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La Gelosia

Giovedì 26 Giugno 2014 15:22 Pubblicato in Recensioni

La gelosia, ultimo lavoro di Philippe Garrel, mette in scena una storia intima della vita del regista, una vicenda realmente accaduta al padre,  riproposta e sviluppata in chiave familiare. Garrel dirige suo figlio Louis (che interpreta suo nonno all'età di 30 anni) in un bianco e nero minimalista, all'interno di una cornice artistica dove uno squattrinato teatrante si aggira come un flâneur, nutrendosi di arte e amore. Spazi piccoli, poche location e quasi tutte interni, persi in minuscole, povere e spoglie stanze, le uniche che il ruolo impone, un clichè consolidato che vuole che per il fuoco sacro della recitazione non ci si arricchisca. Ed è proprio la vacuità dell'esistenza che viene rappresentata nell'alienazione di residuati contemporanei di un '68 ormai annacquato. I dialoghi contestualizzano la vicenda arricchendola di elementi sulla durezza del vivere quotidiano ma il vero fulcro sono le conversazioni su un amore libero e superiore, quello incarnato dalla coppia di Louis e Claudia (Anna Mouglalis), un amore che ti incatena ancor più di qualsiasi convenzionale ménage. Louis è un giovane padre, perso in un sentimento folle, idealizzato e pieno di crepature, che non ammette un termine se non la morte; Claudia, attrice incompresa e decaduta, piena di sensi di colpa inespressi, si piega a dei compromessi nella capacità di dedicarsi solo a se stessa. Un titolo più adatto a questo film avrebbe potuto essere "Tradimenti" visto che di gelosia ce n'è poca impressa sulla pellicola e per il resto ciò che ci arriva è un susseguirsi di dubbi, ansie, fragili discorsi sui massimi sistemi, fricchettoni amori universali e corna. Un film la cui breve durata, poco più di un'ora e un quarto, basta abbondantemente a spiegare una storia per la quale sarebbero stati sufficienti pochi minuti o che forse avrebbe potuto essere raccontata meglio, con più convinzione e miglior approfondimento dei protagonisti. Un segmento a sé, un estratto di vita, in cui Garrel figlio, pregevole in altre situazioni ma del tutto carente e a tratti caricaturale in questa, dà sfogo ad un personaggio poco convinto di ciò che sta vivendo, con una partner che più che apparire una misteriosa e ammaliante creatura (come si evince dalle note di regia) trasuda il fascino malato di colei che prima usa e poi getta via l'amante di turno. Tutto questo perché la vita è un ciclo e brevi momenti sono capaci di segnare un'intera esistenza.. almeno nell'intenzione alla base del progetto.

 
Chiara Nucera

Femen - L'Ucraina Non E' In Vendita

Martedì 24 Giugno 2014 12:54 Pubblicato in Recensioni
Per capire le ambiguità sotterranee al movimento Femen in Ucraina, bisogna iniziare analizzando il titolo con cui viene presentato al pubblico italiano. Ukraina Is Not A Brothel è sia il titolo originale, sia il principale slogan con cui le attiviste in topless dipingono il proprio corpo durante le manifestazioni di protesta. Il termine "brothel" non significa "vendita", bensì "bordello", e dà la misura di come partendo da una iniziale sobrietà, abbiano presto lasciato il passo allo shock della sessualità esposta, la violenza verbale e la spettacolarizzazione del gesto.
 
In virtù di una escalation sempre più mediatica, la provocazione è divenuta la cifra del movimento, la chiave per mantenere sempre accesi i riflettori dell'opinione pubblica. Il rischio, però, che questa "naked war" esuli dagli intenti per cui dicono di lottare, sembra concreto. L'obiettivo annunciato è l'effettiva parità dei diritti, in una società immersa nell'opprimente cultura dei patriarcati, con la speranza che un giorno "il mondo veda l'Ucraina come un paese dove le ragazze nude protestano e non si prostituiscono". 
 
