli elementi che daranno a questo film il mio alto gradimento: se forse il plot di "Shame" è fin troppo chiaro e privo di colpi di scena è vero che molte inquadrature (e almeno tre o quattro in particolare) sono splendide evocazioni e suggestioni che il regista ci da l'opportunità di riuscire a cogliere in perfetta autonomia di visione grazie a una fotografia asciutta, primi piani soffertissimi e mai "lacrimosi", carrellate sulle vie di una New York notturna che dai tempi di "After hours" di Scorsese non rivedevo (e che mi chiedo se Woody Allen abbia mai vista) e infine a una scelta delle musiche, sia quelle originali di Harry Escott che i motivi classici di J.S.Bach, che danno un senso doloroso ma profondamente spirituale al calvario di Brandon.
Brandon è incapace d'amare e addirittura di corteggiare. Se ci prova fallisce anche in quello che è il suo "impegno" quotidiano, la sua attività principale. L'unica persona che può farlo piangere o arrabbiare è Sissey che in una bellissima e jazzata versione di "New York, New York" riuscirà anche a smuovere quella pietra di suo fratello. Si, perché il testo di questa canzone che tutti noi fischiettiamo allegramente è in realtà il rovescio della medaglia di una città che dietro le luci e i divertimenti a portata di mano nasconde gli affanni e le frustrazioni di tante singole persone.
Altro grande merito del film oltre allo stile artistico e alla bravura di un Michael Fassbender giustamente premiato con la Coppa Volpi è senz'altro la scelta più che coraggiosa del soggetto. Se fino a oggi la sesso-mania o comunque la necessità del sesso come unico elemento vitale per nascondere altre mancanze era stata narrata (e in alcuni film anche molto bene) in versione di legame di coppia ecco che il regista inglese focalizza il tutto su un solo personaggio che sicuramente qualcosa di brutto nella propria infanzia avrà pur vissuto (lo si intuisce da una frase della sorella nel finale del film "Noi non siamo brutti, siamo cresciuti in posti brutti").
Se capolavori come "L'impero dei sensi" o "Ultimo tango a Parigi" e più recentemente "Une liaison pornographique" o anche "Intimacy" hanno splendidamente raccontato questo tema riguardo la coppia, non ricordo film di questo livello puntati su un singolo, sulla dipendenza dal sesso in una realtà solitaria come quella vista ieri sera in "Shame".
La disperazione di un uomo che anche quando per un attimo o per un giorno decide di buttare via tutto per pensare ad altro, non trova niente intorno che possa sostituire la "droga" della quale è ormai schiavo. E come per i drogati incalliti non c'è più soddifazione neanche appena assunta l'ennesima dose ma solo all'idea di procurarsela così in quel preciso momento, in quello che dovrebbe essere il momento del godimento, del piacere c'è la smorfia di dolore di Brandon.
E della sua infinita solitudine. Chapeau!

Marco Castrichella

Alida Valli. Gli occhi, il grido.

Domenica 22 Gennaio 2012 23:20 Pubblicato in News

A pochi mesi dal suo primo libro, Agnès Varda. Cinema senza tetto né legge, sempre pubblicato con Le Mani, il prolifico giornalista e critico Nicola Falcinella è tornato sugli scaffali con Alida Valli. Gli occhi, il grido, vera e propria epopea delle vicende personali e lavorative di una delle più grandi, amate e discusse attrici di sempre.

 

Alida Valli è normalmente considerata una delle attrici italiane con maggiore appeal internazionale, puoi spiegarci a cosa è dovuta questa fama?

Alida Valli è stata una delle attrici italiane che ha lavorato di più all’estero. Se è molto nota la sua partecipazione a “Il caso Paradine” di Hitchcock o “Il terzo uomo” di Reed è molto meno noto che ha continuato a lavorare fuori dall’Italia, soprattutto in Francia, Spagna e Sud America, per tutto l’arco della carriera. Non è un caso che il suo ultimo film, “Semana santa” del 2002, sia spagnolo.

 

Potresti tracciarci un profilo di Alida Valli e della sua lunga carriera cinematografica e teatrale?

Sicuramente la Valli fu un’attrice di grande bellezza e grande talento. Era fotogenica come poche. Fu un talento precoce, grazie anche a una maturità precoce. Attraversò anche tante vicende travagliate e tragiche, a livello personale e di carriera. Il padre, cui era molto legata, morì che era giovanissima, il suo fidanzato morì in guerra nel ’41, si è sposata e poi separata con due figli, è stata coinvolta nello scandalo Montesi e molte altre difficoltà. È caduta molte volte e sempre si è rialzata. La sua carriera è iniziata nel 1936 ed è durata fino al 2002, ha fatto 108 film per il cinema, una trentina per la tv e altrettanti spettacoli teatrali. Una carriera che ha pochi eguali.

 

Com’era, come donna e attrice, la Valli del periodo dei Telefoni Bianchi?

