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Scadenza bando: 10/09/2012
Torna in azione il manipolo di mercenari capeggiato da Barney Ross (Sylvester Stallone) per recuperare un documento da un aereo precipitato sulle montagne dell'Europa dell'Est. L'ordine, partito dal solito Church (Bruce Willis), impone una nuova compagna d'avventura, Maggie Chang (Nan Yu) ed ovviamente porta con sé nuovi guai, impersonati dal cattivo di turno, il perfido Jean Vilain (Jean-Claude Van Damme), che subito si impadronisce del dispositivo, contenente la mappa di un deposito di plutonio in mezzo alle montagne dell'ex Unione Sovietica. Tra arrivi e partenze, il plotone di uomini con ben poco da perdere ce la metterà tutta per sconvolgere i piani del temibile bandito...
In ritardo rispetto a molti, spinto più per dovere che per altro, in un caldissimo pomeriggio di questa estate infernale, decido pure io di guardare il nuovo Amazing Spider- Man. Devo ammetterlo, arrivo ai titoli di testa con lo stesso entusiasmo di uno che deve far la coda dal macellaio: ok, non è una cosa tremenda, la si fa, c'è di peggio.
Troppe le critiche negative sentite da chi, carico di entusiasmo e aspettative (magari troppe) era corso alla prima nazionale. Troppi i difetti, le incoerenze, rispetto alla trilogia di Raimi, ma questo, ai miei occhi, era nettamente un punto a favore di Webb, che firma con questo il suo secondo lungometraggio dopo la commedia romantica “(500) giorni insieme” del 2009.
Inizia il film. Non ho nemmeno voluto vedere il trailer, quindi, carico dell'effetto sopresa, rimango favorevolmente colpito da quel che vedo. Per molte sequenze la mia mente viene riportata indietro nel tempo, ai pic-nic estivi passati a leggere i fumetti Marvel, gli originali, quelli dove Peter Parker non aveva (grazie al cielo) il faccione un po' tonto di Tobey Maguire e tanto meno sparava ragnatele dai polsi. Insomma, vedo molte più analogie con il vero spirito del fumetto originale, a cominciare dal profilo dei personaggi.
Qua e là, inevitabilmente, si notano alcune pecche ma che ai fini della storia ci possono pure stare. Colori, ambienti, costumi, battute, personaggi secondari e piccoli dettagli rispecchiano alla grande tutto ciò che anni prima Stan Lee, che ci offre un cammeo eccezionale verso la fine del film, aveva creato.
Arrivo ai titoli di coda (con immancabile easter egg) mentre una strana sensazione mi prende di sorpresa: non sono annoiato! Né tanto meno disgustato, incazzato o deluso, tutte emozioni procurate dal primo film di Raimi. C'è del buono in questa pellicola. Non è un capolavoro, non lo rivedrei a breve, ma c'è del buono. Certo, potrebbe durare molto meno. Certo, i ritmi narrativi andrebbero rivisti e certo, le musiche andrebbero assolutamente rifatte! Ma, tutto sommato, il film è buono e batte alla grandissima la trilogia precedente.
La vera domanda, a questo punto, non sembra più essere se si sentiva il bisogno di questo reboot quanto invece se Sony non potesse prendere prima la strada del back to original glissando su i forzati Spiderman 2 e 3.
In conclusione spicca positivamente il gran lavoro del cast, l'accuratissima regia, il lavoro di sceneggiatura e dei reparti tecnici. Dietro la lavagna manderei solo il compositore della colonna sonora a far compagnia ai già citati produttori Sony.
Decisamente indicato per un paio d'ore di buon intrattenimento, come un ottimo vecchio fumetto, ma con molti più effetti speciali!
Alessandro Zorzetto
Solo pochi giorni fa, in questa torrida estate romana, abbiamo incontrato Riccardo Papa e Antonio Cardia, due particolari sensibilità creative ed emergenti nel panorama cinematografico italiano che, mentre si destreggiano tra produzione, sceneggiatura e regia, hanno anche trovato il tempo di fondare la Grapevine Studio. Durante una bella e lunga chiacchierata, ci hanno parlato dei loro nuovi progetti, non esimendosi da riflessioni su come stiamo messi.. noi che il cinema lo amiamo e vorremmo contribuire a farlo crescere.