A documentare il fenomeno è l'esordiente Kitty Green, reporter al loro seguito per più di un anno, durante il quale è riuscita a svelarne i risvolti meno prevedibili, non analizzando la protesta solo secondo la tesi ufficiale, tra dimostrazioni, reazioni, arresti e processi, ma arricchendo la descrizione con gli aneddoti di una realtà contraddittoria. La filmmaker disseziona l'organizzazione presentandone le varie anime, tra cui le attiviste del primo periodo, rimaste emarginate quando Femen ha deviato sull'avvenenza e la sfrontatezza allo scopo di attirare giornalisti e fotografi a caccia di scoop da copertina. Perciò, a raccontare la propria vita e quanto essa sia diventata indivisibile da Femen sono soprattutto le belle sorelle Shevchenko, per le quali rappresenta l'unico modo – anche dal punto di vista economico - per evadere dal degrado dell'Ucraina periferica. Ma la disarmante ingenuità che traspare dalle interviste prive di una reale consapevolezza, non può che essere un'arma a doppio taglio per il cambiamento culturale che propongono, con il rischio costante di rimanere relegate ad effimero fenomeno mediatico.
 
È proprio con questo rischio che sembra giocare qualcun'altro, una presenza che si nasconde dietro le quinte di Femen, celata ad arte fin dal primo fotogramma e svelata progressivamente in tutta la sua evidenza incombente: il fondatore di Femen, un uomo, un patriarca che risponde al nome di Viktor Svyatskly. Oltrepassando la sottile linea tra interesse comune e privato, e a partire dal rapporto con la telecamera di Kitty (che da par suo ha il demerito di enfatizzarlo troppo), Viktor è stato il primo a capire che la telecamera deve essere parte integrante della protesta, anzi che la protesta esiste solo se ripresa. Femen è ormai un marchio, non solo un messaggio; le ragazze hanno assurto il ruolo di piccole dive con eventi sponsorizzati e fan che acquistano il merchandising femminista. Senza saperlo si è sdoganata un nuovo tipo di pornografia: non è più il corpo ma il messaggio, costretto ad una deformazione grottesca dai mezzi di comunicazione. 
 
Victor nelle interviste diventa argomento di imbarazzo, egli mina la credibilità di Femen e allo stesso tempo è il fautore del successo più spicciolo, lontano da una possibilità di approfondimento e di crescita politica. In un movimento che permette alle sostenitrici di mantenersi solo in virtù di esso, il marketing sembra aver svuotato il disegno originario, snaturando quelle idee che per la loro diffusione devono ogni giorno pagare lo scotto di filtri obbligati che ne deformano l'intento sociale.
 
Femen senza saperlo ha anticipato le più gravi contraddizioni strutturali dell'Ucraina, ormai da mesi sfociate nella guerra civile. Eppure uno spiraglio postumo esiste, ed è quello rilasciato nelle interviste di presentazione del film da parte della stessa regista. Come si augurava un'attivista negli ultimi fotogrammi del film, Femen è riuscita ad affrancarsi dalla guida ingombrante del suo patriarca e ha iniziato una nuova fase che punta ad un salto di qualità. Ora le celebri manifestazioni a seno nudo sono diminuite e, ovviamente, la loro forza mediatica si è ridotta. Ma al contempo si è rafforzato un movimento internazionale trasversale, che continua la sua lotta per i diritti delle donne.
 
Pollo Scatenato 
 
 

Pesaro Film Festival - un 50esimo compleanno da ricordare

Domenica 22 Giugno 2014 20:50 Pubblicato in News
Diretta da Giovanni Spagnoletti e giunta ormai alla 50esima edizione, la Mostra Internazionale del Nuovo Cinema, a Pesaro dal 23 al 29 giugno, ha articolato il suo programma in tre sezioni principali: “Il mouse e la matita”, “Panorama Usa: il cinema sperimental-narrativo nel nuovo millennio” e numerosi eventi collaterali celebrativi delle cinquanta edizioni del Festival. 
 