Era giovanissima. Era determina e pronta a cogliere le occasioni, anche perché aveva bisogno di lavorare e mantenersi, ma anche un po’ inconsapevole, almeno agli inizi, di ciò che accadeva. Solo nel ’39, e poi con la guerra, cominciò a capire davvero quel che era il fascismo. La sua fortuna fu di trovare il successo subito, al secondo film, “Il feroce Saladino”. Da lì la sua carriera prese il volo e divenne subito una stella. A 15 anni era scappata di casa, da Como, per andare a Roma e fare l’attrice.

 

Potresti tratteggiarci il suo rapporto con il fascismo e la vicenda relativa a Noi Vivi e Addio Kira?

La Valli è stata accusata più volte di legami con il fascismo che non sono mai stati provati. Quando andò a Roma a 15 anni fu ospitata per le prime settimane da un parente, il senatore Tolomei, che era fascista e forse la aiutò per il Centro Sperimentale. Altre cose non sono provate. Di certo il suo fidanzato Carlo Cugnasca era antifascista, “mi ha aperto gli occhi sul fascismo” ha detto lei più volte. Quando fu chiamata per operazioni di propaganda rifiutò e rifiutò di aderire al cinema della repubblica di Salò. È stata accusata di essere stata amante di Mussolini e dei figli, ma ha sempre negato di averlo incontrato e non ci sono riscontri. Quanto a “Noi vivi”, era un film di propaganda anti comunista che metteva alla berlina i vantaggi di cui beneficiavano i dirigenti bolscevichi. Il film uscì nel bel mezzo della guerra mondiale, in periodo di razionamenti, e gli italiani videro sullo schermo cose e ingiustizie molto simili a quelle che vivevano tutti i giorni con il fascismo. Il film si rivelò controproducente per il regime che lo ritirò dalle sale. Visto oggi è da rivalutare, ben girato e ben interpretato.

 

In termini di differenze di stile recitativo e di personalità, che raffronto è possibile fare tra la Valli e le altre grandi attrici italiane del periodo?

E’ una delle prime attrici a uscire dal Centro sperimentali e a nascere artisticamente al cinema. Per questo sa sfruttare così bene il primo piano. Oltre ad avere un viso bellissimo e uno sguardo che non si dimentica, seppe usare come poche all’epoca il primo piano. Rispetto alle altre dive dei telefoni bianchi, come Assia Noris o Maria Denis, era molto più brava. Era però diversa da Anna Magnani o le attrici che emergono nel Neorealismo, non a caso si trova un po’ fuori da quel movimento e parte per l’America. Questo anche perché, nonostante avesse solo 25 anni, la Valli alla fine della guerra si ritrova invecchiata, è sulla breccia da molto, è associata al cinema d’evasione dell’epoca fascista. Anche se lei non c’entrava nulla, la sua immagine è intaccata.

 

La Valli sarebbe stata ancora più avvantaggiata professionalmente se avesse dato maggiore adito alla carriera americana?

Non penso che avrebbe tratto vantaggio da una prosecuzione della carriera americana. David Selznick, che la chiamò a Hollywood, sbagliò strategia: non si lancia una star facendole fare come primo ruolo l'assassina peccaminosa come è la signora Paradine, specialmente nel mondo di fine anni '40. Tanto che dopo quel film la cedette "in prestito" ad altri produttori e non credette abbastanza in lei. Quindi si può dire che la strada della Valli verso la grande Hollywood ebbe subito uno stop importante. Dall'altra lei si scoprì presto allergica al sistema di pubbliche relazioni su cui è basata l'industria del cinema, i tanti impegni per party e promozione. Per questo, ma anche per ragioni personali (si era allontanata dal marito e aveva ritrovato Piero Piccioni al quale fu legata per un periodo), pagò un'ingente penale e tornò in Italia. Forse giocò anche il desiderio di mettersi alla prova in un cinema che, come disse, "mentre ero in America era diventato il primo nel mondo". E credo che un ruolo così suo come la contessa Serpieri di "Senso" difficilmente l'avrebbe trovato a Hollywood.

 

La lavorazione de Il Caso Paradine di Alfred Hitchcock fu tranquilla? Si può dire che la Valli era il tipo di attrice prediletta dal regista, sullo stile di una Tippi Hedren o, più banalmente, Grace Kelly?

La Valli arrivò a Los Angeles che la lavorazione del film era già iniziata. Nel risultano particolari problemi durante le riprese. E dopo il film l’attrice e il marito Oscar De Mejo frequentarono in più occasioni casa Hitchcock. Nel libro intervista con Francois Truffaut, il regista inglese confessa invece qualche perplessità sull’attrice. Avrebbe voluto come prima scelta Greta Garbo e poi Ingrid Bergman. La Valli era un tipo di attrice diversa dalla donna algida tanto amata sullo schermo da Hitchcock, però a mio parere nel film funziona ed è valorizzata da Hitchcock. Quel che non funziona è la trama del film, non del tutto convincente.

 

Ne Il terzo uomo, il carisma di Orson Welles finisce per dominare tutta la pellicola, tanto che molti, ancora oggi, credono che sia stato Welles a dirigere il film. Com’era, dentro e fuori dal set, il rapporto tra l’uomo e la Valli?