Riccardo, come mai hai scelto il cinema?
Il cinema io l'ho scelto per passione e vocazione. Fin da quando ero piccolo ho sempre fantasticato, scritto, ho sentito sempre dentro di me un grande desiderio di comunicare e alla fine ho trovato nel cinema questo canale naturale e perfetto per esprimermi.
Dopo la maturità classica ho avuto l'opportunità di cominciare sui set: ho iniziato ricoprendo varie mansioni da runner ad assistente di produzione, fino a muovere i primi passi alla regia. Nel periodo universitario all'Orientale ho avuto la fortuna di coltivare numerose collaborazioni preziose in questo settore come quella con il Giffoni Film Festival, iniziata grazie al mio socio Iacopo di Girolamo. Nel 2006 ho girato Nero, il mio primo corto autofinanziato, da lì mi sono trasferito a Roma e per un anno ho avuto una borsa di studio per un master sul cinema, dall'immaginario alla produzione, con la Valter Casini Management, era il 2007 anno in cui ho realizzato altri due cortometraggi Lacrima di luna e Don che hanno girato parecchio attraverso il circuito dei festival. Don ha vinto il 48H Film Project del 2007, da lì poi è andato al Cinequest in California e poi è stato proiettato a Cannes e a Berlino.
Nel 2008 ho conosciuto Francesco Dominedò per cui ho scritto la sceneggiatura di 5 (Cinque), un film sulla criminalità nella periferia romana. Nel frattempo ho lavorato come operatore montatore anche per videoclip musicali. Tuttavia il mondo dei video è stata un'esperienza en passant, perché ho un pensiero forse un po' radicale ma considero il cinema la forma di narrazione per immagini per eccellenza. Quando ho conosciuto Antonio Cardia abbiamo iniziato un vero e proprio sodalizio artistico scrivendo insieme la sceneggiatura di Orlando e i Liviatani, una commedia nera con influssi horror. Un film per il quale siamo stati opzionati per due anni con una giovane società indipendente che però, per via di alcuni contrattempi, l'ha dovuto lasciare in stand by. Al momento è in attesa di essere prodotto.
Cos'è Grapevine Studio?
Cosa state preparando attualmente?
R.P. : Abbiamo finito da pochi giorni le riprese di Supermanz, un documentario dal carattere sperimentale, un progetto che vuole far luce sul mondo del sociale, delle onlus e delle case famiglia che si occupano di disagi del mondo giovanile. Ci siamo concentrati su una cooperativa in particolare la Epoché Onlus, che abbiamo avuto la possibilità di seguire dall'interno.
Il progetto nasce due anni fa, da un dialogo con il presidente della cooperativa, con l'idea di un progetto che coinvolgesse in maniera didattica ma anche a scopi terapeutici i ragazzi che vengono seguiti. Sono ragazzi con problematiche molto difficili alle spalle, quelli che dalla società attuale verrebbero definiti "disagiati", sono adolescenti in difficoltà. il nostro intento era viverli e poterli far vivere nella maniera più normale possibile, non puntando l'attenzione sulla tragicità delle loro esistenze, bensì sulla voglia e la spontaneità che questi ragazzi mettono nel "recuperare" se stessi.
Un progetto cinematografico poteva essere propedeutico per loro, inizialmente doveva essere un corto ma ci siamo resi conto che c'era talmente tanto materiale che abbiamo finito per farne un documentario.
Abbiamo avuto la possibilità di conoscerli da vicino, sono stato diverse volte in casa famiglia con loro prima di iniziare a girare. La cosa assurda è che non diresti mai che sono persone con delle problematiche serie alle spalle.
Antonio Cardia: La cosa interessante è che non è il classico documentario nel quale si va ad indagare sul passato, sul perché il ragazzo è arrivato a questo punto, ma ci occupiamo del qui e ora, senza lasciar spazio al pietismo che purtroppo è consuetudine nel raccontare tali tematiche. Avvicinarci a loro senza preconcetti di sorta e far trasparire questo dalle immagini è molto più importante per far capire l'intervento positivo di queste cooperative. Mostrare come si supera il disagio è il fulcro del nostro lavoro. Anche per questo motivo siamo andati avanti senza alcuna sceneggiatura o canovaccio prestabilito, in questo c'era la sperimentalità, nel mostrare la realtà senza alcuna mediazione, la realtà stessa era la storia che volevamo raccontare.