“Il mouse e la matita” non vuole restare confinata all’ambito locale ma si prefigge di far luce su tutta la gamma dell’animazione italiana, nota e meno nota, che ha dimostrato una visione innovativa e una capacità di produrre nuovo cinema. Il tutto con più di cento lavori in totale, tra lunghi, corti, video musicali e titoli di testa da film, da lungometraggi d’animazione come Pinocchio di Enzo D’Alò, L’arte della felicità di Alessandro Rak, Robin Hood di Mario Addis e Johan Padan a la descoverta de le Americhe di Giulio Cingoli sino a vari focus sul mondo poetico di Basmati, Leonardo Carrano, Julia Gromskaya, Magda Guidi, Igor Imhoff, Simone Massi, Cristina Diana Seresini, Gianluigi Toccafondo e Virgilio Villoresi. Attenzione sarà data anche al CSC di Torino che oltre ad una selezione dei lavori lì prodotti da nuovi talenti porta a Pesaro in collaborazione con la Cineteca Italiana di Milano e l’istituto Luce un’interessante e inedita retrospettiva “Cartoon e moschetto – le animazioni di regime di Liberio Pensuti”. Numerose le anteprime assolute di nuovi lavori al Festival, tra le quali si segnalano Zero di Igor Imhoff, Festina lente di Alberto D’Amico, Pene e crudité di Mario Addis, Commonevo e Flussi di Basmati, L’esploratore di Fabio M. Iaquone, Jazz for a massacre di Leonardo Carrano, un nuovo episodio di Gino il Pollo di Andrea Zingoni e Latitude di Claudia Muratori. 
 
Gli USA sono stati, dagli anni ’60, una delle più importanti fucine del cinema indipendente e sperimentale. Curato dalla Mostra insieme al critico Jon Gartenberg, “Panorama Usa: il cinema sperimental-narrativo nel nuovo millennio” si prefigge di documentare uno dei lati meno conosciuti della principale cinematografia mondiale nell’era del post 11 settembre.  Le opere proposte sono molto eterogenee: si va dal found footage alla sperimentazione nella fiction, spesso in forme ibride che si collocano nei territori di confine tra finzione e documentario, senza dimenticare il campo del disegno animato. Paradigmatico da questo punto di vista è, oltre all’animazione gotica di Consuming Spirits, realizzata dopo quindici anni di lavoro da Chris Sullivan, il lavoro del filmmaker italoamericano John Canemaker, premio Oscar nel 2006 con il corto di animazione The Moon And The Son, toccante ritratto autobiografico sulla problematica relazione tra il regista e il padre di origine italiana, con le voci di John Turturro ed Eli Wallach. Il regista, insieme a un nutrito gruppo di altri filmmaker americani, sarà al festival per presentare il film e tenere una master class sull’animazione. Una rigorosa selezione di oltre trenta opere, lunghe e corte come “Delta Blues” in The Great Flood di Bill Morrison, Through A Lens Darkly di Thomas Allen Harris o The Suburban Trilogy di Abigail Child. 
 
Il Concorso-Premio Lino Micciché propone tra i titoli selezionati l’indiano Liar’s Dice di Geethu Mohandas, il cileno Raiz di Matías Rojas Valencia, il colombiano Tierra en la lengua di Rubén Mendoza, il franco-americano Swim Little Fish Swim di Lola Bessis e Ruben Amar (che apre le proiezioni in Piazza), l’estone Free Range di Veiko  Õunpuu, il curdo The Fall from Heaven di Ferit Karahan e I resti di Bisanzio di Carlo Michele Schirinzi. 
 
Tra gli eventi speciali in Piazza, il film collettivo I ponti di Sarajevo che sarà proiettato nella notte tra il 27 e il 28 giugno in concomitanza con la presentazione a Sarajevo e a distanza di cento anni esatti dall’attentato nella città bosniaca che ha dato inizio alla Prima guerra mondiale. 
 
L’Italia sarà rappresentata dagli episodi di due registi napoletani: Leonardo Di Costanzo e Vincenzo Marra.  Curato da Adriano Aprà, Bruno Torri e Vito Zagarrio, il 28° Evento Speciale è incentrato sulla riflessione e sulla celebrazione delle 50 edizioni della Mostra. Tre le principali linee programmatiche dell’Evento: una retrospettiva, una tavola rotonda, e un omaggio a Lino Micciché che, insieme a Bruno Torri, ha fondato il Festival nel 1965, diventandone poi il direttore per 24 anni. Sarà inoltre proposto il recente documentario di Francesco Micciché (curatore dell’omaggio): Lino Micciché, mio padre. 
 
All’interno delle manifestazioni dell’estate romana è previsto inoltre Pesaro a Roma (luglio 2014), una selezione esaustiva delle opere più importanti presentate nelle varie sezioni della Mostra di quest’anno.
 