Welles dominò il film, improvvisò anche dei monologhi come quello celebre degli orologi a cucù. Quanto al rapporto con la Valli, ci sono varie versioni. Nel film hanno una sola scena insieme e non si vedono nella stessa inquadratura. Lei lo definì “geniale e bellissimo”, però è probabile che siano stati poco sul set insieme. Welles a quel tempo era innamorato di Lea Padovani ed era in giro per l’Europa a cercare i soldi per terminare “Othello”. È invece provato il flirt dell’attrice con il regista e forse anche con Joseph Cotten, con il quale restò amica per tutta la vita.

 

Per molti, l’interpretazione più grande della Valli è in Senso di Luchino Visconti, sei d’accordo con questa affermazione? Puoi raccontarci qualcosa dell’esperienza del film?

Sono d’accordo che sia la sua più grande interpretazione. Non per togliere qualcosa alle altre, ma perché in “Senso” la Valli diede tutto. Credo che sia uno dei più grandi film della storia del cinema e lo è anche grazie alla sua partecipazione così aderente al personaggio della contessa Serpieri. Alida capì che si trovava davanti all’occasione della vita e riuscì a rendere alla perfezione quella donna che per amore tradisce tutto quello in cui crede e inizia una parabola autodistruttiva senza ritorno. Una donna che non si risparmia e carica di contraddizioni. Le riprese del film durarono molti mesi, la Valli si rovinò anche una corda vocale per fare e rifare l’urlo per strada dopo aver compiuto la delazione verso il tenente Mahler.

 

La Valli ha lavorato con tantissimi grandi e meno grandi. Quali suoi film consiglieresti a neofiti e appassionati, citando magari anche lavori “minori” da riscoprire?

Ci sono film che andrebbero riscoperti e che non sono per nulla minori. Su tutti “L’inverno ti farà tornare” di Henry Colpi che vinse la Palma d’oro a Cannes nel ’61 e che oggi è praticamente sconosciuto e le copie introvabili. Degli stessi anni è “Ophelia” uno dei film di Claude Chabrol meno noti, una rivisitazione dell’Amleto quasi attualizzata e molto riuscita. “Noi vivi / Addio Kira!” è sicuramente un film importante e da vedere è “Eugenia Grandet” di Soldati, una delle sue interpretazioni più belle. Tra i film più recenti amo molto “La prima notte di quiete” di Zurlini, “Ce cher Victor” sorprendente commedia francese di Robin Davis del ’75. E dell’ultimo periodo “Zitti e mosca” di Alessandro Benvenuti, un film secondo me sottovalutato.

 

La partecipazione della Valli come madre di Benigni in Berlinguer ti voglio bene è la conferma della capacità dell’attrice di potersi calare in qualunque ruolo, senza aver paura di “svilire” la propria immagine: la madre di Cioni Mario/Benigni è sboccata, nostalgica, violenta, schietta… Come venne accolta da pubblico e critica questa interpretazione?

Bisogna fare una premessa. Il ruolo fu offerto prima a Valentina Cortese, che lo rifiutò sdegnata. La Valli lesse la sceneggiatura, ne fu molto divertita e accettò con entusiasmo. Questo per dare l’idea del personaggio, che, forse per l’aspetto fisico, forse per il passato, era considerata altera, mentre era ironica e pronta a mettersi in gioco. Il film con Benigni, così come “Suspiria”, la fece conoscere a un pubblico nuovo, giovane, che non se la sarebbe mai immaginata nei film del passato.

 

Proprio partendo dal film della domanda precedente, e citando anche horror come L’Anticristo, La casa dell’esorcismo e Suspiria, si può dire che la Valli è sempre riuscita ad essere cinematograficamente al passo con i tempi e con i generi che cambiavano ed evolvevano?

Più che stare al passo con i generi, la Valli ha sempre vissuto il momento. In più era spesso in difficoltà economicamente e doveva lavorare molto e accettare tutto quello che le proponevano. Per questa ragione nella sua filmografia ci sono anche titoli molto minori, che in quasi tutti i casi sono almeno nobilitati dalla sua presenza.

 

Gli ultimi anni sono stati parchi di film davvero importanti ma con diversi spettacoli teatrali di nome: pensi che la Valli riuscisse a trovarsi sia nel cinema che nel teatro o che ne preferisse uno in particolare?

La Valli ha iniziato a fare teatro solo nel ’56, quando già era una star del cinema da quasi vent’anni. Ha cominciato ad amare il palcoscenico piano piano, tanto che poi ha dichiarato essere il suo secondo amore. Ha fatto grandi spettacoli teatrali, con Chereau e con altri, e di vari generi, dal repertorio classico alla sperimentazione. I puristi del teatro non le hanno mai perdonato il fatto che non fosse nata a teatro e la sua dizione non perfetta.

 

Per finire, dopo questo libro, puoi dirci se hai già qualche nuovo progetto in cantiere?

Per ora nessun progetto concreto. Dipenderà dalle occasioni che si presentano o si possono creare. Scrivere un libro richiede moltissimo lavoro e non dà molti benefici al conto in banca…

 

Francesco Massaccesi