Per questo progetto avete abbracciato una forma particolare di finanziamento e di distribuzione, ce le spiegate un po'?
R.P. : Innanzitutto ci siamo autofinanziati e abbiamo anche deciso di approcciarci al crowdfunding e attraverso il link di Produzioni dal basso ( http://www.produzionidalbasso.com/pdb_1148.html ) siamo riusciti a recuperare una 60ina di quote su 350 in un paio di mesi, che per noi è già un buon risultato. Una quota costa 15 euro ed equivale all'acquisto del dvd con l'inserimento del proprio nome nella lista dei crediti. Ne risulta una produzione del tutto collettiva. Il limite per l'acquisto delle quote è stato fissato il 15 settembre, data entro la quale dobbiamo recuperare in tutto 5000 euro.
Abbiamo avuto anche l'attrezzatura tecnica in cambio di una quota di produzione da parte di Lightoffilm quindi risulta una coproduzione.
Il film sarà mescolato ad una decina di minuti di animazione e la colonna sonora sarà composta da brani indipendenti di musicisti italiani.
A. C. : Tenteremo una distribuzione editoriale realizzando anche un reportage fotografico accompagnato da un breve testo e dei saggi sulle esperienze nel settore. Quindi un vero e proprio libro di accompagnamento del dvd. I ricavati in parte saranno introiti di produzione e un 10% andrà in beneficenza alla cooperativa.
Stiamo pensando, una volta ultimata la produzione, di far gravitare Supermanz nel circuito festivaliero e di renderlo maggiormente visibile attraverso passaggi televisivi.
Tu e Antonio siete reduci da un'altra importante esperienza, quella del 48H Film Project, come vi siete trovati?
R.P. : È stata una corsa contro il tempo, siamo stati chiamati dalla Lightoffilm come sceneggiatori. Non abbiamo praticamente dormito restando svegli per 48 ore filate. Abbiamo vinto la prima puntata, il programma è andato in onda su Rai 5. L'idea di trasmettere il 48H su un canale televisivo è positiva, attraverso un mezzo così popolare si riesce a trasmettere al grande pubblico il
concetto che esiste un cinema fatto di professionisti che non hanno nulla da invidiare ai più grandi, anche se meno conosciuti.
Un altro lavoro che vi ha dato grandi soddisfazioni è stato il cortometraggio La fabbrica dei volti noti, cosa potete dirci in merito?
R.P. : Ha girato parecchio, almeno in una dozzina di festival tra i quali il Fantafestival 2012, Clermont Ferrand, Bruxelles Film Festival 2012, Arcipelago 2011 ed è stato anche presentato al Teatro Palladium di Roma nel 2011 in occasione del Roma3 Film Teatro Fest. La fabbrica è un prodotto molto sperimentale, nato dalla stessa concezione del cinema che io e Antonio abbiamo, gusti simili che si sposano perfettamente, spaziando da un genere all'altro e ritrovandoci sempre, tale sintonia ci permette di essere così creativi producendo molto in un tempo minimo. La fabbrica è stato girato in 3 giorni e mezzo con 1500 euro di budget. Non ho un riferimento stilistico particolare per questo film.
A. C. : i personaggi rappresentati sono essenzialmente dei cloni venuti male di icone politiche, del cinema, del mondo dei fumetti..
Alla base del soggetto c'è l'idea di riempire di senso ciò che senso non ha e in mancanza di un nostro senso individuale ci possiamo scambievolmente far riempire da significati rintracciabili in altri personaggi. Questo gioco di parole sta a significare che la ricerca di una nostra originalità è molto più forte dell'imitazione stessa. Se c'è un album che rappresenta al meglio il concept de La fabbrica è decisamente "Kill your idol" dei Sonic Youth.
Cosa ne pensate del panorama cinematografico italiano e della parte che ricoprono le piccole produzioni all'interno di questo complesso scenario?