Maggiori informazioni si potranno trovare consultando www.pesarofilmfest.it

Fuoco Amico - La storia di Davide Cervia

Mercoledì 18 Giugno 2014 12:06 Pubblicato in Recensioni
12 settembre 1990. Davide Cervia, tecnico specializzato della Enertecnel, dopo aver smontato dal lavoro non fa ritorno nella sua casa a Velletri. I famigliari allarmati ne denunciano la scomparsa presso le autorità, che subito si orientano verso l'allontanamento volontario, mentre alcuni testimoni avvaloreranno la tesi del rapimento. Inizia così uno dei casi di sparizione più ammantati di mistero avvenuti negli ultimi cinque lustri nel nostro paese.
Ma chi è (veramente) Davide Cervia?
Con un passato nella Marina Militare, dove aveva svolto corsi di alta specializzazione, ottenendo diplomi rilasciati addirittura dalla NATO, lo scomparso è uno dei pochi in Italia e al mondo a conoscere l'esatto funzionamento di armi elettroniche che la nostra nazione vende ad altri paesi, soprattutto mediorientali. Davide Cervia è un esperto di guerra elettronica e perciò ha "dovuto" accompagnare, suo malgrado, le strumentazioni che solo lui, come pochi altri, era in grado di manovrare. Vittima, appunto, di “fuoco amico”.
Questa è la tesi - fin qui la più verosimile! - dello sconcertante documentario di Francesco Del Grosso, già autore di Negli Occhi e 11 metri, col quale chiude una sua ideale trilogia del "padre mancato". Ed è la stessa dei famigliari, del Movimento per la verità sul caso e della commissione parlamentare d'inchiesta che ha cercato di far luce sulla realtà dei fatti. Il film è anche il racconto dei 24 anni dell'odissea di una famiglia ingiustamente privata del proprio fulcro e di una moglie e due figli che non hanno smesso mai e mai smetteranno di lottare. Il racconto di una famiglia alla quale sono state negate anche e soprattutto verità e giustizia.
Attraverso le parole imprescindibili della moglie Marisa, Fuoco amico ricostruisce il “solito” microcosmo all'italiana, all'interno di un più ampio macrocosmo di quarant'anni di depistaggi, insabbiamenti, false piste, inganni, che il nostro paese ben conosce. Se Marco Tullio Giordana nell'opera di finzione Romanzo di una strage tracciava un sottile filo rosso che da Piazza Fontana attraversava almeno altri due lustri di storia patria, Del Grosso col suo documentario ci illustra come il “caso Cervia”, nel suo “piccolo”, sia l'ennesimo esempio di un modus operandi che ha caratterizzato le ombre più o meno inquietanti dei governi dell'era repubblicana. Più che britannico understatement delle autorità al principio, falsi testimoni di dubbia attendibilità chiamati a confondere le acque mentre altri più credibili venivano gentilmente adagiati nel dimenticatoio, cialtroni che offrono una soluzione che si rivela presto una tragica presa in giro, intorno intanto il tempo passa e i più ingoiano e dimenticano. Modello applicabile a qualunque evento poco chiaro accaduto nel nostro paese, grosso modo – vedi sopra - da Piazza Fontana in poi.
Del Grosso in un tale ginepraio è stato molto abile anche stavolta a raggiungere, grazie alla propria sensibilità, la massima collaborazione da parte della famiglia – fu contattato personalmente dalla stessa figlia di Davide, Erika, per raccontare la vicenda – e di selezionare attentamente, grazie anche alla montatrice Francesca Sofia Allegra, elementi e tracce validi all'interno della mole di materiale raccolto, spesso impresentabile per le incredibili ed assurde pieghe prese negli anni dagli eventi.
L'opera, crogiolo di verità ed emozioni, getta così insperata luce su un'altra pagina di storia italica che, peraltro ancora priva della parola “fine”, avremmo preferito non fosse stata mai scritta.
Il film, presentato nel 2014 in concorso al Bif&St e a Contest – Il documentario in sala e fuori concorso al Biografilm Festival, è attualmente in attesa di una distribuzione.
 
 
Paolo Dallimonti