R.P: Il problema fondamentale è che ci sono pochi che provano a far cinema sul serio e quelli che ci provano non sono mai realmente autentici. C'è sempre una strizzata d'occhio alle mode, al già conosciuto, ad uno stile di qualcun altro, nella maggior parte dei casi rivedo sempre uno stile derivativo. L'originalità è ben poca, ad esempio i Manetti Bross sono stati tra i pochi ad avere la fortuna di creare un proprio filone. La loro arte, pur rifacendosi sempre a qualcosa, omaggiando un certo tipo di passato e genere, rivisita tutto in chiave nuova ritrovando nel loro stile una precisa identità. Quando parlo di originalità parlo di questo, di propria identità e autenticità, ma spesso e volentieri è lo stile personale che manca, una carenza soprattutto dal punto di vista contenutistico.
A. C. : Si tenta di essere o eccessivamente hardcore, sperimentali estremi o eccessivamente accomodanti. Manca una via di mezzo. Non c'è più una vocazione di fare un cinema medio che parli per la gente, non mediocre ma fruibile e che veicoli qualcosa, non vedo prodotti sfaccettati con più livelli di lettura. È spesso un "o tutto o niente". Questa critica è anche stata mossa a noi personalmente, a La fabbrica, che può sembrare un po' criptico ma questa possibile difficoltà abbiamo tentato di superarla arricchendo il nostro lavoro di grottesco, infondendogli una linea ironica, tentando di essere popolari come linguaggio ma mantenendo anche altre linee di lettura. La nostra molteplicità di livelli se la vuoi cogliere va benissimo, se invece vuoi soffermarti ad un piano più immediato e superficiale a noi va benissimo lo stesso.
Purtroppo però le produzioni si trovano a scontrarsi con le difficoltà economiche...
A. C: Il fatto che non ci siano soldi non è mai stimolante perché ti ritrovi davanti a necessità risolvibili solo con i soldi. Dovrebbe esserci un atteggiamento propositivo di investimento nei confronti dei fondi, non semplicemente assistenzialistico ma dovrebbe variare la mentalità con la quale ci si approccia a quello che dovrebbe essere a tutti gli effetti un mercato. Bisognerebbe iniziare a far funzionare gli investimenti privati nel settore, quelli che spingono più a fare un buon prodotto. Ci sono film fatti con poco che rendono, l'esempio ci può essere dato da Shadow di Federico Zampaglione che all'estero ha avuto molto successo.
R. P.: Si tende più a pubblicizzare la commedia o il dramma, sempre gli stessi generi, e si tende a trascurare volutamente alcuni differenti che si sceglie di non far circolare, né c'è scaltrezza nel pubblicizzare un film. Non credo sia il mercato che richieda un genere piuttosto che un altro perché il mercato lo fanno le distribuzioni e le produzioni.
A.C. : Il pubblico deve essere incanalato. Com'è che il pubblico va a vedere REC, noto horror spagnolo, ma non l'horror italiano? Credo sia dovuto ad un atteggiamento intellettuale di chi dovrebbe fare la promozione del film: se un film non rientra in canoni tipici del cinema italiano non può andare. Ma i Manetti, Puglielli, Infascelli ce l'hanno ampiamente dimostrato che invece è fattibile, però rimangono solo casi senza la giusta pubblicità. Una volta si produceva la Decima vittima.. perché si poteva fare prima e non ora? La risposta la trovo nel fatto che "chi fa il mercato" non ci crede abbastanza, perché manca la cultura adatta a crederci.
...e voi, in cosa credete?
R.P. : Noi crediamo in noi stessi e ci poniamo come persone che vogliono far crescere questo cinema in maniera libera. Non abbiamo mai ragionato in termini di limiti e compiacimento perché pensiamo che ragionare in questo modo possa ammazzare il cinema stesso, l'idea che noi abbiamo del cinema. Noi con le doppie letture tentiamo di trovare una specie di escamotage per tutti, andando verso i favori del pubblico senza averlo come dittatore ideologico, proviamo a far quello che ci piace provando a toccare i gusti degli spettatori.
Chiara Nucera